domenica 31 ottobre 2010

INTERVISTA A LUCIO PELLEGRINI REGISTA DI "FIGLI DELLE STELLE" - UNO DEI MIGLIORI FILM ITALIANI ATTUALMENTE NELLE SALE


1) Figli delle stelle”. Perché questo titolo? Sinceramente, pur avendo visto il film, non sono riuscito a connettere il titolo con la storia del film

Non vedi una relazione tra il titolo della canzone e la natura dei miei personaggi, perdenti, pasticcioni, ma pur sempre sognatori? Per me è stata abbastanza automatica, questa associazione.

2) Tu leghi molto bene generi diversi (comico, poliziesco e drammatico). A mio avviso questo è segno di modernità ed internazionalizzazione. E’ una tendenza artistica che si riscontra in molti campi dell’arte a livello mondiale. Sei cosciente, che in questo senso il tuo film è il miglior prodotto degli ultimi anni, all’interno di un cinema (quello italiano) che cerca proprio un rinnovamento in questa direzione? Salvatores, per esempio, ci prova continuamente, ma, a mio parere, non è finora riuscito a costruire un buon film nonostante numerosi tentativi (di cui Happy Family è appunto l’ultimo)

Ti ringrazio per la domanda e per le belle parole sul film. In effetti, se è vero che questo film è in prima battuta una commedia, è anche vero che è un lavoro che progettualmente mette insieme generi, stili e toni diversi, mescolando temi d'impegno civile e temi pop, realismo e surreale, commedia e dramma . Credo che sia un segno di modernità e credo che anche le altre arti si stiano muovendo su questo stesso terreno. In Italia non credo di essere l'unico a provarci. A suo modo, anche Sorrentino è figlio di questo tipo di approccio.

3) Quanto deve alla TV il tuo stile?

Il mio stile sicuramente è figlio della mia esperienza di spettatore di cinema, di fruitore di arti visive e di cultura pop, specialmente televisiva. Resto in prima battuta uno spettatore.

4) Che differenze ci sono fra fare TV e cinema?

E' un discorso difficile da fare in astratto. Il cinema è senz'altro un lavoro più personale, più intimo. La televisione, in altri paesi, in questa fase storica è assai più sperimentale del cinema, nei toni, nelle scelte narrative e nei temi raccontati. Da noi purtroppo lo scenario è opposto. La tv si rivolge soprattutto ad un pubblico anziano, cercando di rassicurarlo. Qua è molto difficile proporre qualcosa di nuovo. Speriamo nel benefico effetto dell'aria che arriva dall'estero.

5) Ritorniamo al film. Mi è parso di cogliere una certa nostalgia per gli “Anni di piombo”. Magari detto così ti metto subito in difficoltà. Ma non voglio dire che ci sia una nostalgia per il terrorismo, di certo almeno una nostalgia per quello che quegli anni hanno rappresentato a livello di lotta di classe

Non c'è nessuna forma di nostalgia per quegli anni. Ci sono personaggi che non hanno futuro e che agiscono rispetto a modelli vecchi e superati, personaggi che hanno un immaginario anni settanta, che rifiutano di accettare il mondo così com'è diventato. E' questo che li rende bizzarri.

6) Qual è il messaggio del film?

Non mi piace indicare il significato di ciò che faccio. Il film è, come si diceva una volta, un'opera aperta. Ognuno può interpretarlo come gli pare.

7) Uno scrittore per scrivere si guarda in giro, cercando di capire cosa fanno gli altri. Cerca sempre dei punti di riferimento quando scrive una storia, fra le letture che fa. Quali sono stati i tuoi punti di riferimento nel fare “Figli delle Stelle”?

Il cinema dei Cohen , i libri di John Fante, 'i Compagni' di Mario Monicelli.

8) Come ti dicevo sopra, vedo, per molti versi, una volontà da parte degli autori italiani di cinema di rinnovarsi in senso internazionale per ritornare alle vette della produzione mondiale, come lo è stato negli anni del Neorealismo…di Visconti, di Fellini… A che punto siamo secondo te?

Credo che, al di là della volontà e del talento di registi, scrittori, attori, sarebbe importante pensare il cinema come un valore importante per il Paese, una valore in termini culturali ed industriali. Un veicolo capace di esportare talento e visioni del mondo, ma anche un'industria importante, che dà lavoro a duecentocinquantamila persone. Purtroppo i segnali che arrivano dal Governo vanno esattamente nella direzione opposta.

9) Come vedi, Lucio,l’ Italia di oggi?

Un Paese immobile, bloccato e piuttosto depresso.

10) Nel tuo film non c’è (mi pare) una grossa critica alla classe politica italiana. A parte quella forse (ma molto generale) di una classe politica che ama l’autoreferenzialità e l’autocompiacimento televisivo: chi meglio chiacchiera in TV, vince.Ecco, Lucio, come vedi , in termini più espliciti, questa classe politica, la famosa Casta?

Mi sembra che mai come in questo periodo abbiamo assistito ad uno scadimento della qualità della classe politica. La legge elettorale ha prodotto un esercito di deputati e senatori piuttosto anonimo, soldati semplici privi di personalità. E ci ha regalato una serie di personaggi improbabili, ignoranti, impreparati e uno scadimento assoluto della dialettica politica.

10) Secondo te la parola “Sinistra” ha ancora un significato o è ormai una mera parola vuota e priva di senso, oggi, rispetto a quegli anni (Settanta) che tu adombri nel tuo film, in cui i terroristi erano veri terroristi e sapevano anche scrivere comunicati politici, e la Sinistra era davvero una Sinistra (pur con tutti gli errori che le si voglia imputare)?

La Sinistra deve trovare un suo percorso realmente alternativo alla destra, mi sembra che negli ultimi anni abbia vissuto di riflesso a Berlusconi, il quale procede come un panzer sulla sua strada, incurante di qualsiasi forma di dissenso. Credo che la Sinistra debba assolutamente riuscire a proporre un leader nuovo, in grado di aggregare tutti quelli che ancora pensano che questo Paese possa avere un futuro importante.

WALL STREET - IL DENARO NON DORME MAI di Oliver Stone


Wall Street - Il Denaro non dorme mai

REGIA: Oliver Stone


(In foto Carey Mulligan -25 anni- è Winnie Gekko nel film di Oliver Stone )






ATTORI:

Michael Douglas

Shia LaBeouf

Josh Brolin

Carey Mulligan

Eli Wallach.

TITOLO ORIGINALE: Wall Street: Money Never Sleeps

GENERE: Drammatico

DURATA: 133 min


Inizio alla grande. Stile alla Oliver Stone

Gordon Gekko ( Michael Douglas) lascia il carcere, dove ha scontato otto anni per frodi fiscali. Grandi parole sull’evoluzione umana in sottofondo (voce di Shia LaBeouf, Jake Moore nel film) accompagnano l’uscita di Gekko dal carcere. Libero finalmente! Ma solo…nessuno l’aspetta, nemmeno l’unica figlia che ha (Carey Mulligan, Winnie Gekko nel film) e che lo odia e gli imputa la causa della morte del fratello (una figlia bella e isterica, arrogante quanto lo sono i cittadini americani che si credono dalla parte della verità, che sono quasi peggiori degli avidi lupi di Wall Street).

Poi arrivano ruffiane e commoventi le immagini dall’alto della Grande Mela, nei titoli di testa.

Ecco il big loft nella downtown dove abitano Jake (grande promessa di Wall Street) e Winnie, che dirige un Blog di successo e che si chiama “La fredda verità”.

Si va al lavoro nel centro del male, Wall Street, ma ci si va con moto di grossa cilindrata.

BIG MONEY! Ti getta subito in faccia la poderosa tecnica di Oliver Stone.

Il film è cominciato. La macchina del BIG MONEY! Si è messa in moto. La macchina poderosa che produce tonnellate di denaro e sparge il male nel mondo.

Gordon Gekko in carcere ha avuto tempo per pensare e si è convertito in profeta che annuncia la fine del mondo: la Grande Catastrofe!

