venerdì 31 dicembre 2010

UNA LIBRERIA DI PISA: Feltrinelli



FELTRINELLI PISA
corso Italia, 50 - tel. 050 24118




LIBRI: Discreto il reparto libri in Italiano; sufficiente quello in lingua originale (voto 7)
COMMESSI: Gentili e non stressati (voto: 7)
GENTILEZZA: Buona (voto 7)
DIRETTORE/RESPONSABILE: non conosciuto
AMBIENTE: Questa è la mia libreria preferita.
Sarà per l'ambiente, sarà per l'atmosfera che vi regna (di grande calma). Sarà per quel gioiellino che è il cortile aperto con gli scaffali, le panchine e i giornali da poter consultare, che è delizioso d'inverno e unico d'estate.
Quando ho bisogno di rilassarmi vado sempre a fare un giro (e comprare libri, ovviamente!) in questa libreria. (voto:10)
COMFORT: Pochi: è un peccato. E', come molte librerie Feltrinelli, molto labirintica. fatta di tante stanze anguste che comunicano una con l'altra (voto 6)
BAR: Non c'è. Un vero peccato
che non ci sia!

giovedì 30 dicembre 2010

L’avvento dell’Homo Digitalis come unificazione di platonismo e aristotelismo


L’avvento dell’Homo Digitalis come unificazione di platonismo e aristotelismo

Credo fermamente che nessuno può sfuggire al proprio tempo, ai gusti, alle tendenze del proprio tempo. Neanche chi viva ai margini del mercato globale. Si vive tutti come rivolti verso l’alto a quei segnali che danno impulso motorio alle direzioni della nostra vita nel corso dell’ esistenza.

Credo, anche, che solo coloro che sono perennemente unterwegs, in viaggio, sappiano cogliere meglio degli altri i movimenti e le direzioni.

Chi arriva, subito si chiude; chi rimane sempre unterwegs rimane sempre aperto.

Sono inoltre convinto che, per usare il linguaggio immaginifico (e perciò esemplificativo) dei miti, la storia di un uomo la cui intelligenza era definita politropica (cioè sapeva volgere ed adattare la propria intelligenza ad ogni situazione) sia finita (chiusa) il giorno che lasciata Troia giunse alla sua petrosa Itaca: Ulisse.

Solo chi è in perenne unterwegs coglie appieno il senso direzionale (transcendens) del mondo contemporaneo lasciando aperta in modo indefinito la sua storia.

Oggi si è indissolubilmente affermato l’ HOMO (sempre meno) SAPIENS (e sempre più) DIGITALIS: l’uomo sempre unterwegs.

Che vuol dire questo?
Vuol dire che le Istituzioni tradizionali (gli Stati) segnano il passo rispetto a forme private emergenti come le banche, i veri padroni dell’economia mondiale che determinano le cadute stesse degli Stati e cambiano le ideologie; e il mondo del Web2.O (i social network, i blog, le Wiki- Pedia/Leaks, i Tagging che generano le ricerche in rete in base agli assi naturali generati dagli utenti…).

L’ HOMO DIGITALIS è perciò l’ uomo che vive nella modernità, intesa come emarginazione delle forme istituzionali tradizionali a favore di forme più veloci, flessibili e cangianti e soprattutto individuali.

L’ HOMO DIGITALIS è in grado di mettere in crisi gli Stati (banche) e addirittura di spiarli e metterne a nudo la debolezza (Wikileaks).

Gli Stati sono determinati geograficamente, l’ HOMO DIGITALIS invece vive nel flusso continuo del Web2.0, che lo muove coscientemente o incoscientemente ma sempre in movimento ed in ricerca. L’ HOMO DIGITALIS è in grado di determinare individualmente, mentre le Istituzioni vengono oggi sempre più determinate dalle individualità (modo di generare del Web2.0).

Ecco, per queste ragioni, credo che l’individualista sia sempre unterwegs: perché ha deciso di non arrivare (di non trovare una collocazione definitiva) e di affidarsi all’interazione del Web come modo di determinare il Mondo.

Ma la grande novità dell’ HOMO DIGITALIS è il superamento di una cultura da secoli divisa tra platonismo ed aristotelismo. Nel tagging l’HOMO DIGITALIS ha creato un atto che racchiude tutta la dottrina aristotelica del genere > specie > differenza = definizione (homo animal rationalis), e la supera addirittura. Nell’atto di un solo tag[1] è già compresa la (nuova) definizione di qualcosa già definito in precedenza (Aristotele) che contemporaneamente genera in senso ascensionale (Platone) un asse trascendente la nuova definizione all’interno del Web.

In questo modo si assiste all’unificazione del genere con l’idea. I tag costituiscono nuovi mondi che nascono da un nuovo senso impresso alla realtà di partenza.



[1] Infatti si dice genere un insieme di realtà [tagging] che si trovano in relazione con un unico termine [tagged] e quindi tra loro (Porfirio ISAGOGE)

mercoledì 29 dicembre 2010

We Want Sex di Nigel Cole


We Want Sex

REGIA:Nigel Cole




ATTORI:

Sally Hawkins

Bob Hoskins

Miranda Richardson

Geraldine James

Rosamund Pike

TITOLO ORIGINALE: Made in Dagenham

GENERE: Drammatico

DURATA: 113 min.

