sabato 26 marzo 2011

"Amici miei - Come tutto ebbe inizio" di Neri Parenti


Amici miei - Come tutto ebbe inizio

REGIA: Neri Parenti




ATTORI:

Christian De Sica

Michele Placido

Giorgio Panariello

Paolo Hendel

Massimo Ghini.

Massimo Ceccherini

Alessandro Benvenuti

Pamela Villoresi

GENERE: Commedia

DURATA: 108 min.

Pare proprio un film di Pieraccioni invece che di Neri Parenti. Ci sono infatti un po’ tutti i fiorentini: Paolo Hendel, Panariello, Alessandro Benvenuti e soprattutto il Ceccherini (magari manca il Monni).

Poi ci sono i cinepanettonisti De Sica e Massimo Ghini, con la partecipazione straordinaria di Michele Placido che si conferma da bosco e da riviera: da “Il grande sogno” e “Vallanzasca” dove fa il regista serio ed arrabbiato ad “Oggi sposi” e “Manuale d’amore 3” dove fa lo svampito e lo svagato e soprattutto il sarcastico.

Tutti parlano fiorentino, anche De Sica e Massimo Ghini, in una Firenze di cartone che però non è per nulla la vera Firenze anzi pare piuttosto (è!) San Gimignano.

Un film lento e macchinoso, costruito appunto. Che ripete la solita ben nota storia degli amici, immortalata da Monicelli, che per liberarsi dalla noia di vivere che ottunde ed uccide fanno beffe terribili nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, questa volta. Insomma un remake autentico un po’, come si diceva una volta, cappa e spada per via di un viaggio a ritroso nel tempo.

Non è certamente un film innovativo, anzi la fattura è proprio quella degli anni Novanta.

Qualche sorriso, più che risata, il film lo strappa, in fondo Neri Parenti è uno specialista dei cinepanettoni , ma è un film che manca assolutamente di originalità e veridicità.

L’unico autentico e vero nel film è Massimo Ceccherini, che brilla in una pellicola che è proprio fatta esattamente su misura per lui: un film alla Pieraccioni ma diretto da Neri Parenti.

Un film povero di contenuti e con un finale abbastanza pietoso.

Due stelle.

Internet mi ha reso ateo?


Internet mi ha reso ateo?

Da quando frequento le vie di internet la mia fede è diminuita. Anzi è quasi scomparsa. Il problema di Dio per me è sempre stato radicale ed irrisolto. Adesso è irrisolto nella maniera più radicale. Di solito i problemi rimangono irrisolti perché non si trovano risposte alle domande. Nel mio caso è cessata la domanda. Dunque la radicalità della domanda è cessata nel disinteresse davanti alla radicalità della domanda.
L’esclusione, la riduzione della portata della domanda, è diminuita costantemente rispetto alla crescente quantità di informazione e virtualità umana proveniente dalla rete.
La domanda è cessata dunque per una portata straordinaria di risposte?
Credo di sì. Le risposte e le possibilità di soluzioni con l’avvento del Web2.O hanno un’estensione superiore alla domanda.
La rete ha soprattutto la (apparente e momentanea) capacità di una immortalità virtuale che invera l’individuo a sentirsi parte di una specie immortale.
Forse è nella consapevolezza che finché sei in rete esisti che ti fa cessare la domanda sull’immortalità. Ma forse la virtualità di internet ha trovato la sua forza nel potere anodino di occultare il dolore. Dio lo concepisci nel dolore. Ma nella rete non c’è dolore. Nella rete c’è comunque e sempre edulcorazione: Kawaii come dicono i giapponesi.
La concezione di Dio rimane prerogativa del mondo reale. Ma vivendo nel mondo virtuale Dio viene escluso. La rete si è fatta Dio?
Certo, si è fatta Dio per l’Onnipotenza con cui investe chi la frequenta.
Heidegger diceva che il Dasein è gettato nel Mondo. Nelle rete è il Mondo (Web2.O) che si getta in me e mi riempie, e mi salva perché nel mondo reale vivo perso e spaesato fra il dolore, la malattia, la vecchiaia e la sofferenza che denunciano l’assenza di un Dio che non è in mundo iste. E’ un Dio lontano ed assente. Difficile da conquistare e da amare.
Nella rete il dio virtuale invece ti riempie nella sua immediatezza e nella sua facilità di riempimento. E’ lì è presente e con un click lo cogli nella sua attualità e disponibilità.
Grazie alla rete so ora che ho dovuto allontanare gli occhi dal mondo per dimenticare il dolore, e mentre ho dimenticato il dolore ho dimenticato Dio. Ho cercato nella rete il riempimento ma è comunque stato un riempimento che non mi ha riempito. Ho solo conquistato apparenza di riempimento. Un riempimento che lascia assenza, che è estraneamento, aversione, surrogazione dell’incapacità di vedere una prova dell’esistenza del cercato rispetto al domandato.
Per questo ogni giorno che passa sono sempre più lontano dal mondo e dal Dio dei cristiani.
Ma forse quel Dio non è anche fondato sulla menzogna che il filosofo Porfirio molti secoli fa aveva denunciato, e il cui libro “Contro i cristiani” fu da loro così opportunamente distrutto?