Gekko fa paura a Wall Street, la sua voce fa paura, perché dice la verità. Qualcuno con il Locusta fund sta distruggendo l’economia e sta mettendo in ginocchio la Keller Zabel Bank una delle più grosse banche del mondo. La Keller Zabel Bank fallirà e il suo patròn Lewis Zabel (Frank Langella) si suiciderà nel metro davanti a centinaia di persone.

Gordon Gekko invece va alla grande. Fa conferenze alle università e promuove il suo libro. Parla dell’ avidità come motore del mondo. E’ brillante, ha humour. E’ graffiante. Ironico. Divertente. Pare quasi Giorgio Gaber durante i suoi concerti. E soprattutto dice la verità.

Nel pubblico c’è Jake che lo ascolta incantato. E’ lì per conoscere il grande guru di Wall Street e per annunciargli che sposerà sua figlia (di altissimo livello il dialogo fra i due nel treno della metropolitana: qui Oliver Stone dà veramente una grande prova della forza del suo stile!).

Jake amava Lewis Zabel e ora cerca la vendetta. Vuole una vendetta bollente, non può aspettare che il piatto sia servito freddo. Il grande cinema decolla: immagini, plot, musica vertiginosi…

L’obiettivo della sua vendetta Bretton James (Josh Brolin), l’adepto di Crono che divora i suoi figli. Bretton aveva messo in giro le false notizie che avevano fatto fallire la Keller Zabel Bank e Jake vuole colpire duro, ora…

Quello che mi ha sorpreso in positivo di questo film è la varietà di tecniche nell’uso dell’immagini, di una ricchezza davvero unica e ben amalgamata. Non sono tecniche nuove, ma tutte ben connesse e credibili. Inattese quasi, talora.

Quando si va al cinema in fondo il cinema alla Pretty Woman piace sempre, soprattutto se il regista è Oliver Stone: un maestro nel conciliare problemi di incasso e arte.

Tre stelle.

venerdì 29 ottobre 2010

Ti dico che è imbattibile!

Ti dico che è imbattibile! 

(La Liegi-Bastogne-Liegi: il punto d’arrivo e di partenza )

 

 

“Ti dico che è imbattibile! Credimi…”

“Non esistono imbattibili, che cazzo dici! Esistono corridori in forma e fuori forma…”

”Senti io non lo so come sarà fra dieci anni, ma io so che ora è imbattibile”

“Ma come fai ad esserne così certo?”, domandò con sguardo inquieto Vankerke direttore della GSK.

“Senti, io non dovrei dirtelo ma è un’informazione riservata dell’Agenzia. E’ che lui lavora su di un programma della SANY. Un programma che hanno messo a punto da un anno. Nessuno lo può rilevare. E la cosa spettacolare è che non è doping…non è rilevabile. Non esiste doping, non c’è sostanza iniettata nel corpo, non c’è nulla!”, rispose assertivo l’addetto stampa della GSK.

Intanto Radio cCorsa comunicò lo scatto di Finkorou, proprio sul Rosier. 

“Te l’avevo detto!”

“Incredibile! Se penso che questo in salita appena le vedeva perdeva le ruote!!”

“Ma che è questa roba?”

“Secondo le informazioni avute dall’Agenzia è un programma che lavora sui trioni?”

“Su che?” saltò in aria Vankerke come se si fosse seduto su della dinamite.

 

Tonino si sollevò penosamente dal letto. Si mosse a fatica zoppicando per andare in bagno. La tv gracchiava in un angolo.

Tonino aveva 81 anni. Tonino le sentiva quelle ombre che gli si attorcigliavano alle caviglie. Quelle ombre che venivano da sotto. Non avevano un nome ma avevano tanti nomi. Le conosceva bene Tonino. Da anni ci combatteva contro. Non ce la faceva più Tonino. Quelle ombre erano troppo forti ormai per lui. Sapeva che da un momento all’altro l’avrebbero tirato giù, e per sempre.

La tv gracchiava in un angolo. Tonino si fermò un attimo. La guardò.

 

Che belli tutti quei colori!

 

Tonino vide tanti corpi colorati che si muovevano su e giù. Si rincorrevano. Si avvicinavano. Si allontanavno. Si attraevano. Si respingevano.

Si mise gli occhiali.

Vide un giovane bello e forte partire come una catapulta.

“E’ partito Oivgt. E’ partito Oivgt! Attenzione che questo se non vanno a riprenderlo subito arriva ... Questo è un bel treno. Vero David?”

“Certo questo ha una forma stratosferica. E’ una littorina straordinaria. Attenzione che se Pattini e Rabiolin non vanno subito a riprenderlo non lo vedono più?”, continuava a gracchiare la tv.

Tonino rimase incollato a guardare la tv e si dimenticò la pipì.

 

Il ciclismo. Dio mio avevo dimenticato che esistesse questo sport! Sono tutti nuovi…io sono Rimasto a Coppi e Bartali…ma che corsa sarà?

 

Radio Corsa aveva comunicato che Finkorou aveva riacciuffato Oivgt. I due d’amore e d’accordo pedalavano ora come due treni, e il gruppo dietro con i migliori non riusciva a rientrare.

Basco, Rabiolin e Pattini erano i più attivi. Di Lucia il favorito aveva trovato una giornata no. E si era staccato sulla Redoute.

“Che ti avevo detto!” riprese Tomboyd, l’addetto stampa della GSK, accendendosi una sigaretta e aprendo il finestrino dell’ammiraglia.

“Ma mi vuoi spiegare come funzionano questi troioni…troiani o come cazzo si chiamano?”

“Tutto è cominciato quando la SANY ha deciso di sponsorizzare la D-Mob. Loro avevano messo segretamente a punto un programma con queste particelle. I trioni sono delle particelle che….come posso spiegarti?…insomma sono delle particelle che se ne fregano di tutte le coordinate spazio-temporali. Loro hanno inventato un marchingegno con cui sparano queste particelle al cervello. In punti specifici del cervello. E queste modificano alla fine tutto l’apparato genetico…”

“Cazzo! Ma sei sicuro di quello che dici?”

“Sicurissimo. Guarda che se Finkorou, rimane lì è per ordini di scuderia… se volesse potrebbe staccare Oivgt quando vorrebbe. Se voleva poteva partire sulla cote di Stockeu a 90 chilometri dall’arrivo e da solo! Ma la SANY non vuole rischiare…”

“E tu come lo sai?”

La cosa che più offende un anziano è essere considerato già qualcosa che è destinato a morire. Nessuno ti considera più un essere vivente, che ha carne, pelle, che soffre, pensa e ha sentimenti. Sei un vecchio: sei un morto, o qualcosa vicino a morire…

 

Tonino guardava la corsa e pensava. Ma i suoi pensieri piano piano avevano diradato le ombre. Aveva ritrovato il sorriso. Si era appassionato a quei giovanotti tutti muscoli. A quelle divise piene di colori. A quella campagna verde dove i colori sfrecciavano veloci.

 

Chi vincerà, si chiedeva.?

 

Guardava la pedalata. Da giovane era stato un buon dilettante. Quel giovanotto basso e tarchiato con la maglia giallo-blu aveva una bella pedalata, potente, forte e faceva girare le gambe. Sembrava quasi che stesse sempre sul punto di scattare e di andarsene da solo ma qualcosa lo tratteneva. La testa gli diceva che avrebbe vinto. E allora il cuore lo portò a sperare per l’altro. Uno spilungone sul metro e ottanta che spingeva rapporti lunghi e massacranti. 

Tonino si stava dimenticando un po’ alla volta che quella era un’altra triste domenica che passava da solo. Nessuno lo veniva a trovare. Da anni ormai. Il mondo si era dimenticato di lui. E questo è il modo in cui il mondo ti prepara a distaccarti da lui: dimenticandoti…che esisti.

