venerdì 25 febbraio 2011

MANUALE D'AMORE 3 di Giovanni Veronesi


Manuale d'amore 3

REGIA: Giovanni Veronesi



ATTORI:

Robert De Niro

Carlo Verdone,

Riccardo Scamarcio

Monica Bellucci

Michele Placido

Laura Chiatti

Donatella Finocchiaro

Valeria Solarino

Emanuele Propizio

Carlo Monni

GENERE: Commedia

DURATA: 100 min

Primo episodio. Bella la scena iniziale con Scamarcio (nel film Roberto Tommaso, avvocato rampante) che fa una proposta di matrimonio a Valeria Solarino (nel film Sara)! Bello vedere Castiglion della Pescaia (la mia mèta preferita durante l’estate) al cinema!

Forte il toscanaccio Carlo Monni! che sembra sempre lo stesso dai tempi di Troisi e Benigni. Ottime le chiacchiere in un bar del centro di Castiglion della Pescaia in puro toscanaccio! di una combriccola di matti a metà strada fra i vitelloni di "Amici miei" e gli sfigati dei film di Pieraccioni.

Ed è così che inizia Manuale d’amore 3, con un avvocato rampante che viene mandato a Castiglion della Pescaia per sfrattare una famiglia di contadini (quella di Monni) e che invece di sfrattarla si innamorerà della pazza Micol (Laura Chiatti) e della combriccola del bar perché ancora gli evocano la vita che sta per morirgli dentro e che lui invece ancora vuole assaporare.

Trasmette serenità Veronesi in questo film, soprattutto in questo primo episodio (forse anche per l’effetto delle belle musiche di Morgan), serenità e piacere. Raramente càpita di stare al cinema così rilassati.

Frasi ad effetto, del tipo: io ho paura di tornare a casa…ma non è che uno che può stare tutta la sua vita in viaggio…(la paura che sposandosi la vita si chiuda). Banali ma ficcanti.

Secondo episodio con Verdone. E Verdone è sempre Verdone: antipatico, peso, irritante, imbranato e fedifrago eterno – insomma sempre lo stesso ruolo; e neanche cambia con Veronesi anche se con Veronesi è meglio di quando fa i film suoi perché almeno qui fa ridere davvero.

Terzo episodio ovvero il Miracolo: la Bellucci che ha imparato a parlare, cioè recitare! (insomma…si fa per dire). Effetto Veronesi o effetto De Niro con cui recita? A proposito di De Niro: un De Niro davvero spiritoso ma anche tenero, come non avevo visto mai.

Conclusione: un film godibile, divertente (entertaining) che non annoia affatto. Andate a vederlo, ve lo raccomando caldamente. Specialmente se siete depressi. Vi passerà la depressione, se non altro per 100 minuti.

Tre stelle e mezzo.

domenica 20 febbraio 2011

IL PADRE E LO STRANIERO di Ricky Tognazzi



Il padre e lo straniero

REGIA: Ricky Tognazzi




ATTORI:

Alessandro Gassman

Amr Waked

Ksenia Rappoport

Leo Gullotta

Nadine Labaki.

GENERE: Drammatico

DURATA: 110 min

Diego (Alessandro Gassman) e Walid (Amr Waked), l’amicizia fra due uomini e una confusa storia di terrorismo (?) internazionale. Questo è il succo del film.

I due uomini si incontrano, a Roma, in un istituto per bambini minorati. Tutt’ e due i padri hanno un figlio minorato. Sembra un incontro banale e piuttosto scocciante per Diego, che non ama suo figlio, Giacomo, o almeno non lo ama come lo ama la moglie, con la quale a causa di questo ha ormai rapporti difficili.

Walid invece ama suo figlio come una madre e più di una madre. E insegnerà a Diego ad amare suo figlio Giacomo in modo straordinario.

La loro amicizia è quella fra due uomini maschi. E’ un’amicizia soprattutto dominata dal fascino di Walid, lo straniero. E’ uno che viene dalla Siria e che parla sentenzioso. Ha un fascino misterioso e losco talora. Il fascino dell’ arabo infido, sebbene sempre gentile.

Diego ne resta incantato e lo segue dappertutto. Per una Roma che sembra trasformata in Damasco e fino a Damasco a bordo di un aereo militare che pare appartenere al ricco Walid.

Walid talora riveste la figura dell’angelo annunciatore (ma annunciatore di che? della pace che manca a Diego con la sua compagna? o della sua incapacità di amare suo figlio Giacomo?). Talora invece Walid sembra un Lucifero caduto, in una trama internazionale di servizi segreti (molto scadente questa parte del film) che parrebbe aver approfittato dell’amicizia di Diego per le sue trame terroristiche.

