LETTERA APERTA A MATTEO PATRONE DIRETTORE DE www.ilpolitico.it
(Intervento di Matteo Patrone su ilpolitico.it 26/10/2010)
Ciò che stiamo per scrivere sarà popolare solo per una metà. Del Paese. La metà che si chiama Italia - esclusa la classe dirigente. O meglio politica. E non solo perché contiene una critica nei suoi confronti. Stiamo per scrivere che le persone capaci di incidere sul discorso pubblico che vogliono il bene dell’Italia - più il Politico.it - sono tutte di nazionalità, origine, forte contaminazione e cultura non italiane. Loro, per due ragioni e grazie ad una condizione.
Come scriveva Cavour all’alba del Risorgimento il futuro del nostro Paese è parte del futuro del mondo, del progresso. L’Italia - anche se noi oggi l’abbiamo dimenticato - è (è stato) un gigante della civiltà. E lo è (è stato) in virtù delle sue risorse intrinseche, che sono ancora lì, dentro di noi. Per tornare grandi dobbiamo solo rimetterci mano. Come? Lo abbiamo scritto, lo scrivono loro, torneremo a scriverlo noi: liberandoci. Ma non di Berlusconi o di chicchessia (anche se, come vedremo, questa liberazione passa necessariamente attraverso un rinnovamento, ma non solo nominalistico o anagrafico). Liberandoci dai lacciuoli emotivi e anticulturali che, storicamente e in maniera più acuta recentemente, ci hanno prima «corrotto e frustrato», e poi addormentato. E la chiave per fare tutto questo è la «cultura (popolare)». Ma su questo torneremo.
La seconda ragione è che - come peraltro scrive lo stesso Emmott - un mondo così civile, così istruito, così “colto”, così connesso e solidale non è esistito mai. Beninteso: ci sono ancora prigioni, in giro per il pianeta, in tutti i sensi. E al di là di questo problemi - fame e povertà, quest’ultimo peraltro a rischio di riacutizzazione se non torneremo a riconoscere la primazia della politica sull’economia, su tutti - permangono, ovviamente, tutt’oggi. Ma in generale non siamo mai stati così bene. Pensateci. La causa di tutto questo è l’”interconnessione dei destini delle nazioni” assicurata - va riconosciuto - dal mercato e l’effetto è una marcata solidarietà internazionale. A maggior ragione, naturalmente, nei confini europei (per noi) e delle (più strette) alleanze (”ufficiali”).
La condizione perché queste due “ragioni” possano esprimersi e compiersi nell’effetto a cui facciamo riferimento è speculare ad una parte della ragione per cui invece noi - o, meglio, la nostra politica autoreferenziale di oggi - non ci riusciamo: si tratta della modernità. La modernità è la piena espressione di sé. Oggi. Da noi (appunto) questo oggi non c’è. Siamo costretti nel nostro cliché “culturale”. Non siamo liberi (appunto). E dunque non siamo moderni. E questo ci impedisce di essere lucidi e lungimiranti. Insieme ad un’altra cosa. Ciò che scriviamo ogni giorno. Per questo, per la «corruzione e frustrazione» e per il fattore di innovazione ma anche di destabilizzazione fuorviante rappresentato dal berlusconismo oggi la nostra politica è completamente autoreferenziale. Nel senso che è rivolta su se stessa. E ciò ha provocato, alla fine, un innamoramento di questa condizione e di se stessa. Così, la politica italiana non vede. E non ci sente. Non vede: non ha idee. Non ci sente: non capisce che, per questo, è necessario un rinnovamento. Ma un rinnovamento che non consista nella semplice cooptazione o apertura. Rinnovamento significa creazione delle condizioni per la nostra liberazione e quindi per la nostra modernità. Rinnovamento. Di qualità. Un rinnovamento che la nostra politica deve favorire. E che i possibili “liberatori” dell’Italia devono a loro volta favorire contrapponendosi in una grande battaglia delle idee. O continueremo ad avere patrioti stranieri. Un ossimoro.
Matteo Patrone
(Mia lettera aperta)
Ciao Matteo,
negli ultimi tempi ho letto alcuni tuoi articoli. Ho con piacere notato:
1) che ti stai distaccando dai parrucconi del PD
2) che stai cercando una strada autonoma
3) Soprattutto l'ultimo tuo intervento sulla modernità e su chi porta la modernità in questo paese retto da dinosauri e schiacciato dal loro peso ha necessariamente un nome straniero (e non poteva essere diversamente). Non ho ancora letto il libro di Bill Emmot. Lo leggerò presto. Ne avevo già sentito parlare. Purtroppo sono impegnato in mille altre letture, ma a questo punto diventa una priorità
4) mi piace la tua scrittura. Non di facile lettura e tuttavia creativa per le continue incisioni e puntualizzazioni. Si vede la lezione di Facebook: continuamente con i tuoi incisi tagghi il concetto che esprimi.