 

“Attenzione! Attenzione! Il gruppo tirato da Trinketriz si sta facendo sotto. Cinquanta secondi, cinquanta secondi di vantaggio per Finkorou e Oivgt! Attenzione il gruppo sta rientrando! ” urlava concitata Radio Corsa. “Attenzione 20 all’arrivo! Il gruppo ha ridotto lo svantaggio da 1’20” a 50”!!!”

“E allora che mi dici ora! Vedi che Trinketriz si è messo a tirare per Pattini, e il gruppo sta rientrando. Li riprendono”, insisté Vankerke. “Ma i nostri dove cazzo sono andati a finire? Perché Gooberd non attacca?”

“Non li riprendono. Finkorou va via quando vuole, te l’ho detto.”

“Ma te che ne sai?”

“Senti io ho lavorato 10 anni per l’Agenzia. E lì dentro ho ancora buoni amici. Se ti dico che lo so è perché lo so!”

 

“David i due fuggitivi hanno ormai attaccato la salita “Degli Italiani”. Che dici li riprende il gruppo?” 

“No ormai penso proprio di no! E’ troppo tardi. E poi i due pedalano troppo forte. Guardate la potenza di Finkorou! Ha una gamba piena, esplosiva. Sicuramente vince lui…”, commentavano i due inviati della RAI.

Tonino ormai aveva dimenticato le lunghe ombre che lo visitavano la notte e il giorno. Quelle ombre che ormai gli impedivano di distinguere il giorno dalla notte.

Tonino sedeva sereno davanti alla tv e ascoltava. Ed i suoi pensieri erano ritornati a quando era giovane. A Ccoppi e Bartali.

 

Dio mio quanto tempo era passato! Eppure era stato un attimo. Un soffio…

E come sono diversi questi giovani oggi. Sembrano dei gladiatori romani, con le loro divise attillate, coi loro elmi in testa. Tutti belli. Tutti muscolari. E siedono su alti cavalli d’acciaio. A suoi tempi…se ci ripensava, anche l’Airone Coppi gli sembrava uno sgraziato animale con quei capelli impomatati tutto gobbo sul sellino…lungo stradoni tutti polvere e miseria…

 

“Insomma come ti ho detto secondo il rapporto dell’Agenzia, la SANY ha messo a punto un processo di stimolazione magnetica transcraniale ed usa pulsazioni di energia magnetica basata sui trioni per provocare, attraverso la stimolazione delle cellule cerebrali, correnti di energia che agiscono sul cervello e che lentamente alterano le strutture delle cellule. E’ un sistema incredibile! Si possono creare atleti in laboratorio! Questo sta diventando lo sport!!!”, concluse Tomboyd, accendendosi un’altra sigaretta e aspirandola con il gusto dell’uomo che sa come va il mondo.

“Beh! senti guardiamo di procurarcelo anche noi quest’aggeggio così evitiamo di fare queste figure di merda quando veniamo alla Liegi-Bastogne-Liegi. Ma dove cazzo sarà andato a finire Gooberd?. Gooberd! Gooberd!!! Ma dove cazzo sei finito!!!”, cominciò ad urlare nella radiotrasmittente Vankerke.

 

“Duecentocinquantamentri all’arrivo signori! Oivgt controlla Finkorou. Finkorou non accenna allo scatto, come mai David?”

“Ma a me se sembra che non vi sia storia. Finkorou è così sicuro della vittoria che può partire anche ai cinquanta metri. Non ha problemi. Come si può vedere ha una pedalata che non ammette storie…”

”Ecco David Finkorou è scattato! E’ incredibile …uno scatto impressionante! Una sciabolata micidiale…Finkorou!!! Primo!!!...taglia il traguardo a mani alte in sei ore e ventiquattro minuti alla media di…”

E la tv continuava a gracchiare in un angolo, illuminando ora di chiaro ora di scuro il volto addormentato e sereno di Tonino. Addormentato per sempre. In un mondo lontano miliardi di trioni da quello in cui aveva vissuto.

Ma quel sorriso non era un sorriso di sarcasmo verso quel mondo che l’aveva dimenticato.

Si era congedato così…affascinato dalla bellezza e dalla grazia dei muscoli di quei nuovi gladiatori, come lui li aveva definiti.

Con gli occhi socchiusi. Il volto reclinato verso destra. Il braccio che gli penzolava a mezz’aria. Un sottile rivolo bagnava i suoi pantaloni e scendeva giù lungo la gamba finendo in una pozza giallognola sotto la sedia.

 

 

giovedì 28 ottobre 2010

Arthur Machen - Un’idea del Male

Arthur Machen - Un’idea del Male

 

Mi sono spesso chiesto come il male irrompa nel mondo.
Una volta scrivendo un racconto ho pensato che potesse irrompere dalle viscere di un uomo, nella violenza immonda di un rutto. Che liberasse il fetido gusto del male dai maleodoranti recessi dell’intestino quali simbolo dei visceri della terra Ma forse era già sbagliato l’uso del verbo.
Usare irrompere presuppone l’idea di una forza di cui in realtà il male non ha alcun bisogno di avvalersi. Allora ho pensato che insinuarsi ne desse meglio l’idea. Ma non è così. O perlomeno non è esattamente così.

E’ stato leggendo uno scrittore gallese poco noto alla scena internazionale, Arthur Machen, che mi sono reso conto che i miei tentativi di trovare i verbi opportuni per designare l’azione del Male nel mondo stavano nel rapporto dell’accidente rispetto alla causa.

Arthur Machen nato a Caerleon-on-Usk, Wales, alla fine del XIX secolo (1863) e morto nella prima metà del XX (1947) fu uno scrittore di scarso successo. Come da copione visse una vita grama e piena di difficoltà economiche. Le sue opere più famose furono The Great God Pan, The secret Glory, The Terror (un racconto su una raccapricciante ribellione di animali, divenuti assassini, che sembra abbia ispirato Hitchcock per il suo film The Birds).
Il suo modo di scrivere, talora noioso e di difficile gusto per chi oggi è abituato a leggere di horror, tutto fondato sul dialogo e sulla descrizione e poco propenso all’azione, rivela una visione del male interamente medievale (da un punto di vista dell’impianto filosofico che vi sta alla base).

Il Male per lui è qualcosa di positivo, solo che sta dall’altra parte (“Evil, of course, is wholly positive--only it is on the wrong side” – The White People): è Sovrannaturale in senso lato, il cui rapporto con questo mondo (con le azioni malvagie di questo mondo) è quello delle idee (platoniche), della loro relazione con le cose. Il Sovrannaturale che si rivela in questo mondo in fondo non è che una copia sbiadita dell’idea: “”E Voi pensate che il grande peccatore, allora, sia un grande asceta, come lo è un grande santo?”, “I Grandi di qualsivoglia genere rinunciano alle copie imperfette e si rivolgono all’originale” ("And you think the great sinner, then, will be an ascetic, as well as the great saint?", "Great people of all kinds forsake the imperfect copies and go to the perfect originals” – The Withe People).

Il Sovrannaturale si manifesta, al pari di una teofania, nell’ 'idea di'. E’ in un certo senso coeterno all’idea. Si manifesta allorché l’idea si rivela in un atto intenzionale, come 'l’idea di' un tavolo si manifesta nella mente del suo artefice sotto forma di intenzione di creare un tavolo.
E tuttavia il Sovrannaturale che percepiamo, ci appare non nella sua stessa essenza ma tramite forme intermedie dotate di fisicità, corporeità: il Sovrannaturale interviene in questo mondo appunto in virtù di exemplares, cioè di immagini attraverso cui il Sovrannaturale manifesta se stesso.

Uno dei suoi racconti più brevi e più noti è The Bowmen (Gli arcieri). Il racconto non è di per sé nulla di esaltante [1]
Machen partiva da un assunto che mutatis mutandis è di grande attualità tutt’oggi: “Ogni età e ogni popolo ha accarezzato l’idea che entità spirituali possano soccorrere eserciti terreni. Era scoppiata la Prima Guerra Mondiale e il The Evening Post gli chiese un racconto. Il giornale glielo pubblicò il 29 settembre 1914 all’indomani della ritirata di Mons. In questo racconto Machen immaginò in modo molto suggestivo che, nel mezzo della battaglia, San Giorgio alla testa degli antichi arcieri di Azincourt andasse a portare soccorso all’esercito britannico.