Certe volte il film assume il ruolo di una propedeutica alla bellezza del mondo orientale (arabo) quasi fosse la unica possibilità di salvazione per la civiltà caotica e nevrotica italiana.

E’ un film che risente sicuramente dell’influsso di Ferzan Ozpetek (Il bagno turco – Hamam/La finestra di fronte), molto manierato, con ripetute ed insistite oleografie e con un mistero (alla “Finestra di fronte”) che alla fine non porta da nessuna parte.

Ancora una volta la preoccupazione dello stile supera quella della narrazione. Non si riesce a fare narrazione senza gli scrupoli del bello stile (fin troppo ricercato).

Si ritorna di nuovo alla radice del problema: il cinema italiano si rende conto di essere indietro rispetto al cinema internazionale e cerca allora di fare un cinema mainstream ma con tutta la buona volontà e buoni spunti ( e questo film di buoni spunti ne ha) non riesce a fare un buon prodotto.

[Vorrei azzardare un’ipotesi: la mia sensazione è che chi produce/dirige film o non ha una preparazione culturale che lo porti molto al di là della media o non vi è la sapienza e la scaltrezza di ricerca (di marketing) su come vada prodotto un film mainstream o tutt’ e due]

Il finale è abbastanza banale e perciò contraddice la legge di Charlie Kaufman (che un grande finale salva un film).

Comunque, come dice il mio amico Matteo Patrone, “un passaggio in sala lo vale”. E se ha un merito il film di Tognazzi è quello di credere nella dialettica fra Occidente ed Oriente. Un’urgenza che è più che mai divenuta impellente ora, con le recenti rivolte nei paesi arabi, da parte di giovani che chiedono pane, lavoro, dignità, giustizia e rispetto per la vita umana e non vogliono più tirannidi e sfruttamento.

Tre stelle.

sabato 19 febbraio 2011

IL GRINTA di Joel Coen, Ethan Coen


IL GRINTA

REGIA: Joel Coen, Ethan Coen


SCENEGGIATURA: Joel Coen, Ethan Coen

ATTORI: Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Josh Brolin, Matt Damon, Barry Pepper, Paul Rae, Jarlath Conroy, Domhnall Gleeson, Elizabeth Marvel, Ed Corbin, Dakin Matthews, Joe Stevens, Leon Russom, Mary Anzalone, Bruce Green (II), Brian Brown,Mike Watson

Titolo originale: True Grit

GENERE: Drammatico, Western, Avventura
DURATA: 110 Min

Una ragazzina di 14 anni, Mattie Ross, caparbia ed impertinente nello stile più Jewish che parla di soldi come un vecchio di 80 anni va nella città dove il padre è stato ucciso da un pistolero di nome Tom Chaney per raccoglierne le spoglie.

Vuole vendicarsi e per farlo affitta il più cattivo ed ubriacone fra i Marshall: Reuben J. 'Rooster' Cogburn (Jeff Bridges).

Ma la bambina è cattiva, arrogante e dura al pari del vecchio Marshall senza scrupoli, che prima spara e poi domanda il nome alla vittima.

A questo lungo viaggio nell’aspro west si unirà un ranger del Texas: LaBoeuf (Matt Damon) sulle tracce di Chaney perché ha ucciso un senatore.

I tre bisticceranno continuamente fino al momento in cui i veri valori (quelli del rispetto e dell’amicizia) vengono fuori (quando si affronta la morte).

Comunque il film, stile un po’ cartoon, diverte. Mai annoia e tiene vivo l’interesse ed una certa tensione, perché ha una storia da raccontare e fila veloce senza badare troppo allo stile.

Mostra scene da vero film western in cui soprattutto la ragazzina fa vedere gli attributi e diventa quasi la vera struttura che dà forza al film, in modo sorprendente. La storia però è fatta anche di sorprese ed incontri macabri e bizzarri che la rendono avvincente come un fumetto del miglior Tex Willer.

La pellicola ci riempie gli occhi di spazi sconfinati e le orecchie delle chiacchiere infinite di Cogburn e dei suoi continui litigi con LaBoeuf (grande l’incessante battibecco fondato sulle spacconate fra i due!).

Deboluccio il finale. Dai fratelli Coen siamo stati abituati a ben altri finali.

Quattro stelle.

Enough Machismo Italian Style (Commento)







Enough Machismo Italian Style (Commento)












( Foto via croccworld.dailypatrizia.com)



Prima di tutto vorrei asserire che Berlusconi ha ormai fatto il suo tempo (perché non l’ha saputo usare in modo adeguato) e quindi deve andarsene. Non ha capito, in tutti questi anni, che non può fare l’uomo da bar ma deve fare il Primo Ministro. E se non l’ha capito ora difficilmente potrà capirlo in futuro. D’altronde anche sua figlia Barbara l’ha criticato per l’ incapacità di comportarsi come il suo ruolo richiederebbe. A questo punto non gli rimane che scegliere un adeguato successore e ritirarsi, perché tutti ormai siamo stanchi di vedere le pagine riempite di scandali sessuali, di D’Addario, Ruby e roba simile… Certamente non credo che tutti gli scandali che gli vengono attribuiti siano veri ma è altrettanto difficile non credere che qualcosa di vero non ci sia.