We want sex? Perché questo titolo?

Sono gli ormai mitici anni Settanta, a Dagenham nell’ Essex (Inghilterra) nella fabbrica della Ford, c’è una rivendicazione sindacale da parte di 187 donne che vogliono ottenere la qualifica di “specializzate” per guadagnare di più e perciò si indice uno sciopero per il 29 maggio (1968).

L’ambiente di lavoro d’estate è una fornace e le donne, più che donne autentiche vajasse, si denudano (sarà per questo che il titolo in italiano è “We want sex” ?) per trovare refrigerio al calore infernale ed in reggiseno e mutande (praticamente) lavorano per cucire gli interni delle macchine. Ho detto autentiche vajasse, sia per il comportamento da vere virago e anche linguistico, ma soprattutto aggressivo verso gli uomini; tanto che il rappresentante sindacale dirà: “Ho combattuto contro Rommel ma non ho mai avuto tanta paura come quando entro qui” (il reparto femminile).

Se il cinema americano non sa produrre nulla senza pensare all’upper class, quello inglese invece non sembra uscire dallo schema che per fare cinema non si debba non parlare della classe operaia, delle periferie e delle case popolari.

Altra cosa che colpisce del cinema inglese è che se non si sapesse che il regista da film a film cambia si sarebbe portati a credere che in verità sia sempre lo stesso.

Logicamente parlando di classe operaia si è spinti ad obbedire al dogma che proletariato è bello, ma in realtà il film non fila via bene e ti lascia piuttosto irrequieto sulla poltrona. Sarà perché parla di vita normale, di quotidianità, di lotte sindacali, di salario, di problemi economici in un momento in cui questi problemi abbondano?

Il picco di interesse nasce comunque dalla rottura di ogni logica maschile che governa il modo delle lotte sindacali sotto la spinta di quello pulsionale delle donne, che, scavalcando, giustamente, la logica macchinosa (ed interessata) del delegato sindacale cavalca invece la ragione dei visceri femminei, tutta impulso e per natura inadeguata ai compromessi.

Così si indice il primo sciopero delle donne che l’Inghilterra abbia mai visto. Presto però la lotta da mera rivendicazione salariale si converte in lotta per la parità di diritti e salario fra uomini e donne.

E si va avanti fra lavoro (interrotto), lotte sindacali e problemi di soldi; il tutto condito di musiche pop (che sono la cosa più bella del film).

Il film, oltre che delle musiche, vive anche della passionalità, pure linguistica, di queste vajasse inglesi che sfogano il loro essere femmineo nella lotta all’ingiustizia sociale, e sindacale a causa di certi soloni ai vertici del sindacato che occupano poltrone (come oggi mutatis mutandis) più concordate con gli industriali che elette secondo i meriti. Vive anche di una buona dialettica di opposizione dei ruoli (uomini - donne)

Il messaggio del film? Una volta tutto funzionava perché nei rapporti sociali c’era un sesso completamente sottomesso, le donne, su cui l’uomo regnava padrone. Poi si sono ribellate. Ed era giusto. Doveva essere così. Ma il prezzo da pagare è che ora non esiste più un sesso sottomesso e non esiste più un piano di vita che ingloba l’altro. Ora esistono piani di vita contrapposti che sempre collidono (i.e. divorzi, separazioni, single in aumento…).

Molte cose da allora son cambiate, e questa è la Storia dopo la più grande rivoluzione sociale nel mondo liberistico e mercantile.

Ma una domanda rimane irrisolta: perché (in italiano) We want sex?

Io non l’ ho capito.

Voto: 3 stelle.

lunedì 27 dicembre 2010

THE TOURIST di Florian Henckel von Donnersmarck


The Tourist

REGIA: Florian Henckel von Donnersmarck





ATTORI:

Johnny Depp

Angelina Jolie

Paul Bettany

Timothy Dalton

Steven Berkoff

GENERE:Thriller

DURATA: 105 min.

Tutto l’inizio è incentrato su di lei, la Musa: Angelina Jolie. Il suo culo, le sue labbra turgide (siliconate), i suoi denti bianchissimi. Il suo charme da Barbie.

Il film inizia a Parigi con lei seduta ad un caffè, come un pavone che gonfia e mette in mostra la sua coda incantatoria, che affascina persino la polizia che la pedina e la sorveglia con gran dispiegamento di forze.

La polizia cerca Alexander Pierce, che deve milioni di euro allo stato per aver evaso il fisco. Lo cerca anche Shaw un magnate a cui Alexander ha fregato un bel po’ di soldi.

Ma la musa Jolie (per accidente, nel film si chiama Elise) continua la sua sfilata da regina fino alla Gare de Lyon e poi su un treno diretto a Venezia, dove ammalierà Frank Tupelo (Johnny Depp: molto Charlie Chaplin in questo film), professore di matematica in viaggio turistico per dimenticare una donna.

La maliarda Jolie cerca sul treno un povero cristo che assomigli ad Alexander Pierce (irrilevante il fatto che non l’ha mai incontrato) per gettarlo in pasto alla polizia. Lo troverà appunto in Frank Tupelo (Johnny Depp).

