Albert Richter Un’aquila tra le svastiche - Il ciclismo tedesco fra nazismo ed esoterismo - Ovvero L'analisi di come il Male si fece strada fino alla Shoah anche attraverso lo sport.
Un appassionante racconto!
(Bradipolibri Editore)
Quando ti avvicini agli atleti tedeschi della Germania fra gli anni 1920-1939 hai la netta sensazione di avere a che fare con Titani. Titani a tutti gli effetti, nel bene come nel male. Gli atleti degli altri paesi ti appaiono pionieri, temerari, scaltri, pazzi…ma mai titanici.
La storia di Albert Richter è quella di un Titano. Di un Titano buono che lotta contro il Male.
La vita di Albert Richter si snoda lungo tutto il periodo di crisi in cui le aspettative di un popolo sono indirizzate verso un senso della storia che è quello dell’attesa di un Messia.
E sarà un Messia, ma un Messia Nero quello che risolleverà le sorti del paese, per poi precipitarlo nell’abisso.
In quegli anni in Germania, sotto la spinta organizzativa di Carl Diem che si combacia perfettamente con
Ma Richter sfugge a questa logica. Egli è Kämpfer, un Kämpfer però degenere rispetto all’ideologia della razza ariana: un Kämpfer solo sulla pista, fuori da quella egli è solo un uomo normale come tutti gli altri. Eppure aveva tutti i connotati per appartenere a quella gioventù geneticamente perfetta e perfettamente manipolata della razza ariana: biondo, occhi chiari, atletico, invulnerabile, divino.
Somaticamente perteneva in modo inequivocabile alla razza che riteneva legittimo imporre il proprio Herrtum, perché di origine divina rispetto alle altre di derivazione animale. Questo almeno era quanto non molti anni prima erano andati predicando certi ariosofi, a cui il nazismo avrebbe attinto a piene mani: “Come ogni Ario alla vista di una smorfia di un mongolo o di una larva di negro è colto da un insormontabile senso di schifo…così divampa agli occhi della Razza Inferiore un perfido odio ancestrale alla vista di uno della razza bianca. Per l’ uno s’impone il senso dello Herrtum, della coscienza della propria Origine Divina, per l’ altro il senso indomito, selvaggio dell’ Uomo Scimmia, che in tale sguardo viene risvegliato quale eredità dell’epoca primordiale…Se i nostri antenati non avessero, con coraggio (mutig), intrapreso questa lotta oggi la terra sarebbe popolata da gorilla e oranghi.” [2]
Ora si capisce bene che quando nel ’33, a causa dell’ Arier Paragraph, si comincia a estromettere tutti gli ebrei da ogni associazione e pratica sportiva, questo era il senso della cacciata: continuare la lotta (Kampf) coraggiosa (mutig) per la riaffermazione di una razza che aveva la sua ragion d’essere in un principio divino. Per questo (oltreché per ragioni pratiche: lo sport come preparazione al Soldatentum , vita militare) s’imporrà anche il senso dell’atleta-soldato (Kämpfer) che culminerà nella chiamata alle armi di Carl Diem alla Hitlerjugend per la lotta finale (Endkampf) per riprendersi l’ area sacra dello Sportforum di Berlino occupato dalle truppe russe e che costerà la vita a 2.000 di quei ragazzi: “Wunderbar ist der Tod, wenn der edle Krieger für das Vaterland fällt “[3]
Ogni soldato caduto contribuirà alla Ausmerszung, eliminazione, dal suolo patrio di ogni “corpo estraneo” che con la sua presenza bellicosa impedisce il riappropriarsi dell’ originaria purezza…
Nessun commento:
Posta un commento