Condivido però l’opinione di Berlusconi che abbiamo una magistratura ormai sempre più pervasiva (oltre il ruolo che le competerebbe) e purtroppo anche spendacciona dei soldi che noi paghiamo in tasse (esagerate).







Ma leggendo l’articolo di Chiara Ruffa e Rossa Raffaelli, balza di nuovo agli occhi la retorica tipica di una sinistra incapace di produrre alcunché che non sia il Berlusconismo, perché il Berlusconismo l’ha prodotto la sinistra e non Berlusconi ipse.




Il parlare sempre a nome degli altri non genera che vuote opinioni specialmente nell’era dell’ HOMO DIGITALIS la cui caratteristica è proprio nell’aver accesso ad ogni media per poter parlare in prima persona.




Perché poi non dovrebbero esserci donne che vogliono fare le casalinghe invece che essere professioniste, le autrici dell’articolo me lo dovrebbero spiegare? Essere casalinga non ha pari dignità all’esser professionista?




Come mi dovrebbero spiegare perché non lasciano parlare le varie Ruby delle loro scelte di vita invece di parlare loro in nome delle Ruby?




Mi sorprende d’altronde che le autrici si scandalizzino per il modo in cui gli uomini guardano le donne senza però dirci nulla del modo in cui le donne guardano gli uomini che, nella realtà, in poco differisce. Non è retorica anche questa? Il voler ad ogni modo positivizzare il feminino a discapito del mascolino quando invece hanno pari statuto…




Perché invece non riconducono la situazione attuale ad un’imporsi (mainstream, cioè globale) di una visione pornografica dell’esistenza a scapito di una erotica? (l’erotismo come fatto di riduzione dell’eros all’ Io privato – la pornografia come estensione dell’eros privato a livello pubblico).




La caduta delle ideologie ha certamente portato alla dilatazione di una forza (eros) nella vita vissuta ed esperita realmente in sé, nella carne, nella, pelle, nelle strade, nelle lotte di piazza, o virtualmente nei social media, sotto forma pubblicità (del privato) che chiede rispetto e dignità in tutte le forme che si manifesta. Per cui una velina o una escort ha lo stesso diritto al rispetto di un manifestante arabo che lotta contro il regime che lo opprime.




Ma ancora la “sinistra” è incapace di cogliere questa trasformazione e rimane (noblesse oblige?) avvolta nell’ adombramento ideologico della realtà che produce solo retorica, e vuota soprattutto.




E’ una forma di neoplatonismo che continua a guardare la realtà osservando le ombre dalla caverna quando invece potrebbe guardare direttamente in faccia quella realtà che preferisce vedere solo adombrata.










Enough Machismo Italian Style


Enough Machismo Italian Style

Italy is a place full of contradictions.

It is a country with quality education but poor career opportunities; extraordinary culture and beauty but poor protection of its artistic and natural treasures.

It is one of the Group of 8 most industrialized countries, but with regard to women it seems stuck in the Middle Ages. It is always at the bottom of European statistics related to female employment (only 46 percent of Italian women work, in contrast to an average 59 percent in the rest of the European Union), women’s wages and the number of women in influential positions.

It is a country where each citizen is strongly connected to a community but is also left alone by an unequal, distant and often corrupt state system.

In the past few weeks, however, the country has seen debates and mass demonstrations that leave us hopeful that the country might find its way to a dignified, more equal, less fragmented future. This is due in large part to the response of Italy’s women and men to the latest of many embarrassing scandals that have revealed a society in which women are too often not taken seriously.

The scandals have sparked a broader debate on the role of women in Italian society. This debate stretches back to October 2009, when during a TV talk show Prime Minister Silvio Berlusconi told a well-respected, 58-year-old female politician, “You are increasingly more beautiful than you are intelligent.” She replied, “I am not one of the women at your disposal, prime minister.”

Indeed, many Italian women feel that men — or at least some men — look at them as if they are interchangeable goods, to be disposed of at their will.

But last week, thousands of women and men filled the streets to protest such affronts to the dignity of women. Demonstrations have taken place in almost every Italian city and also abroad, and, as far as we have seen, they were crowded, peaceful and lacking in partisan politics. The organizers specifically asked that participants not carry political signs, as this was meant to be a demonstration for every woman, whatever her political views. Many people, however, saw the protests — not without reason — as a political manifestation against Berlusconi.