Ed è la storia post pubblicazione che ci dà la dimensione di come il Sovrannaturale gli sia sfuggito di mano proprio a lui che lo aveva esattamente pensato, prodotto e messo in circolazione, come del resto ammise lo stesso Machen allorché, a causa del successo che ebbe la pubblicazione del racconto, fu costretto a scriverne un’introduzione per un’edizione singola: “Questa storia de “Gli Arcieri” è stata una storia davvero strana dall’inizio alla fine”. A tale punto si innesta una reazione imprevista: il Sovrannaturale diviene incontenibile e sfugge di mano alle intenzioni stesse del suo autore.

E pochi giorni infatti dopo la pubblicazione, l’editor de The Occult Review scrisse a Machen per sapere se la storia avesse un qualche fondamento reale. Machen gli rispose che assolutamente no, non vi era fondamento di alcuna sorta.
Di lì a poco anche l’editor di Light gli inviò una sua nota ponendogli la stessa domanda, alla quale Machen rispose nello stesso modo. Un mese o due più tardi ricevette numerose richieste di gazzette parrocchiali di autorizzazione alla pubblicazione della storia.

A questo punto il Sovrannaturale evocato diviene, e vive di azione e forza indipendente dal suo creatore. La muffa argentea comincia a diffondersi, la macchia scura si allarga.

Dopo circa un altro mese uno degli editor di queste gazzette gli scrive per riferirgli che le copie della gazzetta con il suo racconto erano andate a ruba e vi era un’ ulteriore grande richiesta del suo racconto e gli chiedeva infine se era anche possibile scrivere una piccola introduzione citando le fonti reali da cui aveva preso spunto per il racconto, concedendogli infine il permesso per pubblicarlo sotto forma di pamphlet.
A quel punto Machen comincia a provare un certo spaesamento. Si rende conto che qualcosa gli sfugge, va oltre le sue intenzioni nonostante la consapevolezza di aver intenzionalmente creato quel racconto non basandosi su alcunché di reale.
Risponde che poteva con tutta la sua gratitudine pubblicare il racconto ma che di fonti non ne esistono e che quindi non può soddisfare la sua curiosità.
L’ editor di nuovo si rifà vivo insistendo che dev’esserci un errore, che almeno i fatti principali de “Gli Arcieri” devono essere veri, che il suo racconto dev’essere l’elaborazione di un fatto veramente accaduto.
Machen stesso ormai incapace di contenere quanto lui stesso ha evocato, riferisce che persino un ufficiale dell’esercito di Sua Maestà gli aveva recapitato una lettera dicendogli che sul campo di battaglia gli era apparso San Giorgio da lui stesso invocato, che lo aveva aiutato nel migliore dei modi.

Addirittura ci furono voci di un fatto realmente accaduto su di un campo di battaglia, dove alcuni corpi di soldati prussiani sarebbero stati ritrovati trapassati da frecce.

Lo smarrimento di Machen per quanto sta accadendo è al livello più alto. Non sa capacitarsi di come quello che per lui era stata una fantasia anche troppo ardita venisse ormai ampiamente accettata non solo in ambienti esoterici e occulti ma anche avesse una diffusione pubblica.
Ormai corrono le voci più disparate: su di un campo di battaglia, riferiscono alcuni testimoni oculari, una nube si era interposta fra l’offensiva tedesca e la ritirata degli inglesi. Secondo altri testimoni la nube aveva nascosto i soldati inglesi alla vista delle truppe germaniche che avanzavano, rendendoli invisibili. Secondo altri ancora delle figure di luce erano apparse sul campo di battaglia impaurendo i cavalli dell’esercito germanico che inseguiva i soldati inglesi.
Il flusso è inarrestabile, la macchia si allarga a dismisura.
Il suo racconto non aveva fatto altro che condensare, rapprendere, unificare, fare da trait d’union per altre migliaia di exemplares di un sovrannaturale che manifesta se stesso in mille modi, dalla superstizione alla visione, alla leggenda, fino alla testimonianza.
Lo stesso Machen non si sente più in grado di comprendere la chiliogonica manifestazione di un’idea che lui medesimo aveva teorizzato in The White People nel 1904.
Se il chiliogono posso pensarlo perfettamente (una figura geometrica che ha mille lati) così altrettanto non posso rappresentarlo perfettamente nella fantasia perché man mano che i lati si moltiplicano, l’immaginazione si dilata, e nella loro raffigurazione se ne perde la distinzione.
Ma quello che forse Machen pensa gli sia sfuggito di mano in realtà è proprio quello che in modo molto teoretico aveva affermato nel racconto The White People: il male è positivo al pari del bene, solo che sta dall’altra parte, cioè da quella parte opposta alla tua, che non lo controlli più perché è andato nella direzione opposta a quella che volevi, a tal punto fuori del tuo controllo che ti si ritorce contro. E’ la seconda caduta, per cui ripeti in questo mondo quella che fu la prima caduta originaria: “Il peccatore cerca di ottenere qualcosa che non fu mai suo.
In breve, ripete la caduta” (“The sinner tries to obtain something which was never his. In brief, he repeats the Fall."- The Withe People)

 

 

THE BOWMEN
by Arthur Machen

IT WAS DURING the Retreat of the Eighty Thousand, and the authority of the Censorship is sufficient excuse for not being more explicit. But it was on the most awful day of that awful time, on the day when ruin and disaster came so near that their shadow fell over London far away; and, without any certain news, the hearts of men failed within them and grew faint; as if the agony of the army in the battlefield had entered into their souls.

On this dreadful day, then, when three hundred thousand men in arms with all their artillery swelled like a flood against the little English company, there was one point above all other points in our battle line that was for a time in awful danger, not merely of defeat, but of utter annihilation. With the permission of the Censorship and of the military expert, this corner may, perhaps, be described as a salient, and if this angle were crushed and broken, then the English force as a whole would be shattered, the Allied left would be turned, and Sedan would inevitably follow.

All the morning the German guns had thundered and shrieked against this corner, and against the thousand or so of men who held it. The men joked at the shells, and found funny names for them, and had bets about them, and greeted them with scraps of music-hall songs. But the shells came on and burst, and tore good Englishmen limb from limb, and tore brother from brother, and as the heat of the day increased so did the fury of that terrific cannonade. There was no help, it seemed. The English artillery was good, but there was not nearly enough of it; it was being steadily battered into scrap iron.

There comes a moment in a storm at sea when people say to one another, "It is at its worst; it can blow no harder," and then there is a blast ten times more fierce than any before it. So it was in these British trenches.

There were no stouter hearts in the whole world than the hearts of these men; but even they were appalled as this seven-times-heated hell of the German cannonade fell upon them and overwhelmed them and destroyed them. And at this very moment they saw from their trenches that a tremendous host was moving against their lines. Five hundred of the thousand remained, and as far as they could see the German infantry was pressing on against them, column upon column, a grey world of men, ten thousand of them, as it appeared afterwards.

There was no hope at all. They shook hands, some of them. One man improvised a new version of the battlesong, "Good-bye, good-bye to Tipperary," ending with "And we shan't get there". And they all went on firing steadily. The officers pointed out that such an opportunity for high-class, fancy shooting might never occur again; the Germans dropped line after line; the Tipperary humorist asked, "What price Sidney Street?" And the few machine guns did their best. But everybody knew it was of no use. The dead grey bodies lay in companies and battalions, as others came on and on and on, and they swarmed and stirred and advanced from beyond and beyond.