venerdì 25 marzo 2011

Sotto il vestito niente - L'ultima sfilata di Carlo Vanzina


Sotto il vestito niente - L'ultima sfilata
GrassettoREGIA: Carlo Vanzina

ATTORI:
Francesco Montanari
Vanessa
Hessler
Richard E. Grant
Giselda Volodi
Virginie Marsan


GENERE: Thriller
DURATA: 96 min.


Grandi fighe fin dall’inizio sul catwalk per questo thriller dagli schemi semplici ma collaudati.
La sfilata con il successo finale serve per introdurci alla corte di Federico Marinoni, uno stilista italiano di fama mondiale (ma perché lo interpreta un attore straniero e per giunta doppiato? Vado a vedere un film italiano e mi tocca vedere attori doppiati. E’ il massimo!).
Alla sua corte vivono solo modelle bellissime, fatte di alcol uomini e droga, e quelle bionde sono le sue preferite. Il suo fidanzato, Bruce, è altrettanto bello e perfetto. La sorella una mezza psicopatica. La mamma un’entusiasta del suo bambino che fin da piccolo guardando la TV disegnava gli abiti delle dive. E poi c’è Heidi, l’assistente (?), che ha visto la sua bellezza sfiorire davanti allo specchio (l’unico vero amico sincero nel mondo della moda) ed è l’unica umana perché pervasa da un senso di tristezza che la rende pietosa verso il mondo.
La modella preferita da Federico, Alexandra, muore. Incidente stradale o omicidio? L’ispettore Malerba, un terrone trapiantato a Milano che conduce le indagini, pensa da subito ad un omicidio. E di qui parte il thriller di Carlo Vanzina.
Un thriller cotonato da immagini tipo Vogue, girato a Milano, Stoccolma, Roma e la bellissima Bassano del Grappa (buona l’idea di fare una puntata a Bassano del Grappa, città davvero suggestiva).
Ci sono proprio tutti gli elementi del mondo della moda: bellezza fisica, coca (tanta), sesso, invidia e gelosia, omosessualità, giornalisti scandalistici pervertiti, spionaggio industriale e naturalmente omicidi!
Il film comunque fila via bene. L’ispettore Malerba con la sua semplicità da Montalbano piace ed anche la sua spalla, Mancuso, piace. Sono in gioco schemi banali, come abbiamo detto, ma son giocati bene. Cose semplici ma di buona fattura. E questo è il pregio del film.
Il difetto è che s’indovina presto chi possa essere l’assassino. Persino un andicappato come me, in questo genere di cose, c’è riuscito poco dopo la metà del film.
Finale un po’ da Mulino Bianco.

Tre stelle.

lunedì 21 marzo 2011

DA DESTRA A SINISTRA E' L'ORA DELLE CASSANDRE ITALIOTE!


DA DESTRA A SINISTRA E' L'ORA DELLE CASSANDRE ITALIOTE!