In our view, the recent scandals involving our prime minister are just the last drop, though the cup has been filled over many years.

For decades, women have been used on Italian television shows as speechless bodies serving an audience-enhancement purpose. It is enough to turn the TV to any channel at any time to observe this. Advertisements also often make use of women’s bodies to sell everything from tires to antivirus software, using sexual double-entendre, and sometimes even brutal slogans.

We remember once, at Rome’s Fiumicino Airport, staring shocked at a huge advertisement for holiday cruises displaying six half-turned naked women and the slogan, “We have the best backsides in Italy” (in Italian the word also means breast).

Many Italian men would look at this image of women as the normal role of females. Becoming a showgirl is, in fact, a tempting ambition for many teenagers — their looks are often the only road to success, riches and sometimes even a political career. When women are appointed to political office based on their beauty portfolio, as has happened several times, they might learn how to do a good job, but they will never be taken seriously (as an intelligent and also beautiful government minister, who used to be a showgirl, recently learned).

Last year, at a ceremony conferring the prestigious Campiello literary award, a well-known journalist, on presenting the prize, commented on the low-cut dress of the young, promising winner and asked the camera to zoom in. In the debate that followed, many argued that the woman should have worn a different dress if she did not want to hear such comments.

We have all suffered, or have seen friends suffer, from one form or another of machismo: professors not taking us seriously, boyfriends expecting us to perform typical housewife roles and not willing to share tasks, relatives reminding us that since we are women we should not be overly ambitious — we should marry an average man, take up the household chores, bear his children, take care of his parents and find an average job to help with the family budget.

If we dare to say that we want to struggle for the job that we dream of, that we have worked and studied hard to have that opportunity, we often get labeled as “wonderwomen” or heartless “career girls.” Indeed, we know plenty of girls who have studied hard but now just follow their boyfriends, abandoning their own careers.

We have met plenty of girls who are much more intelligent and hard-working than their male colleagues, but who still feel the need to justify whatever success they have. Of course, this is not just an Italian problem, but we have traveled across Europe and beyond and have never seen advertisements as shocking as those in Italy, or so many half-naked women on afternoon TV-shows, or women judged more for their appearance than for what their brains and souls have to offer.

But there is another Italy. It is made up of women and men who are sick and tired of this narrow-minded vision, who do not perceive old men taking advantage of their riches and power to get young girls as a model to follow.

We know many men who do not ask their partners to make sure their pasta is cooked “al dente” when they get back home from work; many professors who do value their students’ intelligence.

These men cook and iron, they are proud of their partners’ professional success, they enjoy female beauty but they find it more appealing when it does not insult women’s intelligence. These men are also able to respect a woman’s professional capacity, to admire her for her intellectual qualities and to suggest she should be ambitious — as ambitious as a man, and even more if she so wishes. These men are our dads, our friends, our colleagues. Another Italy is possible and it is partly already here. It is time for a change.

  • New York Times February 18, 2011


  • sabato 12 febbraio 2011

    GIANNI E LE DONNE di Gianni Di Gregorio



    Gianni e le donne

    REGIA: Gianni Di Gregorio



    ATTORI:

    Gianni Di Gregorio

    Valeria de Franciscis

    Alfonso Santagata

    Elisabetta Piccolomini

    GENERE: Commedia

    DURATA: 90 min

    Gianni ha un problema: ha dimenticato le donne, preso com’è da una donna sola, la mamma, ricca, spendacciona, ossessiva e con il vizio del gioco.

    Vive come suo succubo incapace di staccare il cordone ombelicale.

    E’ in pensione forzata dall’età di cinquanta anni e dorme in camera separata dalla moglie. Ha un figlia comodona e senza palle.

    Gianni è un coniglio e quello che ha finora voluto è stata la tranquillità e per questo ha forse dimenticato che esistono le donne. Porta a spasso il cane e fa le spese. Una vita noiosa quanto una vita tranquilla può generare.

    A ricordargli che le donne esistono è il suo amico, l’avvocato Alfonso: uno che le donne se le ricorda bene.

    Questo gli originerà un male di vivere che prima era solo sopito dalla amnesia e che lo spingerà a cercare un ruolo che non è il suo, fino a rendersi conto dell’inadeguatezza della sua età e del suo fisico che non è più all’altezza della nuova vita.

    Ormai il cinema italiano ci parla spesso di sessantenni incapaci di accettare il proprio ruolo, che scalpitano per vivere una vita che più non gli compete.

    In particolare il cinema italiano ha nei suoi geni in modo tutto naturale di essere incapace a raccontare storie che non siano la pura ripetizione di quello che già ogni giorno esperiamo: il quotidiano - pur rivisitandolo con l’ arte dello stile.