"World without end. Amen," said one of the British soldiers with some irrelevance as he took aim and fired. And then he remembered-he says he cannot think why or wherefore - a queer vegetarian restaurant in London where he had once or twice eaten eccentric dishes of cutlets made of lentils and nuts that pretended to be steak. On all the plates in this restaurant there was printed a figure of St. George in blue, with the motto, Adsit Anglis Sanctus Geogius - May St. George be a present help to the English. This soldier happened to know Latin and other useless things, and now, as he fired at his man in the grey advancing mass - 300 yards away - he uttered the pious vegetarian motto. He went on firing to the end, and at last Bill on his right had to clout him cheerfully over the head to make him stop, pointing out as he did so that the King's ammunition cost money and was not lightly to be wasted in drilling funny patterns into dead Germans.

For as the Latin scholar uttered his invocation he felt something between a shudder and an electric shock pass through his body. The roar of the battle died down in his ears to a gentle murmur; instead of it, he says, he heard a great voice and a shout louder than a thunder-peal crying, "Array, array, array!"

His heart grew hot as a burning coal, it grew cold as ice within him, as it seemed to him that a tumult of voices answered to his summons. He heard, or seemed to hear, thousands shouting: "St. George! St. George!"

"Ha! messire; ha! sweet Saint, grant us good deliverance!"

"St. George for merry England!"

"Harow! Harow! Monseigneur St. George, succour us."

"Ha! St. George! Ha! St. George! a long bow and a strong bow."

"Heaven's Knight, aid us!"

And as the soldier heard these voices he saw before him, beyond the trench, a long line of shapes, with a shining about them. They were like men who drew the bow, and with another shout their cloud of arrows flew singing and tingling through the air towards the German hosts.

The other men in the trench were firing all the while.They had no hope; but they aimed just as if they had been shooting at Bisley. Suddenly one of them lifted up his voice in the plainest English, "Gawd help us!" he bellowed to the man next to him, "but we're blooming marvels! Look at those grey ... gentlemen, look at them! D'ye see them? They're not going down in dozens, nor in 'undreds; it's thousands, it is. Look! look! there's a regiment gone while I'm talking to ye."

"Shut it!" the other soldier bellowed, taking aim, "what are ye gassing about!"

But he gulped with astonishment even as he spoke, for, indeed, the grey men were falling by the thousands. The English could hear the guttural scream of the German officers, the crackle of their revolvers as they shot the reluctant; and still line after line crashed to the earth.

All the while the Latin-bred soldier heard the cry: "Harow! Harow! Monseigneur, dear saint, quick to our aid! St. George help us!"

"High Chevalier, defend us!"

The singing arrows fled so swift and thick that they darkened the air; the heathen horde melted from before them.

"More machine guns!" Bill yelled to Tom.

"Don't hear them," Tom yelled back. "But, thank God, anyway; they've got it in the neck."

In fact, there were ten thousand dead German soldiers left before that salient of the English army, and consequently there was no Sedan. In Germany, a country ruled by scientific principles, the Great General Staff decided that the contemptible English must have employed shells containing an unknown gas of a poisonous nature, as no wounds were discernible on the bodies of the dead German soldiers. But the man who knew what nuts tasted like when they called themselves steak knew also that St. George had brought his Agincourt Bowmen to help the English.

The bowmen (Gli arcieri) di Arthur Machen
trad. e note di Marco R. Capelli  Pubblicato su PB17

 

Accadde durante la ritirata degli Ottantamila, ed il segreto militare impedisce di aggiungere altri dettagli. Ma fu proprio nel giorno più orribile di quel periodo orribile, nel giorno in cui la rovina ed il disastro arrivarono così vicini che la loro ombra si proiettò fin sulla lontana Londra; quando, senza notizie dal fronte, gli uomini sentirono il cuore venir meno e riempirsi di angoscia; come se l’agonia dell’esercito sul campo di battaglia fosse entrata nelle loro anime.

In quel giorno da incubo, dunque, quando trecentomila soldati con la loro artiglieria fluirono come un’inondazione contro la piccola compagnia inglese, c’era un punto che, più di ogni altro punto, si trovò per un certo tempo in estremo pericolo, non solo di essere preso dal nemico quanto, piuttosto, completamente annientato. Con il permesso della Censura e degli esperti militari, questo angolo potrebbe, forse, essere chiamato come avamposto, e se questo avamposto fosse stato preso e le sue difese infrante, allora l’intero fronte inglese sarebbe stato diviso, gli Alleati rimasti avrebbero dovuto ritirarsi ed una nuova Sedan(1) sarebbe stata l’inevitabile conclusione.

Per tutta la mattina i cannoni tedeschi avevano tuonato e fischiato contro questo angolo, e contro il migliaio di uomini che lo tenevano. Gli uomini si burlavano dei proiettili, davano loro buffi soprannomi, e facevano scommesse e li salutavano cantando strofe di canzoni d’avanspettacolo. Ma i proiettili arrivavano, e perforavano e facevano a pezzi coraggiosi soldati inglesi, e separavano fratello da fratello e, così come cresceva il calore del giorno, così faceva la furia di quelle terrificanti cannonate. Non c’era nulla che si potesse fare, o così sembrava. L’artiglieria inglese era buona, ma non era neppure lontanamente sufficiente; e sotto quel martellamento si trasformava lentamente in un ammasso di inutili rottami.

C’è un momento durante una tempesta sul mare quando le persone si dicono l’una con l’altra: “Questo è il momento peggiore, non è possibile che soffi più forte” e poi arriva un colpo di vento dieci volte più violento di tutti quelli che l’anno preceduto. Così succedeva in quelle trincee britanniche.

Non c’erano cuori più saldi nel mondo intero dei cuori di quegli uomini; ma persino loro restavano attoniti mentre questo inferno sette volte arroventato(2) di cannonate tedesche gli cadeva addosso, e li sommergeva e li distruggeva. E proprio in quel momento videro dalle trincee che una tremenda armata stava muovendo verso le loro linee. Dei mille che erano stati ne restavano cinquecento e, per quel che potevano vedere, ora la fanteria germanica stava avanzando, colonna dopo colonna, una massa grigia di uomini; diecimila, come si seppe dopo.

Non c’era nessuna speranza. Alcuni di loro si strinsero la mano. Un uomo improvvisò una nuova versione della canzone di guerra Addio, Addio a Tipperary, terminandola con un laconico “E non ci arriveremo mai”. E tutti continuarono a sparare senza esitazioni. Gli ufficiali fecero notare che un’opportunità così buona per fare tiro al bersaglio avrebbe potuto non capitare mai più; i tedeschi cadevano fila dopo fila; l’umorista di Tipperary disse, “Altro che Sidney Street!(3)” e le poche mitragliatrici fecero del loro meglio. Ma tutti sapevano che era inutile. I cadaveri grigi giacevano a compagnie e battaglioni, ma altri arrivavano senza sosta, e sciamavano e si muovevano ed avanzavano sempre più.

“Nei secoli dei secoli(4). Amen”, disse uno dei soldati Britannici un poco a sproposito, mentre prendeva la mira e sparava. E poi si ricordò – dice che non saprebbe dire perchè o per quale motivo – di un bizzarro ristorante vegetariano a Londra, dove un paio di volte aveva mangiato piatti eccentrici a base di polpette di lenticchie e noci che cercavano di farsi passare per bistecche. Su tutti i piatti, in questo ristorante, era stampata in blu un’immagine di S.Giorgio e sotto c'era scritto: Adsit Anglis Sanctus Georgius – Possa S.Giorgio aiutare sempre gli inglesi. Si da il caso che questo soldato conoscesse il latino ed altre cose inutili, e così, mentre sparava al suo uomo nella massa grigia che avanzava – trecento iarde più in là – mormorò il pio motto vegetariano.

Continuò a sparare senza interruzione, finchè Bill, che stava alla sua destra, dovette fermarlo dandogli un colpetto in testa e facendogli contemporaneamente notare che le munizioni del Re costavano denaro, e che quindi non c’era motivo di sprecarle con leggerezza trapanando fori inutili nel corpo di un tedesco già morto.