Il film ci porge scene di ambienti lussuosi che rendono più levigata e scorrevole la storia, che fila abbastanza veloce. Una storia che ha un certo lato umoristico che molti critici ritengono involontario (ma chi l’ha detto?), che io definirei invece scenico, nato, a mio avviso, da un modo leggero ed ironico (da cinepanettone, forse) di fare thriller, imposto più che altro dalla maniera di agire dei personaggi che si muovono a modo di fumettone cartonato, con situazioni surreali, irreali, bizzarre alla James Bond.

E siccome il nostro teorema per la valutazione è fondato sull’entertainment ed il grado di entertainment di questo film è abbastanza buono (mai la storia annoia) consideriamo The Tourist un film da vedere (e da godere, per molte ragioni ma soprattutto per il lusso ostentato e la bellezza degli scenari).

Non siamo affatto d’accordo con certa critica (dalla puzza facile sotto il naso) negativa nei confronti del film, che canzonando la regia e i toni cinepanettonistici vorrebbero sminuirne proprio il lato migliore, quello del divertissement (“allontanamento dai problemi quotidiani” che è poi il motivo per cui si va al cinema).

Certo non è un film grandissimo ma possiamo senz’altro affermare che è il miglior film che abbiamo visto nell’ultimo mese, che è stato un mese alquanto deprimente.

Il finale è a sorpresa (come c’era d’altronde da aspettarsi) ma la più grande sorpresa è stato vedere come Florian Henckel von Donnersmarck ha saputo cambiare registro: da quello di “Le vite degli altri” a questo de “The Tourist”. Cosa che richiede una forte capacità di adattamento (i.e. professionalità) che non tutti hanno.

Tre stelle e mezzo.

domenica 26 dicembre 2010

CONSIGLI PER FILM IN DVD "Motel Woodstock" di Ang Lee



Motel Woodstock

REGIA: Ang Lee








ATTORI:

Demetri Martin

Dan Fogler

Henry Goodman

Jonathan Groff

Eugene Levy

TITOLO ORIGINALE: Taking Woodstock

GENERE: Commedia

DURATA: 121 min

Immaginate che un’enorme astronave arrivi dallo spazio e un milione di alieni invada una pacifica cittadina della Brianza, che effetto produrrebbe sui pacifici abitanti di quella pacifica cittadina?

Uno sconvolgimento totale della loro vita i n i m m a g i n a b i l e!

Questo deve appunto essere stato il concerto di Woodstock per gli abitanti di quel luogo, vedersi invadere la propria cittadina da un milione (più o meno) di hippies e per tre giorni vivere in un altro mondo: vivere nel centro dell’universo!

Il film parla appunto di questo: degli alieni hippies che per tre giorni invasero una conservativa cittadina della provincia.

Il film è tratto dal libro Taking Woodstock: A True Story of a Riot, Concert, and a Life di Elliot Tiber e racconta come Elliot diventi in poco tempo uno degli organizzatori del Festival di Woodstock, l'evento rock che segnò la storia della musica e del costume alla fine degli anni 60.

Elliot sulle ali della propria ingenuità riesce a dilazionare la restituzione dei soldi del mutuo alla banca che sta per mangiarsi il piccolo motel gestito dal padre e dalla madre e a diventare un organizzatore del festival trovando nel suo paese il luogo adatto e le licenze necessarie per dar vita all'evento.

Il film parte lento ma poi acquista ritmo non appena la macchina organizzativa del concerto arriva e l’evento prende forma e lentamente parte l’invasione del milione di alieni.

Tutto cambia nella vita di Elliot e dei suoi genitori. Elliot scopre la propria omosessualità, scopre il mondo della marijuana e dei trip con gli acidi. I genitori si trasformano; da misantropi che erano ritrovano il gusto di vivere e il rispetto degli altri. Tutto si snatura in quel luogo. E’ il trionfo della libertà. Del corpo. Sono i corpi che parlano degli ideali di quei giorni non le parole. E’ la musica che aggrega ma sono i corpi i veri protagonisti di quell’evento. Il vero centro del mondo è l’ammasso di questo milione di corpi di giovani alieni che si spingono entropicamente verso l’ombelico dell’evento: il palco, che da lontano, come una sirena, fa sentire il suo richiamo e guida il mondo al centro del Sé.

La vita grigia di Woodstock fatta di uomini mediocri, acquista colore, scopre la gioia e la fantasia e soprattutto vive dei colori e della fantasia e della fratellanza che i giovani alieni trascinano verso l’altare del Sé.

Woodstock diviene il fulcro dell’armonia di un universo effimero che tre giorni dopo si dissolverà e si lascerà dietro montagne di rifiuti e sconcerto negli animi di chi rimane.

Ma dov’ è di nuovo diretta la grande astronave che era atterrata a Woodstock? Seguirà il flusso della musica. Ci sono altri concerti, c’è altro movimento, c’è ancora una storia lunga da scoprire prima che finisca.

Ci sono i Rolling Stones ad Altamont, molti sono già diretti là. Un altro centro del mondo con le sue gioie e le sue sciagure sta per iniziare.