E' l'ora delle cassandre. Da destra a sinistra. Basta aprire un giornale e subito ci si riempie gli occhi delle visioni funeste delle Cassandre varie che le introducono soprattutto con un"si poteva"..."si doveva"..."si sarebbe dovuto"..."nessuno sa che succederà"..."il pericolo è"...."non si capisce perché"...
L'ottimismo evidentemente non fa parte dei geni di questo paese. In Italia si preferisce sempre il negativismo all'ottimismo. Il piangersi addosso al cercare soluzioni.
E' chiaro che ogni azione comporta effetti secondari. Ogni azione produce risultati inattesi. Solo i buddisti potevano suddividere azioni buone che portano effetti buoni e azioni cattive che portano effetti cattivi. Ma il mondo vero, quello delle relazioni e degli interessi economici, è complesso e perciò la verità è relativa ed ogni azione relativizza la verità in virtù degli interessi.
E' altrettanto chiaro che un intervento militare comporta rischi e problemi. Ma che si doveva fare? Lasciare morire chi chiedeva libertà e giustizia per mano di chi vuole negare la libertà e la giustizia? E d'altronde si è intervenuti militarmente laddove le rivolte son state pacifiche e il popolo ha avuto ragione?
E' indubitabilmente chiaro (anche senza l'ausilio delle saccenti Cassandre l'avremmo capito da soli!) che eventuali elezioni in questi paesi rischiano di essere strumentalizzate dai teocrati integralisti, ma è altrettanto vero che al di là dei teocrati dell'integralismo c'è una spaccatura avvenuta, che ha stabilito una riduzione della teocrazia nelle coscienze ora rese più laiche dalla penetrazione del softpower (i.e. social media, cinema, musica e soprattutto bloggging) in queste coscienze. Si è operata una riduzione teocratica e su questa riduzione bisogna cercare di instaurare la dialettica con la base di queste rivolte e non con i vertici, che da sempre cercano di soffocare l'innovatività dei giovani: il popolo giovane è portatore dei semi della dialettica in virtù della loro disposizione ed accessione al Web2.0.

Basta dunque con le Cassandre. Facciamo dell' Italia un paese di democratici convinti e progressisti e non di retrograde Cassandre sofistiche abituate solo a spaccare il capello in quattro e a tenere in stallo questo paese da anni ed anni.

venerdì 18 marzo 2011

NESSUNO MI PUO' GIUDICARE di Massimiliano Bruno



Nessuno mi può giudicare
REGIA:Massimiliano Bruno

ATTORI:
Paola Cortellesi
Raoul Bova
Rocco Papaleo
Anna Foglietta
Giovanni Bruno

GENERE:Commedia
DURATA: 95 min


Il film è tattico: parla da scemo per arrivare al punto finale, che non è poi tanto scemo. Il punto finale è appunto una ventata fresca di ottimismo verso la vita. Che è una gran bella cosa.
La prima parte è la più scema ed anche la più leggera. La seconda parte invece si “eleva” e sale di tono.
Sia nella prima parte che nella seconda si racconta la storia della ricca Alice (ricca nel senso che la sua ricchezza si fonda sul nulla, ovvero sui debiti dell’azienda del marito, di cui è amministratrice unica).
Alice è ricca, vive in una bella villa ed è pure razzista, come lo siamo un po’ tutti al giorno d’oggi (un razzismo più fondato sulle parole che sui fatti: questa è la tesi del film, infine).
Un giorno il marito muore in un incidente stradale ed il mondo le crolla addosso. I debiti la sommergono. E’ costretta a vendere tutto (anche la lussuosa villa) e ad andare a vivere nel quartiere dove abita Aziz un suo servitore.
Qui la sua vita cambierà in tutto. Intanto si metterà a fare la escort. Poi coinvolta dalla visione che proletario o coatto è bello diventerà migliore. Ed infine si innamorerà del bel Giulio, tanto cocciuto quanto buono.

Alla fine il film si presenta per quello che è: un film un po’ idiota, fatto talora a fumettone e talora calcando gli schemi delle commedie americane; e ci parla di un’Italia pazza, illogica, ladra, irresponsabile, malata di Tv e di escort, e di soldi soprattutto.
Il film nelle intenzioni magari è anche buono, nei risultati un po’ meno. Per fare un buon film di lavoro Massimiliano Bruno ce ne ha ancora davanti, anche se ha già ben delineato un suo stile preciso.

Davvero brava, bravissima, Paola Cortellesi. Meglio che a Zelig.

Voto: due stelle e mezzo

Il passato non passa solo per gli integralisti ma i popoli giovani hanno il diritto di dimenticare!


Il passato non passa solo per gli integralisti ma i popoli giovani hanno il diritto di dimenticare!