Il fatto è che, quando lo studioso di latino aveva sussurrato la sua invocazione, aveva sentito qualcosa che stava a metà tra un brivido ed una scossa elettrica passargli attraverso il corpo. Il ruggito della battaglia si era spento nelle sue orecchie ed era stato sostituito da un gentile mormorio; poi, dice, udì una gran voce e poi un comando che risuonò più forte di un corno da guerra: “In riga, in riga, in riga!”.

Il cuore gli si scaldò come carbone ardente, e poi si raffreddò come se avesse del ghiaccio in petto, perchè gli sembrava che quel tumulto di voci rispondesse alla sua invocazione. Udì, o gli sembrò di udire, migliaia di persone urlare: “San Giorgio! San Giorgio!”

“Ha! Messere. Ha! Buon Santo, assicuraci la salvezza!”

“San Giorgio, per la bella Inghilterra!”

“Saccheggio! Saccheggio! Nostro Signore San Giorgio, soccorrici.”

“Ha! San Giorgio! Ha! San Giorgio! Un arco lungo ed un arco forte.”

“Cavaliere del Paradiso, aiutaci!”

E mentre il soldato udiva queste voci vide di fronte a lui, oltre la trincea, una lunga linea di forme circondate da un alone luminoso. Erano come uomini che tendessero l’arco e con un altro urlo, la loro nube di frecce volò cantando e tintinnando attraverso l’aria verso le armate tedesche.

* * * *

Gli altri uomini nella trincea non avevano mai smesso di sparare. Non avevano speranza, ma prendevano la mira esattamente come se stessero sparando a Bisley(5).

All’improvviso uno di loro alzò la voce ed iniziò a parlare. “Iddio ci aiuti!”, muggì all’uomo che gli stava vicino, “Siamo davvero dei tiratori eccezionali! Guarda quei ... gentiluomini grigi, guardali! Li vedi? Non cadono a dozzine, neanche a centinaia, vanno giù a migliaia, vanno giù. Guarda! Guarda! Un intero reggimento è andato giù mentre stavo parlando con te.”

“Piantala!” grugnì l’altro soldato, prendendo la mira, “Che cosa stai cianciando?”

Ma rimase senza fiato per la sorpresa perchè, davvero, anche mentre stava parlando, gli uomini grigi cadevano a migliaia. Gli inglesi potevano udire le grida gutturali degli ufficiali tedeschi, lo scoppio dei loro revolver quando sparavano agli uomini che non volevano avanzare e tuttavia, linea dopo linea, cadevano a terra.

* * * *

Contemporaneamente, il soldato che sapeva il latino continuava ad udire le grida:

“Saccheggio! Saccheggio! Nostro signore, buon santo, vieni presto in nostro aiuto! San Giorgio, aiutaci!”

“Grande Cavaliere, difendici!”

Le frecce tintinnanti volavano così veloci e fitte da oscurare l’aria, l’orda pagana si sciolse di fronte a loro.

“Altre mitragliatrici!” urlò Bill a Tom.

“Non le sento.” rispose Tom, “Ma grazie a Dio, in ogni caso, si stanno ritirando.”

Infatti c’erano diecimila soldati tedeschi morti sul campo davanti a quell’avamposto dell’esercito inglese, e di conseguenza non vi fu nessuna Sedan(6). In Germania, paese governato da amministratori scientifici, il Grande Comando Generale decise che gli spregevoli inglesi dovevano aver usato un gas velenoso di natura sconosciuta, dato sul corpo dei soldati morti non c’era nessuna ferita visibile.

Ma l’uomo che sapeva che sapore avessero le noci quando tentavano di farsi passare per bistecche, sapeva anche che S.Giorgio aveva portato i suoi arcieri di Agincourt(7) per aiutare gli inglesi.

Arthur Machen

 

Note:

1.       Si riferisce alla battaglia di Sedan, combattuta il 1° Settembre 1870 durante la guerra Franco-Prussiana e conclusasi con una clamorosa sconfitta delle forze francesi e con la cattura di Napoleone III. E’ usato come sinonimo di completa sconfitta.

2.       Si fa probabilmente riferimento alla descrizione biblica della fornace di Nabucodonosor che era sette volte più calda di qualsiasi altra fornace. (Daniele 3:23). E’ una delle rappresentazioni bibliche dell’inferno.

3.       Probabile riferimento ad un fatto di cronaca del 1911, una sparatoria tra bande anarchiche avvenuta nell’East End di Londra che si concluse con numerose vittime. All’epoca in cui fu scritto il racconto era un evento piuttosto recente e ben noto.

4.       In originale “world without end”, da S.Paolo, Efesini 3:21 che recita: “To him be glory in the church, and in Christ Jesus unto all generations, world without end. Amen” ovvero “A lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen”.

5.       Campo di tiro al piccione poco fuori Londra.

6.       Vedi nota 1.

7.       Si riferisce alla battaglia di Agincourt (25 Ottobre 1415) combattuta durante la Guerra dei Cent’anni, che si concluse con una grande vittoria degli inglesi ai danni delle forze francesi comandate dal Connestabile Charles D’Albret. La battaglia è descritta (e romanzata) da Shakespeare nel dramma Enrico V.

 

 


[1] -------------------------------------------------------------
Lo stesso Machen lo riconoscerà: “La storia in sé non è niente, ma ha tuttavia avuto tali e impreviste conseguenze e avventure che la loro narrazione può essere di un certo interesse.” Di un interesse superiore allo storia medesima, aggiungiamo noi!

 

mercoledì 27 ottobre 2010

FIGLI DELLE STELLE di Lucio Pellegrini




Figli delle stelle

REGIA. Lucio Pellegrini. 

 






ATTORI:

Pierfrancesco Favino

Fabio Volo

Giuseppe Battiston

Claudia Pandolfi

Paolo Sassanelli

 

GENERE:Commedia

 

DURATA: 102 min.

 

E’ un film che ripropone in chiave un po’ nostalgica gli anni del terrorismo, quello vero degli Anni Settanta, riesumati da un gruppo sprovveduto ed improvvisato: un portuale di Marghera, un precario cronico, un ricercatore universitario , un’ ingenua giornalista tv ed un uomo appena uscito di galera.

I membri di questo gruppo sono tutti uniti dal rigetto per la politica: quella sbrodolata ad nauseam in tv, dove meglio e più parli, vinci.

Il gruppo decide di rapire un ministro e di chiedere il riscatto per risarcire la famiglia di un uomo morto in un incidente sul lavoro, ma rapiscono non il ministro bensì un povero sottosegretario. E da qui inizia l’avventura, esilarante…

La gente di chiacchiere televisive oggi non ne può più e può arrivare a prendere le armi e ribellarsi. Ma il terrorismo di oggi è figlio della cultura del superenalotto, del Grande Fratello, dei tronisti e dei milleuristi. E’ figlio dell’incazzatura del tamarro un po’ coatto, che è pur sempre un’incazzatura, seppur diversa da quella rabbiosa del proletario degli Anni Settanta. E d’altronde non si può pretendere che il tamarro-coatto degli anni 2010 sappia scrivere comunicati politici come sapevano le fini menti marxiste del 1970 ed anni affini. E il terrorista del 2010 sarà un surrealista più che un terrorista.

E qui Pellegrini (uno che di televisione ne ha fatta tanta) è bravo, perché usando il registro televisivo al meglio, amplifica i difetti degli italiani (tutti un po’ tamarri, ormai) e crea situazioni assurde, patetiche ed esilaranti. E’ la versione di una moderna armata Brancaleone quella che mette in scena Pellegrini. E fa un film decisamente nuovo, fresco. Ci dà la dimensione di un cinema italiano che dopo tanti e continui tentativi pare abbia finalmente trovato un suo stile internazionale e proprio e si stia definitivamente lasciando alle spalle i fantasmi del neorealismo, seppure insista sugli aspetti caciaroni, confusionari della cultura sbraitante e arruffona del “volemose tutti bbene!” all’ Albertone nazionale. Un film che fa del caos di questa cultura (casinista) il suo punto di forza, facendo ridere.