Vedendo il film una riflessione sopra tutte le altre si fa evidente. Qui è come nel calcio. I grandi campioni fanno la differenza. Qui è il regista, Ang Lee, che fa la differenza. Tocchi da genio. Maestria e tecnica fanno di una storia difficile da trasporre filmicamente, un’opera di ottimo livello qualitativo.

giovedì 23 dicembre 2010

CONSIGLI PER FILM IN DVD "Cosa voglio di più" di Silvio Soldini




Cosa voglio di più

REGIA: Silvio Soldini







ATTORI:

Alba Rohrwacher

Pierfrancesco Favino

Giuseppe Battiston

Teresa Saponangelo

Monica Nappo

GENERE: Commedia

DURATA: 126 min

Cosa voglio di più ovvero lo smarrimento dell’anima nel patire del corpo.

Basta un gesto, senza una motivo particolare alla base, come inviare un sms, per sfuggire alla noia di una vita sempre uguale e per iniziare ad evadere dalla frustrazione della vita in ufficio, dalla realtà noiosa di una vita da pendolare, dai ritmi familiari scanditi dalle bizze dei bambini, dalle spese al supermercato e dai problemi di soldi che non bastano mai.

Invii un sms e tutto questo diviene un nulla. Comincia una nuova avventura che illumina il nulla.

La macchina da presa sta sempre in movimento e cerca insieme alla storia una via d’uscita dal nulla, ovvero da una realtà che la macchina sfoca tenendo sempre in primo piano gli attori.

Il corpo si rimette in moto. Si accende la passione. Nascono gli impulsi e gli stimoli che ringiovaniscono il corpo e accendono alla vita. Fuori è Matrix, ma dentro rinasce l’indipendenza a decidere la propria vita.

Il nuovo mondo è fatto di bocche che si incontrano e alitano, di corpi che si uniscono, di orgasmi che durano attimi come la felicità fuori da Matrix, ma che subito ti riprende e ti crocifigge con la sua quotidianità.

Il film è tensione, angoscia, dramma anche. Però ti prende e non ti molla.

Bravo ! diavolo di un Soldini. Finalmente un italiano cha sa fare anche i finali!

mercoledì 22 dicembre 2010

UN ALTRO MONDO di Silvio Muccino


Un altro mondo

REGIA: Silvio Muccino



ATTORI:

Silvio Muccino

Isabella Ragonese

Michael Rainey Jr.

Maya Sansa

Flavio Parenti

GENERE: Drammatico

DURATA: 110 m

L’inizio del film non è male. La regia pare buona e di eleganza da subito. Però il film si dilunga subito in un dieci minuti abbondanti di deittici “ci sono…che…” (ci sono persone che…ecc…) che ci mostrano giovani borghesi (distanti anni luce dalla normale vita dei poveri Cristi che si dannano l’anima per arrivare in fondo al mese) che trascorrono la loro vita in deittiche pose, iconoclastiche, ben lontane dal lavoro e da ogni segno di crisi economica. Per cui mi sorge spontanea la domanda: ma questi che fanno cinema in che mondo vivono? Salvo pochi e coraggiosi registi, ultimamente tutti parlano della ricca borghesia italiana. Possibile che con tutti i problemi che ci sono in Italia i registi trovino solo ispirazione in un ceto sociale di minimo spessore?

Ma Muccino non è così stupido: mira più in alto. Muccino ha capito la lezione del mainstream, di produrre film che possano incontrare il gusto globale. Evita il classico prodotto di nicchia italiano che sfugge alla tendenza direzionale del mondo globale a favore e in nome dell’arte. E in effetti la regia ci propone Roma come ci proporrebbe Newyork; ci propone l’ideale della happy family della commedia hollywoodiana con ritocchi e tick alla Verdone e dosi di politically correct estranee al più genuino cinema vajasso italiano. Ci propone per questo la borghesia (romana?) perché il sillogismo di Hollywood è: chi è bello è felice/chi è felice ha i soldi, ergo chi è bello e felice ha i soldi.

Muccino è bravo come attore (anche se assai stilizzato da pose molto americane) e regista, su questo non c’è dubbio. Tuttavia se ha imparato a fare il regista globale deve imparare a fare storie meno banali, anche se in verità ha appreso la famosa lezione di Charlie Kaufman, che il finale salva un’opera. In effetti tutta la parte conclusiva del film riscatta la parte abbastanza opaca dell’inizio e quella centrale. Nella parte finale compare finalmente un po’ di cuore per quanto le scene “di cuore” non perdano il sapore manierato del mainstream.

Un’annotazione su come Muccino (volontariamente o involontariamente) dipinge le donne (che è poi una costante del cinema italiano contemporaneo, sia di quello più vajasso che di quello meno vajasso): anche in Muccino abbiamo la donna “palla” cioè quella che rompe di continuo, petulante o urlante ma comunque sempre nevrotica, spietata e soprattutto contraria. Un bel cambio, se si pensa che nel Neorealismo se non erano madri o sorelle erano solo puttane o malafemmine!

La storia non la racconto, poiché è talmente niente in sé che vale la pena di scoprirla da soli al cinema per rendere almeno omaggio al prezzo del biglietto che pagherete.

Comunque ironie e critiche (giuste) a parte il film di Muccino, che non è male se si pensa a quello che vi è in circolazione di questi tempi, soprattutto in virtù del gusto mainstream di ottima fattura e del finale memore di Charlie Kaufman due stelle (e mezzo) se le merita.