    Il cinema italiano è spesso stile e quasi mai narrazione, che, con frequenza, mette al centro delle sue “storie” una classe borghese medio alta, che vive come un’ ameba, “narrandoci” vite apatiche e senza sussulti da esasperare lo spettatore.

    Il film tuttavia qualche spruzzata dell’umore vitellonico italiano ce la offre e qualche risata in sala la genera e tutto sommato l’ho trovato più divertente di “Qualunquemente” che per me è stato il flop della risata.

    Comunque seppure dotato di un certo spessore strutturale, nel film non succede assolutamente nulla. Per quasi 85 minuti guarderete un nulla dotato di un certo fascino e senso estetico.

    Ottimi i 5 minuti del finale!

    A questo film manca una cosa: Marcello Mastroianni. Se ancora fosse stato vivo, questo era il film per lui. Un Marcello Mastroianni come in “Verso Sera” di Francesca Archibugi (1990), avrebbe cambiato decisamente la pellicola e seppure in assenza di una storia le avrebbe dato almeno un senso.

    Voto: 1 stella per i primi 85 minuti 2 stelle per gli ultimi 5 minuti.

    venerdì 11 febbraio 2011

    INTO PARADISO di Paola Randi



    Into Paradiso

    REGIA: Paola Randi




    ATTORI:

    Gianfelice Imparato

    Saman Anthony

    Peppe Servillo

    Eloma Ran Janz

    Gianni Ferreri

    GENERE: Commedia

    DURATA: 104 min

    Proseguiamo la serie disastrosa dei film italiani di questo periodo.

    Dopo “Femmine contro maschi” di Fausto Brizzi tocca ora a “Into Paradiso” di Paola Randi.

    In un cinema praticamente deserto (6 persone compreso me), inizia il film.

    Napoli! (ma con Peppe e non Toni Servillo questa volta).

    Ma è Napoli o è Bombay, uscita da un film di Bollywood? Nonostante il dubbio il film avanza con un grande dispiego di mezzi stilistici, da subito: grande musica, grandi colori, rumori a tutta càllara (per dirla alla Pasolini), suoni di strada assordanti (mi pare persino di sentire gli odori…) idiomi asiatici che si intrecciano con l’italiano napoletano (alla Alejandro González Iñárritu), e con tanto di sottotitoli (come in Gomorra).

    Il film, dopo il dispiego notevole di stilemi, ci parla di Alfonso D’Onofrio, dottore che studia il modo di comunicare delle cellule e che viene licenziato su due piedi dal laboratorio dove presta opera come ricercatore.

    Così, con un pacchetto di sfogliatelle in mano (altro stilema) si ritrova ad elemosinare una raccomandazione da Vincenzo Cacace, imprenditore di successo che ora tenta la scalata in politica. Vincenzo Cacace è però in combutta con la camorra e alle dipendenze di un capo camorrista (don Fefè) a cui deve sottostare.

    Cacace si approfitta della buona fede di Alfonso e lo inguaia in una storia che è al di sopra delle possibilità di tutt’ e due…

    Il film oscilla fra un’atmosfera che ricorda molto il surrealismo di Sorrentino e quello dei mitici Squallor, rivestito di un’atmosfera molto Batik, che servono a costruire un rococò assai tribale, in cui la regista dà largo sfogo al suo oleografismo multirazziale e alla sua pochezza narrativa, cosicché, alla fine, bello lo stile ma la noia è mortale: 104 minuti di puro esercizio stilistico sono un po’ troppi. 15 ne sarebbero bastati ed avanzati.

    Una stella.

    martedì 8 febbraio 2011

    ¿Dónde han ido a parar los islamistas? (Commento)


    ¿Dónde han ido a parar los islamistas?


    L'articolo mostra la vittoria del softpower sull'hardpower. Il contenuto (softpower) è penetrato fino là dove lo hardpower (eserciti) ha fallito.

    Come avrebbero potuto inneggiare questi popoli a richieste di tipo democratico se non avessero avuto i modelli? (il modello di democrazia turca, soprattutto).