 

Grande prova di Pierfrancesco Favino, soprattutto, e Claudia Pandolfi. Giuseppe Battiston bravo come sempre. Sottotono Fabio Volo (assai opaco, quasi tonto) e Paolo Sassarelli (un po’ spento).

E’ un film che sa unire bene generi diversi: comico, poliziesco e drammatico. Che ha trovate davvero fresche: come Bauer (Giuseppe Battiston) che all’arresto, trionfante, si dichiara prigioniero politico, perché finalmente felice di vedere realizzato il suo sogno di essere diventato un terrorista vero, come quelli veri degli Anni Settanta . Una ventata di gioventù la trovata di spiegare le ragioni della vita usando i testi delle canzoni.

Un bel film. Io tre stelle gliele darei, belle piene!

LETTERA APERTA A MATTEO PATRONE DIRETTORE DE www.ilpolitico.it



LETTERA APERTA A MATTEO PATRONE DIRETTORE DE www.ilpolitico.it

(Intervento di Matteo Patrone su ilpolitico.it 26/10/2010)

Ciò che stiamo per scrivere sarà popolare solo per una metà. Del Paese. La metà che si chiama Italia - esclusa la classe dirigente. O meglio politica. E non solo perché contiene una critica nei suoi confronti. Stiamo per scrivere che le persone capaci di incidere sul discorso pubblico che vogliono il bene dell’Italia - più il Politico.it - sono tutte di nazionalità, origine, forte contaminazione e cultura non italiane. Loro, per due ragioni e grazie ad una condizione.
Come scriveva Cavour all’alba del Risorgimento il futuro del nostro Paese è parte del futuro del mondo, del progresso. L’Italia - anche se noi oggi l’abbiamo dimenticato - è (è stato) un gigante della civiltà. E lo è (è stato) in virtù delle sue risorse intrinseche, che sono ancora lì, dentro di noi. Per tornare grandi dobbiamo solo rimetterci mano. Come? Lo abbiamo scritto, lo scrivono loro, torneremo a scriverlo noi: liberandoci. Ma non di Berlusconi o di chicchessia (anche se, come vedremo, questa liberazione passa necessariamente attraverso un rinnovamento, ma non solo nominalistico o anagrafico). Liberandoci dai lacciuoli emotivi e anticulturali che, storicamente e in maniera più acuta recentemente, ci hanno prima «corrotto e frustrato», e poi addormentato. E la chiave per fare tutto questo è la «cultura (popolare)». Ma su questo torneremo.

La seconda ragione è che - come peraltro scrive lo stesso Emmott - un mondo così civile, così istruito, così “colto”, così connesso e solidale non è esistito mai. Beninteso: ci sono ancora prigioni, in giro per il pianeta, in tutti i sensi. E al di là di questo problemi - fame e povertà, quest’ultimo peraltro a rischio di riacutizzazione se non torneremo a riconoscere la primazia della politica sull’economia, su tutti - permangono, ovviamente, tutt’oggi. Ma in generale non siamo mai stati così bene. Pensateci. La causa di tutto questo è l’”interconnessione dei destini delle nazioni” assicurata - va riconosciuto - dal mercato e l’effetto è una marcata solidarietà internazionale. A maggior ragione, naturalmente, nei confini europei (per noi) e delle (più strette) alleanze (”ufficiali”).

La condizione perché queste due “ragioni” possano esprimersi e compiersi nell’effetto a cui facciamo riferimento è speculare ad una parte della ragione per cui invece noi - o, meglio, la nostra politica autoreferenziale di oggi - non ci riusciamo: si tratta della modernità. La modernità è la piena espressione di sé. Oggi. Da noi (appunto) questo oggi non c’è. Siamo costretti nel nostro cliché “culturale”. Non siamo liberi (appunto). E dunque non siamo moderni. E questo ci impedisce di essere lucidi e lungimiranti. Insieme ad un’altra cosa. Ciò che scriviamo ogni giorno. Per questo, per la «corruzione e frustrazione» e per il fattore di innovazione ma anche di destabilizzazione fuorviante rappresentato dal berlusconismo oggi la nostra politica è completamente autoreferenziale. Nel senso che è rivolta su se stessa. E ciò ha provocato, alla fine, un innamoramento di questa condizione e di se stessa. Così, la politica italiana non vede. E non ci sente. Non vede: non ha idee. Non ci sente: non capisce che, per questo, è necessario un rinnovamento. Ma un rinnovamento che non consista nella semplice cooptazione o apertura. Rinnovamento significa creazione delle condizioni per la nostra liberazione e quindi per la nostra modernità. Rinnovamento. Di qualità. Un rinnovamento che la nostra politica deve favorire. E che i possibili “liberatori” dell’Italia devono a loro volta favorire contrapponendosi in una grande battaglia delle idee. O continueremo ad avere patrioti stranieri. Un ossimoro.

Matteo Patrone

(Mia lettera aperta)


Ciao Matteo,
negli ultimi tempi ho letto alcuni tuoi articoli. Ho con piacere notato:

1) che ti stai distaccando dai parrucconi del PD
2) che stai cercando una strada autonoma
3) Soprattutto l'ultimo tuo intervento sulla modernità e su chi porta la modernità in questo paese retto da dinosauri e schiacciato dal loro peso ha necessariamente un nome straniero (e non poteva essere diversamente). Non ho ancora letto il libro di Bill Emmot. Lo leggerò presto. Ne avevo già sentito parlare. Purtroppo sono impegnato in mille altre letture, ma a questo punto diventa una priorità
4) mi piace la tua scrittura. Non di facile lettura e tuttavia creativa per le continue incisioni e puntualizzazioni. Si vede la lezione di Facebook: continuamente con i tuoi incisi tagghi il concetto che esprimi.

Bravo Matteo. Vai avanti per questa strada.
Mi fa soprattutto piacere una cosa, che però non so se condividerai: ti stai staccando dalla retorica della vecchia sinistra fondata su stereotipi creati dal vecchio comunismo, che ancora illude/-ono (vedi sto copiando il tuo stile) molte persone, ovvero gli ingenui: quelli che continuano a pensare di vivere nello stesso mondo di 20 anni fa e non si rendono conto di quanto il mondo si sia evoluto.
Quando mi capita di vedere in giro slogan come "Reddito per tutti" mi viene proprio da ridere. Reddito per tutti? Per chi? Che vuol dire reddito per tutti? Anche per quelli che non hanno voglia di fare nulla? Anche per quelli che credono solo nel superenalotto o nei miti deleteri dell'arringatore (e massacratore televisivo) della velina e del calciatore (e qui ha colpa la cultura televisiva creata fin dagli anni '70 da Berlusconi)? Eppure c'è ancora chi continua a crederci.
Mutatis mutandis ora si ripropone la situazione del dopoguerra quando la chiesa era il bene ed il comunismo (che mangiava i bambini) era il male; oggi il "comunismo" (ma dov'è mai finito il comunismo? Esiste il comunismo? se sì, non certo quello di D'Alema o Bersani) è il bene e la "destra" (che è più innovativa della sinistra perché meno vincolata a ceppi retorici) il male.

Indipendentemente dal fatto che condividerai o meno il mio intervento, bravo Matteo. Continua per questa strada.