CONSIGLI PER FILM IN DVD "A Serious Man" di Joel Coen & Ethan Coen



A Serious Man

REGISTI: Joel Coen, Ethan Coen






ATTORI:

Michael Stuhlbarg

Richard Kind

Fred Melamed

Sari Lennick

Adam Arkin

GENERE: Commedia

DURATA: 105 min.

Il film è complesso, sia sul piano della narrazione che su quello della struttura filmica. I colori, le sequenze, la musica, la storia si intrecciano in un nodo del tutto inestricabile.

Dalla complessità narrativa del film emerge il problema dell’insondabilità delle cose, evidenziato da un surrealismo improntato al senso illogico (assurdo) del risultato rispetto all’azione: perché tutto quello che Larry, il professore di fisica protagonista del film, fa gli si ritorce contro quando invece secondo la sua visione della vita (il buon cittadino americano ed ebreo) fondata sull’onestà e sulla serietà, dovrebbe andare in un altro senso?

Dalla virtuosità caricaturale delle immagini, che caratterizza l’isteria dei personaggi, emerge la ugliness, ovvero la bruttezza fisica e morale del mondo jewish, ebreo; che carico di secoli di retorica, ipocrisia e vizio è perciò incapace di concludere e di dare risposte al senso delle cose.

Ma c’è un altro modo di vivere, insinua il film. E forse si cela nella leggerezza del vivere. Forse proprio nella leggerezza è la soluzione.

Una mia amica americana dice spesso I like to be silly, life is more funny when you are silly! – Mi piace fare la stupida. La vita è più divertente quando sei stupida - when you are silly... suffering is suspended – quando fai la stupida il dolore è sospeso.

E’ forse il messaggio dei fratelli Coen non è lontano da questo.

E infatti, quando finalmente Larry comincerà a prendere la vita come viene, meno seriamente, meno onestamente anche, tutte le cose sembrano sistemarsi. Quasi si vanno finalmente aggiustando.

Ma l’Architetto del mondo, o l’architettura malevola dei registi, impende sul destino di Larry e la vita all’improvviso sterza verso la sofferenza finale, quella che non lascia più scampo: la malattia e il disastro naturale. Un cancro diagnosticato in ritardo e un tornado in arrivo.

La storia si srotola lentamente, anche troppo, e pur con il guizzo magico delle immagini, dei dialoghi, della musica e del genio dei registi, il film cade talora in quella pesantezza e grevità bollata dai Coen come mal de vivre.

martedì 21 dicembre 2010

CONSIGLI PER FILM IN DVD "Lebanon" di Samuel Maoz




Lebanon

REGIA: Samuel Maoz





ATTORI:

Oshri Cohen

Michael Moshonov

Zohar Strauss

Reymond Amsalem

Itay Tiran

GENERE: Drammatico

DURATA: 90 min

ANNO PRODUZIONE: 2009

I veri protagonisti sono due: la luce e la tenebra. La luce di un bellissimo campo di girasoli in fiore dai colori oro e verde sotto un terso cielo blu alto e lontano e la tenebra nel ventre di un carro armato che occulta il fetore dei suoi escrementi.
Lì quattro soldati combattono una guerra senza senso, in mezzo all’olio che cola dalle pareti del carro e allaga il fondo, in mezzo al sudore dei loro corpi e alla sporcizia appiccicosa ed opprimente che regna in quel buco nero. Ma fra loro e la guerra c’è un muro di acciaio: li separa e li distanzia ma non li protegge. Non li protegge dalla paura di essere uccisi, non li protegge dalle atrocità e dai crimini. Eppure sono lì nel mezzo della guerra ma è come se fossero lontani: la vedono attraverso i mirini di puntamento e i periscopi. Sparano, uccidono ma tutto avviene in differita. Lontano da loro. Il mondo si è capovolto. Lì dentro regna il buio l’untuosità e la paura: la paura di morire, la paura di deludere la propria famiglia, la paura di non tornare a casa, il nome invocato della madre o il ricordo di un sesso infantile e liberatorio. Fuori si muore davvero, fuori è la guerra in diretta, il crimine e l’assurdità della morte eppure fuori c’è l’aria. Fuori si respira. Fuori c’è la luce!
Nel ventre del carro armato non ci sono quattro soldati ma quattro bambini isterici che non sanno come agire, come comportarsi. Hanno paura, sono nevrotici, insulsi, paranoici. Solo la droga gli dà la serenità e l’incoscienza di affrontare la morte e la paura.
Certo non vi sono in questo film le vette liriche di “Apocalypse now” di Francis Ford Coppola. Il delirio non è il delirio all’altissimo livello filmico del film di Coppola, è più la fine del topo, lo strisciare del serpente, la paura di essere in una fogna e di non uscirne più. E’ un soffocare lento e penoso.
La luce solo a tratti entra in quel mondo di tenebra. Ed è quando si apre il portello che chiude l’uscita e si cala giù non un angelo ma un ufficiale senza più sentimenti, un uomo che ha rinunciato all’umanità ma che in fondo non l’ha ancora persa, perché il dubbio lo tormenta.
Bellissimo il finale. Un finale bello quanto assurdo. Paragonabile ad un quadro di Magritte. Tutto resta sospeso ed inconcluso così com’era cominciato.

lunedì 20 dicembre 2010

L'ESPOLSIVO PIANO DI BAZIL di Jean-Pierre Jeunet



L'esplosivo piano di Bazil

REGIA: Jean-Pierre Jeunet





ATTORI:

Dany Boon

André Dussollier

Nicolas Marié

Jean-Pierre Marielle

Yolande Moreau

TITOLO ORIGINALE: Micmacs à Tire-larigot

GENERE: Commedia

DURATA: 105 min.