    Tramite la penetrazione del softpower "mainstream" (cinema, musica, letteratura...americana ovviamente) si sono costituiti i modelli a cui i popoli arabi si sono ispirati nelle loro richieste, venendo così a creare una cesura fra Ego e Religio. Forse la prima riduzione del religioso verso l' Io (laico).
    E' sorprendente che „en las calles, no se invocó un Estado islamista, ni los manifestantes se pusieron sudarios blancos frente a las bayonetas, como en Teherán en 1978. Ninguna referencia a la sharía ni a la ley islámica. Y, lo más sorprendente, ningún "¡abajo el imperialismo de Estados Unidos!". El odiado régimen era percibido como indígena, como el resultado del miedo y de la pasividad, y no como la marioneta del neocolonialismo francés o norteamericano, a pesar del refrendo que había obtenido por parte de la élite política francesa” .
    E' sorprendente perché il jihaidismo rischia di fare la stessa fine che hanno fatto le Brigate Rosse e la RAF in Europa: isolarsi dalle masse, per scomparire lentamente. In effetti il paragone non è poi così peregrino, perché in realtà vi è una prosecuzione del terrorismo rosso in quello islamico. I punti di contatto vi furono e numerosi fra il terrorismo rosso degli anni 70 e quello palestinese (servizi segreti iracheni, libici e siriani, Stasi, KGB, ecc…). Carlos fu degno rappresentante di quel nesso.
    Ciò che succede ora nella cultura araba è l'affermazione dell' HOMO DIGITALIS che si è già affermato nel mondo occidentale. L'HOMO DIGITALIS è portatore di uno schema dialettico (di tipo aristotelico: tagging = passaggio dalla specie al genere sotto la determinazione dell'individuo). L'HOMO DIGITALIS è il parto moderno dell' individuo aristotelico (de individuo non datur scientia) perché infatti l'HOMO DIGITALIS è colui che è in grado di determinare senza essere determinato. Per questo apre una breccia pericolosa nel mondo islamico, privo di dialettica. Si inserisce allora un modello capace di instaurare una dialettica della produzione diretta delle scelte all’interno di un mondo non incline alla separazione dell’ Io dal Religioso, provocando un’ indipendenza (cesura) dalla visione olistica della religione onnicomprensiva della sfera privata e pubblica. Sotto la spinta della diretta produzione di contenuti (web2.0) e valori (web3.0) da parte dell’individuo (HOMO DIGITALIS)

    lunedì 7 febbraio 2011

    ¿Dónde han ido a parar los islamistas?


    ¿Dónde han ido a parar los islamistas?

    La novedosa peculiaridad de la primera revolución popular pacífica capaz de derrocar una dictadura en el mundo árabe ha consistido en que no ha tenido nada que ver con el islamismo.

    El joven vendedor ambulante tunecino que desencadenó la revuelta al quemarse en público nos recuerda a los monjes budistas vietnamitas en 1963 o a Jan Palach en Checoslovaquia en 1969, unos actos de naturaleza precisamente opuesta a la de las bombas suicidas que son la marca registrada del actual terrorismo islámico.

    Incluso en este acto sacrificial no ha habido nada de religioso: ningún turbante verde o negro, ninguna túnica blanca, nada de ¡Alá Akbar!, nada de llamamientos a la yihad. Se ha tratado, por el contrario, de una protesta individual, desesperada y absoluta, sin una palabra sobre el paraíso o la salvación. En este caso el suicidio era el último acto de libertad dirigido a avergonzar al dictador y a instar a la gente a reaccionar. Era un llamamiento a la vida, no a la muerte.

    En las sucesivas manifestaciones en las calles, no se invocó un Estado islamista, ni los manifestantes se pusieron sudarios blancos frente a las bayonetas, como en Teherán en 1978. Ninguna referencia a la sharía ni a la ley islámica. Y, lo más sorprendente, ningún "¡abajo el imperialismo de Estados Unidos!". El odiado régimen era percibido como indígena, como el resultado del miedo y de la pasividad, y no como la marioneta del neocolonialismo francés o norteamericano, a pesar del refrendo que había obtenido por parte de la élite política francesa.

    En vez de ello, los manifestantes pedían libertad, democracia y elecciones con pluralidad de partidos. Dicho sencillamente, querían verse libres de la cleptocrática familia gobernante ("¡dégage!", o sea "¡despeja!", ha sido la popular expresión francesa utilizada como consigna).

    En esta sociedad musulmana nada se ha puesto de manifiesto acerca de "un excepcionalismo islámico". Y, al final, cuando los líderes islamistas reales han vuelto de su exilio en Occidente (sí, estaban en Occidente, no en Afganistán ni en Arabia Saudí) estos, como Rachid Ghanuchi, han hablado de elecciones, Gobierno de coalición y de estabilidad, al tiempo que mantenían un bajo perfil.

    ¿Han desaparecido los islamistas?

    No. Pero, al menos en África del Norte, muchos de ellos se han convertido en demócratas. Es verdad que grupos marginales han seguido la senda de una yihad global y nómada, y que vagabundean por el Sahel en busca de rehenes, pero no cuentan con el apoyo real de la población. Esa es la razón por la que se han ido al desierto.

    Sin embargo, esos salteadores de caminos siguen estando considerados por los Gobiernos occidentales como una amenaza estratégica que dificulta el diseño de una política a largo plazo. Otros islamistas sencillamente han dejado la política y se han encerrado en casa para seguir un piadoso y conservador, aunque apolítico, estilo de vida. Al igual que a sus mujeres, le han puesto un burka a sus vidas.