Fabrizio

(Risposta di Matteo Patrone)


Mah, basta vedere i risultati alle elezioni per capire che non ci siamo più, per ciò che riguarda la sinistra. E' chiaro che - almeno in questa fase - serve qualcosa di diverso. Io sinceramente continuo a pensare che l'onestà della base del Pd sia la condizione necessaria proprio per fare questa cosa diversa (qui forse non siamo d'accordo). Che si potrebbe riassumere semplicemente nel rispondere alla domanda: cosa serve al Paese. Abbiamo a disposizione una logica e l'onestà intellettuale (per chi l'ha): dato quello strumento e questa condizione ogni tempo secondo me ha una risposta. Quindi diciamo che non si pone il problema delle interpretazioni. E' la modernità secondo Emmott. Ed è la strada da perseguire, dimenticando destra e sinistra. Non ho ancora focalizzato cosa potrà succedere dopo: è vero che ogni momento negativo prepara l'ulteriore progresso, ma quando si vive quel momento resta pur sempre un brutto momento. Ecco, ho un po' paura che fatti saltare gli schemi della rappresentanza degli interessi - ammesso che sia possibile, eh... - si apra un vuoto, che a seconda di chi arriva poi può essere riempito anche (più facilmente che a fronte di una dialettica "salda" e sperimentata destra-sinistra) di cose brutte. O che per lo meno io considero brutte.
Comunque condivido ciò che dici. Anche sul reddito per tutti: io non credo sia accettabile che in un Paese civile, ad esempio, si viva per strada o - se è possibile - si muoia di fame. Ma la soluzione al problema va inserita nel piano complessivo per fare il bene del Paese. E per come la vedo io un modo sostenibile potrebbe essere sul piano del reddito scambiare lo stipendio minimo con l'obbligo di partecipare a corsi di formazione inseriti in un sistema organico e a sua volta a sistema con università e lavoro per l'innovazione e lo sviluppo; per ciò che riguarda la casa ad esempio si può "scambiare" - senza reddito - con il servizio sociale o civile. E lo stesso per le pensioni, anche se in questo caso, magari, senza obbligatorietà. Insomma, l'idea di welfare per me è sacrosanta ma può cessare di essere a fondo perduto e diventare un investimento, che o ricrea ricchezza o riduce le spese e comunque ingenera un circolo virtuoso. Scusa se mi sono buttato sull'estrema concretezza, ma penso che la prima condizione per ricominciare a fare qualcosa sia smetterla di parlare per titoli e di pensare al come e non solo al cosa. come abbiamo scritto tante volte.
Mi fa piacere comunque quello che mi hai scritto: grazie :)
A presto,

Matteo


martedì 26 ottobre 2010

Slavoj Žižek: whose side is he on?



Slavoj Žižek: whose side is he on?


"Which is Slavoj Žižek political position? Every time I read an article/book of his I don't understand whose side is he on..."

IL RITORNO CHE NON VOLEVO - Sinossi



(Fabrizio Ulivieri IL RITORNO CHE NON VOLEVO  ebook Amazon: http://www.amazon.com/Ritorno-Volevo-Italian-Edition-ebook/dp/B008J0F7NI)

C’è qualcosa che si insinua nella vita di tutti i giorni.
Non è solo l’appressarsi della morte. Non è solo le ombre della mente. Non è solo la mancanza di senso della realtà.
Questo mondo ci mette in attesa di un qualcosa a venire.
Che sia una catastrofe o un cambio radicale non importa. L’importante è che accada e che finalmente ci liberi da questa assurda mancanza di senso, ormai globale.
Così il protagonista vive la sua vita ed i suoi amori.
In attesa, di un evento che si approssima e che invia i suoi segnali dall’alto.
Dalle profondità dello spazio.
La storia inizia come una normale storia. Il protagonista si trova solo in un appartamento dove per anni ha convissuto con la donna che amava e che alla fine lo ha lasciato. Si sente tradito, sfiduciato, è solo ed in difficoltà economiche per i debiti che ha contratto per rendere migliore la vita alla sua compagna, esigente e volubile come la maggioranza delle donne.
A causa della situazione economica si trova costretto, all’età di 50 anni, a ritornare a vivere con i genitori. Il ritorno non era quello previsto e la convivenza non sarà facile.
Conosce Valery, un’attrice americana, che ama il sesso e la marijuana ma non sarà la donna che lui cerca.
Ormai tutto è privo di significato per lui. Non c’ è più senso in tutta la sua vita. Soprattutto non c’è più Amore e passione, le uniche forze che fino ad allora lo avevano guidato.
Il mondo in cui vive ora è pura mancanza di senso.
Ripensa alla donna che solo dopo che è partita ha capito di amare: Ayako, una ragazza giapponese di 24 anni.
Ora capisce che lei è stato il grande amore. E pensa sempre più a lei.
La morte di Valery con cui ha avuto solo sesso, la scomparsa di Yukiko un’altra ragazza giapponese di cui aveva tentato di innamorarsi solo perché assomigliava perfettamente ad Ayako, la morte dei genitori, gli renderanno il mondo incomprensibile.
Eppure ci sono dei segnali. Vengono da lontano. Ma arrivano. Sono tangibili. Oramai non c’è più dubbio che qualcosa si è silenziosamente insinuato, ed è incontrollabile.
Che può essere stato a favorire questa forza che inarrestabile si manifesta lentamente ma inesorabilmente come un mondo parallelo?
Un’invidia? L’invidia forse di un sistema (quello comunista) che era destinato a morire perché fin dalla sua nascita aveva capito che era destinato alla sconfitta ad opera dell’altro sistema (quello capitalista)?
Un’infezione? L’infezione che si portano dietro gli strati sociali più bassi? O le ragioni del cielo che dallo spazio profondo si riversano in questo mondo?
Che sia una catastrofe o un cambio radicale non importa…quello che importa è l’attesa di una salvezza che venga dall’alto e ci liberi per sempre da una vita abitudinaria e insondabile che ci opprime e ci rende schiavi ed infelici.
E finalmente arriverà dall’alto, scendendo silenziosamente dal cielo.

domenica 24 ottobre 2010

UOMINI DI DIO di Xavier Beauvois




Uomini di Dio

REGIA; Xavier Beauvois





ATTORI:

Lambert Wilson

Michael Lonsdale

Olivier Rabourdin

Philippe Laudenbach

Jacques Herlin.

TITOLO ORIGINALE: Des hommes et des dieux

GENERE:Drammatico

DURATA: 120 min.


1990. Siamo un monastero cistercense sulle montagne del Maghreb. Otto monaci cistercensi vivono in armonia con il villaggio musulmano, negli anni che il terrorismo integralista va installandosi in quelle montagne e massacra civili e lavoratori stranieri. Ai monaci rimanere potrebbe costargli la vita. Ma loro scelgono di non fuggire, anche a costo della vita, per amore fratelli musulmani che hanno bisogno di loro.

Il film inizia con la calma ordinaria di una vita ordinaria. Scene di vita usuale. Studio dei testi. Cura dei malati. La coltivazione dei campi. La festa la villaggio, dove c’è tanta gioia nonostante la povertà. La preghiera insieme ai fratelli musulmani. Le pulizie al monastero. Il lavoro al monastero. Il mercato.

Poi d’improvviso arrivano loro e sgozzano un gruppo di kosovari. Da allora è il terrore nella regione. Si vive nell’incubo che un giorno loro arrivino ed uccidano. Ma all’interno del monastero ci si sforza di continuare un vita normale. Ma un giorno loro arrivano, crudeli e sanguinari. Chiedono medicine per i loro feriti. Ma è la notte di Natale. Il Natale cristiano. E seppur crudeli e sanguinari loro ancora hanno un codice etico. Chiedono scusa e se ne vanno.

Ma ormai la paura è entrata nel monastero all’interno della comunità: serpeggia il nervosismo e soprattutto il terrore. Andare o rimanere? Questo è il dilemma della comunità cistercense.

Il film dipinge bene e scava in profondità gli incubi dell’ uomo all’approssimarsi della morte. La paura del martirio vissuta in una dimensione quotidiana. Da non eroi. Da gente comune. Che non può e non vuole fuggire, perché gli incubi vanno affrontati per vincerli.

L’amore dell’ Invisibile dà la forza di resistere.

Nel continuo dialogo con l’ Invisibile si trova la forza di non avere paura.

La potenza dell’ Invisibile è più grande di ogni paura.

Un film all’antica. Completo. Senza impennate e che prosegue lineare senza cedere nulla allo spettacolo attenendosi alla rigorosa ricostruzione dei fatti e del tormento interno.

Soprattutto per la bellezza e la forza del finale 3 stelle.