Bravo Matteo. Vai avanti per questa strada.
Mi fa soprattutto piacere una cosa, che però non so se condividerai: ti stai staccando dalla retorica della vecchia sinistra fondata su stereotipi creati dal vecchio comunismo, che ancora illude/-ono (vedi sto copiando il tuo stile) molte persone, ovvero gli ingenui: quelli che continuano a pensare di vivere nello stesso mondo di 20 anni fa e non si rendono conto di quanto il mondo si sia evoluto.
Quando mi capita di vedere in giro slogan come "Reddito per tutti" mi viene proprio da ridere. Reddito per tutti? Per chi? Che vuol dire reddito per tutti? Anche per quelli che non hanno voglia di fare nulla? Anche per quelli che credono solo nel superenalotto o nei miti deleteri dell'arringatore (e massacratore televisivo) della velina e del calciatore (e qui ha colpa la cultura televisiva creata fin dagli anni '70 da Berlusconi)? Eppure c'è ancora chi continua a crederci.
Mutatis mutandis ora si ripropone la situazione del dopoguerra quando la chiesa era il bene ed il comunismo (che mangiava i bambini) era il male; oggi il "comunismo" (ma dov'è mai finito il comunismo? Esiste il comunismo? se sì, non certo quello di D'Alema o Bersani) è il bene e la "destra" (che è più innovativa della sinistra perché meno vincolata a ceppi retorici) il male.
Indipendentemente dal fatto che condividerai o meno il mio intervento, bravo Matteo. Continua per questa strada.
Fabrizio
(Risposta di Matteo Patrone)
Mah, basta vedere i risultati alle elezioni per capire che non ci siamo più, per ciò che riguarda la sinistra. E' chiaro che - almeno in questa fase - serve qualcosa di diverso. Io sinceramente continuo a pensare che l'onestà della base del Pd sia la condizione necessaria proprio per fare questa cosa diversa (qui forse non siamo d'accordo). Che si potrebbe riassumere semplicemente nel rispondere alla domanda: cosa serve al Paese. Abbiamo a disposizione una logica e l'onestà intellettuale (per chi l'ha): dato quello strumento e questa condizione ogni tempo secondo me ha una risposta. Quindi diciamo che non si pone il problema delle interpretazioni. E' la modernità secondo Emmott. Ed è la strada da perseguire, dimenticando destra e sinistra. Non ho ancora focalizzato cosa potrà succedere dopo: è vero che ogni momento negativo prepara l'ulteriore progresso, ma quando si vive quel momento resta pur sempre un brutto momento. Ecco, ho un po' paura che fatti saltare gli schemi della rappresentanza degli interessi - ammesso che sia possibile, eh... - si apra un vuoto, che a seconda di chi arriva poi può essere riempito anche (più facilmente che a fronte di una dialettica "salda" e sperimentata destra-sinistra) di cose brutte. O che per lo meno io considero brutte.
Comunque condivido ciò che dici. Anche sul reddito per tutti: io non credo sia accettabile che in un Paese civile, ad esempio, si viva per strada o - se è possibile - si muoia di fame. Ma la soluzione al problema va inserita nel piano complessivo per fare il bene del Paese. E per come la vedo io un modo sostenibile potrebbe essere sul piano del reddito scambiare lo stipendio minimo con l'obbligo di partecipare a corsi di formazione inseriti in un sistema organico e a sua volta a sistema con università e lavoro per l'innovazione e lo sviluppo; per ciò che riguarda la casa ad esempio si può "scambiare" - senza reddito - con il servizio sociale o civile. E lo stesso per le pensioni, anche se in questo caso, magari, senza obbligatorietà. Insomma, l'idea di welfare per me è sacrosanta ma può cessare di essere a fondo perduto e diventare un investimento, che o ricrea ricchezza o riduce le spese e comunque ingenera un circolo virtuoso. Scusa se mi sono buttato sull'estrema concretezza, ma penso che la prima condizione per ricominciare a fare qualcosa sia smetterla di parlare per titoli e di pensare al come e non solo al cosa. come abbiamo scritto tante volte.
Mi fa piacere comunque quello che mi hai scritto: grazie :)
A presto,
Matteo
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