    Pero el grueso de los antiguos islamistas ha llegado a la misma conclusión que la generación que fundó el Partido de la Justicia y el Desarrollo (AKP) en Turquía: no hay tercera vía entre democracia y dictadura. Solamente hay dictadura y democracia.

    Este reconocimiento del fracaso del islam político ha coincidido con el talante de esa nueva generación de manifestantes en Túnez. La nueva generación árabe no está motivada por la religión o la ideología, sino por la aspiración a una transición pacífica hacia un Gobierno decente, democrático y "normal". Tan solo quieren ser como los demás.

    La revuelta tunecina ayuda a aclarar una realidad respecto del mundo árabe: el terrorismo que hemos contemplado estos últimos años, que es un milenarismo utópico, no proviene de las sociedades reales de Oriente Próximo. Es mucho más fácil encontrar radicales islámicos en Occidente que en estos países.

    Naturalmente, el cuadro difiere entre un país y otro. La generación posislamista es más visible en el norte de África que en Egipto o Yemen, por no hablar de Pakistán, que es un país que se derrumba. Pero en todo el Oriente Próximo árabe, la generación que está liderando la protesta contra la dictadura no tiene un carácter islámico.

    Eso no quiere decir que no queden grandes desafíos a los que enfrentarse. De hecho, son muchos: cómo encontrar líderes políticos que puedan estar a la altura de las expectativas populares; cómo evitar los escollos de la anarquía; cómo reconstruir los vínculos políticos y sociales que han sido deliberadamente destruidos por los regímenes dictatoriales y reconstruir una sociedad civil.

    Pero hay al menos una cuestión inmediatamente suscitada por la revolución tunecina.

    ¿Por qué sigue apoyando Occidente a la mayoría de las dictaduras de Oriente Próximo incluso cuando esta oleada democrática agita la región? En el pasado, por supuesto, la respuesta ha sido que Occidente ha visto en los regímenes autoritarios el mejor baluarte contra el islamismo.

    Esa fue la razón oculta de su apoyo a la cancelación de las elecciones de Argelia en 1990, de que se hiciera la vista gorda con el tinglado de las elecciones egipcias y de que se ignorara lo que los palestinos eligieron en Gaza.

    A la luz de la experiencia tunecina ese planteamiento tiene que volver a ser evaluado. En primer lugar, porque esos regímenes ya no constituyen un baluarte fiable. Podrían simplemente desmoronarse en cualquier momento. En segundo lugar, ¿contra qué son un baluarte si la nueva generación es posislamista y prodemocrática?

    Del mismo modo que Túnez ha supuesto un momento decisivo para el mundo árabe tiene también que suponer un momento decisivo en la política occidental respecto a la región. La realpolitik de hoy significa apoyar la democratización de Oriente Próximo

    (EL PAIS 05/02/2011 di Olivieri Roy)

    sabato 5 febbraio 2011

    ANOTHER YEAR di Mike Leigh


    Another Year

    REGIA: Mike Leigh





    ATTORI:

    Jim Broadbent

    Lesley Manville

    Ruth Sheen

    Oliver Maltman

    Peter Wight.

    GENERE: Drammatico

    DURATA: 129 min.

    Ha un inizio noioso con una lunga visita medica per una donna ansiosa e depressa che soffre di insonnia.

    Poi c’è la pioggia in una periferia dove abitano Gerri e Tom, la coppia che è al centro della storia del film.

    Pioggia, periferie e lavori nell’orto a piantare pomodori si susseguono con una musica melanconica in sottofondo.

    Più che un film inglese pare un film del maestro giapponese Yasujiro Ozu ma senza l’arte della superficie profonda che è tipica dei giapponesi (qui invece è solo presunta profondità che rimane in superficie, con dialoghi pesi e lunghi, che però sprofondano lo spettatore).

    Si ritorna poi alla donna che soffre d’insonnia che dalle mani della prima dottoressa è ora nelle mani della psicologa (Gerri) che dovrebbe risolvere i suoi veri problemi d’insonnia che invece una pillola per dormire, disperatamente richiesta dalla donna a dottori sordi, non potrebbe risolvere.

    Il film ci mostra in una sequela continua volti di gente oltre i sessanta anni, non bella o comunque sfatta dalla vecchiaia (ben lontana dai canoni di Hollywood) che si muovono in una realtà troppo densa e fissa a cui non si sfugge ed in cui le persone che stanno male fingono di star bene e quelle che stanno bene in realtà non sanno di star male.

    Poiché il film stupido non è, abbiamo provato a interrogarci sul senso di un film così opprimente. Ci siamo chiesti se volesse parlare della difficoltà di invecchiare, o della vita che ad un certo punto diviene avara di gioie ed illusioni, o di amori nuovi che non arrivano perché forse si vive troppo nell’ombra di quelli avuti prima e anche se nemmeno si ricordano più comunque ci hanno lasciato un vuoto ineliminabile dentro…
    Le domande potrebbero essere tante ma non ne abbiamo trovata una decisiva che spiegasse la macchinosa sceneggiatura che ha messo in moto un così macchinoso film.