Con un stile tutto personale Jean-Pierre Jeunet ci racconta di una mina che scoppia nel lontano Sahara ed un soldato sminatore muore. Quell’uomo è il padre di un bambino, Bazil, la cui madre impazzirà di dolore per la perdita del marito ed il bambino verrà messo in un istituto. Ma il film ci mostra come il bambino esaminando le foto della mina, prima che la mamma impazzisse, aveva rilevato il marchio della fabbrica francese che produceva quelle mine. Quel marchio gli si fisserà nella mente per sempre.

Il film va veloce ed il bambino anche cresce veloce.

E non più bambino lo ritroviamo grande mentre fa il turno di notte a un videonoleggio e viene colpito alla fronte da una pallottola volante durante una sparatoria. La pallottola (di cui un giorno gli verrà mostrato il marchio della casa francese che le produce) gli si conficca nel cervello. Il chirurgo che lo opera si ritrova davanti al dilemma: se gli leva la pallottola dal cervello, ci sono nove possibilità su dieci che diventi un vegetale. Se gli lascia la pallottola dov’è Bazil vivrà ma con nove probabilità su dieci potrà morire da un momento all’altro. Il chirurgo seguendo la conclusione pratica di un’infermiera filosofa (meglio vivere sapendo di poter morire, che sopravvivere senza saper di vivere) gli chiude la fronte e lo rispedisce a casa. Il povero Bazil-uomo-pallotola ritorna a casa, ma non ha più una casa; ritorna al lavoro ma non ha più un lavoro. Così vivendo un po’ alla giornata finisce a dormire sulla Senna e a vivere facendo l’ artista di strada finché conoscerà un barbone che lo introdurrà nel sottomondo. Un mondo parallelo a quello superiore dove si ricicla ciò che il mondo superiore butta via. Un mondo strano fatto di strani personaggi a metà strada fra talpe ed esseri viventi, in cui comanda, a suon di ceffoni e rimbrotti, l’opulenta cuoca Mama Chow.

Bazil-uomo-pallotola comincia a lavorare per loro e durante uno di quei lavoretti per caso scoprirà le sedi delle due società che producono armi e che sono responsabili, una, della morte del padre e, l’altra, del fatto che Bazil sia diventato Bazil-uomo-pallotola. Così cerca di penetrare nelle sedi. Respinto comincia dapprima a pedinare uno dei due presidenti. Il presidente poeta, quello che vende armi ed ama citare Rimbaud.

L’uomo Pallottola si convertirà in una specie di spazzacamino alla Mary Poppins, vagando per i tetti e trafficando con i microfoni infilandoli per i camini per ascoltare le conversazioni deciso a distruggere quel male. Il male dei mercanti di armi...

Un film in salsa surreale, che è un po’ thriller, un po’ commedia noir, un po’ favola alla Mary Poppins.

Alla fine questo film è come un Supertuscan: un prodotto di nicchia assemblato con uvaggi diversi secondo l’estro dell’enologo e proprio per questo senza personalità; son tutto ma alla fine son sempre qualcosa di indefinito e senza radicalizzazione nel territorio.

E questo anche è un film che sfugge a qualsiasi genere, che è tante cose ma alla fine non è nulla. Annoia e non diverte.

Una stella e mezzo

sabato 18 dicembre 2010

LA BELLEZZA DEL SOMARO di Sergio Castellitto



La bellezza del somaro

REGIA:Sergio Castellitto





ATTORI:

Sergio Castellitto

Laura Morante

Nina Torresi

Enzo Jannacci

Marco Giallini

Barbora Bobulova

GENERE: Commedia

DURATA: 107 min

Negli ultimi mesi mi pare che il livello qualitativo dei film in circolazione sia davvero basso. Dopo aver visto “Tre all’improvviso” e “Il responsabile delle risorse umane” pensavo di aver toccato il fondo, almeno per quest’anno. Ma mi sbagliavo, dovevo ancora vedere “La bellezza del somaro” di Castellitto per rendermi conto che questo fondo era ancora senza fondo.

Prima di infierire sul film, che è addirittura stato scritto dalla Margaret Mazzantini (doppio SIC!!) due parole sulla trama, che è poi ben poca cosa.

Il padre, Marcello (Sergio Castellitto), architetto di successo e figaccione. La madre, Marina (Laura Morante) psicologa e madre sessualmente repressa (ma interpreta sempre lo stesso ruolo in tutti i film la Morante?). La figlia, Rosa (Nina Torresi), liceale isterica e viziata di diciassette anni. Armando (Enzo Jannacci), il fidanzato ultrasettantenne di Rosa; un’idiota illuminato.