    Una cosa comunque domina: il disperato bisogno di soldi e di bere per annullarsi più di quello che l’esistenza ci ha già annullati.

    Insomma (e questa mi sembra la risposta più adeguata al senso che abbiamo inseguito durante la proiezione) il film sembra la pittura di un declino. Forse proprio il declino dell’Europa che produce una cultura vecchia e pretestuosa e senza forza ormonale. Ma in nome di che? Non certo dell’entertainment; e comunque nemmeno nel nome dell’arte, perché se l’arte deve annoiare così meglio che non sia arte.

    Voto: 2 stelle.

    FEMMINE CONTRO MASCHI di Fausto Brizzi


    Femmine contro Maschi

    REGIA: Fausto Brizzi




    ATTORI:

    Claudio Bisio

    Nancy Brilli

    Salvatore Ficarra

    Valentino Picone

    Francesca Inaudi

    Emilio Solfrizzi

    Luciana Littizzetto


    GENERE: Commedia

    DURATA: 96 min.

    Mentre il mondo globale e le economie vincenti e quelle emergenti cercano di produrre mainstream in Italia si continua sulla linea del narrowstream, ma molto narrow.

    Nonostante un inizio da commedia americana con tanto di musica americana in sottofondo

    e colori all’americana si scivola molto velocemente nelle macchiette di uomini afflitti da sindrome di Peter Pan e di donne dominanti che svolgono il loro ruolo naturale di eterne rompitrici. Un film in verità fatto di soli stereotipi. Con una Littizzetto sempre urlante e sempre nello stesso ruolo sia in tv, con Fazio anche, che al cinema e pure quando scrive. Non cambia mai marcia: che faccia la mamma o la vigilessa o l’ostetrica.

    A parte la pietosa apparizione di Wilma de Angelis (ma che ci fa in questo film???) o l’ombra del Claudio Bisio che nel 2008 ammirammo stupendo in “Si può fare” di Giulio Manfredonia non c’è molto in questo film di cui più che la trama (il plot centrale è il mentire: tutti mentono o a fin di bene a proprio tornaconto) c’è da raccontare il nulla e la pochezza degli attori (Ficarra e Picone sopra tutti: comici televisivi che forse sarebbe meglio rimanessero tali – Cetto La Qualunque insegna – che basano la loro comicità su equivoci e scopiazzature da Totò, anche in modo piuttosto spudorato).

    L’unico che si distingue a nostro avviso e Emilio Solfrizzi; il solo che riesca a dare un po’ di personalità ed autenticità comica al suo personaggio (Piero).

    Risparmiate i soldi del biglietto. Ve lo consiglio caldamente.

    1 stella.

    mercoledì 2 febbraio 2011

    3 una compagnia telefonica di cui forse è meglio non fidarsi



    3 una compagnia telefonica di cui forse è meglio non fidarsi


    In data 29 dicembre 2009 presi in comodato una chiavetta USIM da 3 che praticamente non ha funzionato quasi mai. Mi è stata anche sostituita ma non funzionava ugualmente. Per collegarmi al computer dovevo sempre usare il telefonino INQ, uno di quelli per navigare in internet e collegarsi a Facebook (altra grande fregatura: comprato e dopo 6 mesi le batterie erano finite; il programma per scrivere in lingue diverse dall'italiano non funziona; l'audio è pessimo). Stranamente la chiavetta venduta per navigare veloce non funziona il telefonino sì!!!
    Ho chiesto la rescissione del contratto via email (non vi dico il sistema complicatissimo per comunicare via email con loro; da scoraggiare...) ma mi hanno risposto che dovevo dare loro un numero per contattarmi. Gliel'ho dato. Mi hanno chiamato una volta e purtroppo in quel momento non ho potuto rispondere. Li ho ricontattati di nuovo per email invitandoli a mettersi in contatto di nuovo con me. Per mia sfortuna era un sabato...
    Leggete che mi hanno risposto: "Gentile Sig. Ulivieri, in merito alla sua mail del 01/01/2010 le comunichiamo che per poter gestire la sua richiesta e' necessario un contatto telefonico.Pertanto le chiediamo se e' possibile contattarla trattandosi di un giorno festivo...". perché il lunedì non potevano contattarmi se non gli davo il permesso di contattarmi la domenica?
    Questo si chiama prendere in giro la gente. In compenso continuano ad inviarmi la fattura come se nulla fosse.
    Ora passerò alla via legali.
    In base alla mia esperienza consiglio di optare per compagnie più serie.