Il film inizia con una fotografia che sorprende per la sua brillantezza e la scelta delle musiche, ma poi tutto si ferma lì.

Ma che film è questo?

Un film sulla solita società dei soliti italiani lamentoni, bambinoni e caciaroni, urlanti e sguaiati che attraversa tutto il cinema italiano vajasso da Verdone a Veronesi, da Virzì a Luchetti fino a Sordi.

Ma siamo davvero così?

Il film ci dipinge così. Ma anche di più: sboccati e relativizzatori (cioè persone senza capacità di vedere la verità, ma capacissimi di vedere tante verità secondo il proprio tornaconto).

Il film è molto confusionario e finge una falsa patina (scopiazzatura) di modernità scimmiottando Woody Allen, che riveste l’ ideologia becera del romanesco cinematografico: ovvero l’ideologia de “la gnocca è tutto quello che conta nella vita” ma conta di più se “lo dimo in romano”.

Un film che rispecchia davvero bene la nostra società, perché è una società che non sa più che pesci prendere, esattemente come il film.

Dopo aver visto il film di Castellitto (trash DOCG) mi viene spontaneo pensare che forse sarebbe meglio dare il permesso di fare film a chi ha veramente qualcosa da dire (in termini di cultura o di entertainment almeno), specialmente in un momento come questo in cui il nostro paese ha il diritto/dovere di puntare tutto sull’eccellenza del made in Italy.

Se il nostro paese produce simili film sono seriamente preoccupato.

Voto: 0

giovedì 16 dicembre 2010

Immortality is linked to the Good and mortality to Evil

Entweder Schwein oder Mensch

Entweder überleben um jeden Preis

Oder Kampf bis zum Tod

Entweder Problem oder Lösung

Dazwischen gibt es nichts

(Gudrun Ensslin)



La cosa bella di essere uno scrittore è che puoi scrivere senza dover dimostrare, come invece fa lo studioso. Lo scrittore scrive sotto l’impulso dell’ istinto e dell’intuizione elaborando le sue idee secondo una forma scritta o la struttura di una storia. Ciò non significa però che la profondità dell’intuire di uno scrittore sia minore di quella di uno studioso o di uno scienziato.

Quando ci si pone una domanda sul Male, sul perché esista il Male, ci sono molti modi per rispondervi.

Io credo innanzitutto che il Male sia una Forza, che è la Forza stessa di questo Mondo. La forza che anima e manda avanti questo Mondo. Solo imbrigliando e controllando il Male si ottiene il Bene.

Il Male si manifesta in molti modi. Una volta avevo immaginato che il Male potesse prorompere in questo mondo con un rutto (Bulullu). Nel rutto il fetore degli intestini si apriva la porta verso questo mondo e dilagava. Un’altra volta avevo pensato che il Male attendesse paziente l’indebolirsi della integrità di un campione di ciclismo per distruggergli la vita ed il mito che si era creato con le sue imprese (Pantani, la distruzione di un mito), per non conoscere più ostacoli (la positività del mito: i miti educano al Bene) e spandersi in questo Mondo.

Un’altra volta ho immaginato che il Regno delle Ombre si fosse fatto strada in questo Mondo (Albert Richter, un’aquila fra le svastiche).

Possono – mi chiedevo in quel libro - le ombre condizionare lo Spirito di un popolo fino alla tragedia?

Sì, lo poterono, allungandosi attraverso la mente di ariosofi, esoteristi e maghi fino a incunearsi nello spirito dell’ideologia nazista modellandola secondo i loro principi. E si ebbe la Shoah.

E gli anni Sessanta e Settanta? Quale fu la forza che percorse il mondo e lo spinse alla violenza, all’odio?

Da Malcolm X negli Stati Uniti, alla Armata Rossa Unita (Rengo Sekigun) in Giappone, alle Brigate Rosse in Italia, Action Directe in Francia, alla RAF in Germania?

Il Comunismo, che sostenne, foraggiò e aiutò molti di questi movimenti attraverso la mostruosa macchina della STASI. Senza il Comunismo forse il Sessantotto nemmeno sarebbe iniziato.

E oggi il terrorismo islamico da che è mosso? Dall’antimperialismo e dall’antisionismo.

Ecco, queste sono alcune delle figure che pongono in actu quella Forza a cui mi riferivo in inizio di pagina. Una forza incontrollabile che Schopenhauer chiamò Wille (ma non per questo dobbiamo necessariamente identificarla con il Wille schopenhaueriano). Una Forza che il Cristianesimo ha chiamato il Male. Una Forza che esiste e pertiene a questo mondo e finisce sempre per scatenarsi laddove la Forza trova il modo di dilagare ed irrompere, travolgendo l’opera di contenimento della Volontà di Bene destinata sempre a soccombere per poi rinascere e ricominciare la sua opera senza fine.

mercoledì 15 dicembre 2010

IL RESPONSABILE DELLE RISORSE UMANE di Eran Riklis

Il responsabile delle risorse umane

REGIA: Eran Riklis



ATTORI:

Mark Ivanir

Guri Alfi

Noah Silver

Rozina Cambos

Julian Negulesco.

Titolo originale

TITOLO ORIGINALE: The Human Resources Manager

GENERE:Drammatico

DURATA:103 min

La storia di questo film parte da un semplice cedolino di una busta paga ritrovata addosso ad una giovane donna, Yulia Petrake, rimasta coinvolta in un attentato terroristico in Israele.

Si cerca di dare un volto a questa donna morta e vi si riesce solo perché attraverso il cedolino è possibile rintracciare la ditta presso la quale lavorava. Un panificio, dove il responsabile delle risorse umane si trova al centro di pressioni che gli provengono dalla proprietaria, “La Vedova”, e da un giornale locale che a causa di un giornalista rampante sfrutta la storia di Yulia per fare un articolo scandalistico. Quello che viene messo in gioco è il buon nome del panificio perché la ragazza pur essendo stata licenziata era stata comunque mantenuta sul libro paga della ditta. Questo a causa di un sorvegliante di reparto che l’aveva licenziata perché innamorato di lei. Ma pur avendola licenziata non l’aveva comunque comunicato al responsabile delle risorse umane e così Yulia, di origine russa, era stata mantenuta sul libro paga.

Suo malgrado il responsabile delle risorse umane, già inguaiato dai propri problemi personali con la moglie da cui vive separato e da incomprensioni con la figlia a cui non riesce a trovare tempo da dedicare si trova a dover affrontare il riconoscimento della salma e ad accompagnare la salma in Russia per riconsegnarla alla madre ed ottenere da quest’ultima la firma, valida legalmente, della consegna che permetterebbe finalmente al responsabile di ritornare in Israele e adempiere la promessa che ha fatto alla figlia di accompagnarla in gita scolastica.

Il film forse vorrebbe giocare sul senso stesso delle parole “Responsabile delle risorse umane” il cui personaggio, il Responsabile, trovandosi ad affrontare un lungo viaggio imprevisto trova il tempo di dimenticare una situazione personale e lavorativa, che come spesso succede, ci allontana dalla propria umanità e solo il distacco da quell’alienamento quotidiano ci permetterebbe di ritrovare in noi quelle risorse umane che in quanto esseri umani tendiamo a dimenticare a causa dell’esser gettati in un modo che ci dis-trae e ci porta in una situazione diversa da quella originaria.

Intenzioni a parte, in realtà il film è grossolano e per niente divertente anche se in certe situazioni parrebbe volerlo essere. E’ invece un film assai irritante e inconcludente.

Una stella.

sabato 11 dicembre 2010

TRE ALL' IMPROVVISO di Greg Berlanti




Tre all'improvviso

REGIA: Greg Berlanti.





ATTORI:

Katherine Heigl

Josh Duhamel

Josh Lucas

Christina Hendricks

Melissa McCarthy

TITOLO ORIGINALE: Life As We Know It.

GENERE: Commedia

DURATA: 112 min

E’ la solita commedia sentimentale di Hollywood, infarcita di litigi di amore e sesso, in cui all’inizio ci si odia ed alla fine ci si ama.

Holly ed Eric si incontrano per un appuntamento combinato da una coppia di amici comuni, ma lui ha l’ego ipertrofico dello stronzo e lei quello della femminista che non scopa da un bel pezzo. Può un simile appaiamento funzionare? Parrebbe proprio di no. Ed infatti i due si odiano fin dal primo momento. Ma cupido non sembra pensarla allo stesso modo.

Infatti a causa della coppia di amici comuni a cui sono fortemente legati i due devono continuare a frequentarsi e a becchettarsi ogni volta che si incontrano. Ma nonostante i loro dispettucci, Cupido comincia, loro malgrado, a tessere la trama (crudele) che li porterà ad innamorarsi perdutamente.

Il primo colpo Cupido lo infligge quando in un incidente di macchina la coppia di amici comuni muore, lasciandogli, a completa insaputa di Holly ed Eric, l’affidamento legale di Sophie, la loro figlioletta di poco più di un anno.

Cupido è crudele, è vero, ma gioca il suo gioco.

I due, nel momento di dolore e smarrimento, cominciano a vedersi con occhi diversi: lui diviene un po’meno ipertrofico, lei un po’meno acida.

Così pur non piacendosi si trovano a vivere sotto lo stesso tetto (la casa che era dei genitori di Sophie) e a vivere una vita da genitori surrogati per via di una bambina che è stata loro affidata senza che l’avessero mai saputo.

Gags scontate, risate poche e pateticità tanta servono a dar vita alla parte centrale del film costruita all’insegna di “Tre Scapoli ed un Bebè” di Leonard Nimoy (1987). Su quello stile il film va avanti. E fra dispetti vari, fra pianti e cacche varie e con l’aggiunta del diversivo degli amanti che sia Holly che Eric non disdegnano pur di far ingelosire l’altro (lui ama le bionde che rimorchia al supermercato e lei il pediatra che aveva rimorchiato nel suo negozio di alimentari e dolciumi) si assiste al lento, faticoso ma fatale lavoro di Cupido.

Alla fine Cupido avrà la meglio ed i due finiranno a letto insieme e si innamoreranno per sempre. A quel punto il cinico Cupido sorride e rimette le frecce nella faretra. Il suo lavoro è finito tutto il resto è normale amministrazione.

Normale amministrazione è anche il film, perché fatti tutti i conti è una specie di fiera dei sentimenti tanto patinati quanto scontati.

Una stella.