(dedicato a coloro che combattono in nome della giustizia e della dignità umana)

Serviva un intervento in Libya. Gli unici paesi coraggiosi dell’Europa, Francia e Inghilterra, hanno visto premiati i loro punti di vista. L’Italia dopo una posizione ambigua inizialmente si è schierata dalla parte della tendenza “forte”. Come sempre egoistica e in vista unicamente del proprio interesse la posizione della Germania. Uno dei paesi culturalmente e politicamente più egotistici ed arroganti del’Europa. Qualche volta a leggere i loro giornali fa male vedere il disprezzo e l’inferiorità con cui scrivono dei loro partner europei (ricordo ancora bene gli articoli della Bild durante la crisi in Grecia – da vergognarsi!).

O si stava con Gheddafi o ci si schierava dalla parte dei “ribelli”. Dal momento che ci si è schierati dalla parte dei “ribelli” era necessario dar loro un appoggio militare. Immagino la gioia ed il sollievo di coloro asserragliati in Bengasi quando hanno appreso la notizia della no-fly-zone.

Ci si sta finalmente muovendo verso l’appoggio militare verso i “ribelli”. Pare che dall’Egitto siano cominciati i primi rifornimenti di armi ai ribelli. L' Inghilterra e la Francia si preparano alla missione no-fly-zone. L’Italia sembra mettere a disposizione le basi. Gli Stati uniti sembrano più interventisti. La lega araba è favorevole…

Dunque il momento è maturo. E’ il momento dell’aiuto e del dialogo. Solo così si può sconfiggere l’integralismo e diffondere la dialettica, che è la matrice della cultura democratica, per rompere la visione teocratica ed olistica del peggiore integralismo.

L’integralismo però non è solo di una certa cultura islamica ma anche di certi paesi (occidentali) che apparentemente democratici non ammettono la critica, impediscono la critica, non volendo, in virtù dei loro interessi, che il passato passi (die Vergangenheit, die vergeht) e bollano e escludono chiunque attenti al loro integralismo intoccabile.

Basta con gli integralismi da qualunque parte essi vengano.

martedì 15 marzo 2011

IL GUSTO GLOCAL del XXI secolo come elemento trainante


IL GUSTO GLOCAL del XXI secolo come elemento trainante

Questo nostro articolo parte da un intervista comparsa oggi sullo “International Herald Tribune” ai critici cinematografici americani A.O. Scott e Manohla Dargis (Hollywood’s up-again, Down-again moments: The critics' view[1]) . Nell’articolo c’è una frase di Manhola Dargis che mi ha colpito: Now the most popular movies are often the junkiest. Questa frase è certamente vera, se non che a mio parere la qualità dei junkiest movies si è alzata o quanto meno il pubblico ha alzato il livello del suo gusto. Io non credo che Iron men 2 il più junkiest in assoluto dei film che ho visto abbia avuto molti apprezza tori ed apprezzamenti; o la Bellezza del somaro di Castellitto in Italia (uno dei film più irritanti e noiosi dell’anno 2010 con pretese culturali – il che è peggio).

Questo innalzamento di gusto ha proceduto di pari passo con il ritorno del pubblico nei cinema (di centro anche – dove magari il pubblico è più anziano rispetto ai multiplex, ma d’altronde la nostra è una nazione anziana).

Abbiamo visto buoni film: 20 sigarette di Amadei, Cosa voglio di più di Soldini, La Passione di Mazzacurati, Mine vaganti di Ozpetek, Una vita tranquilla di Cupellini, La nostra vita di Luchetti, Figli delle stelle di Pellegrini, Manuale d’Amore 3 di Veronesi, Il Gioiellino di Molaioli, La vita facile sempre di Pellegrini.

Anche sul lato Hollywood c’è stata una ripresa della qualità (A.O.Scott cita Black Swan, The Social Network, True Grit, The Fighter e The King’s Speech), che fa ben sperare per l’abbandono della ossessiva moda dei remake

Ovviamente questo innalzamento di gusto è stato affinato dalla sempre più forte figura dello spettatore/fruitore (di prodotti) in quanto pro-sumer [pro(ducer & con)sumer]. Una figura altamente individuale (tipica del Web 2.0) che fa le scelte in proprio e determina le direzioni del gusto e della produzione.

Anche chi fa indagini di market per produrre film mainstream non può che scontrarsi con tale expertise altamente qualitativa (rispetto al passato) dello spettatore – consumatore&trend setter allo stesso tempo.

D’altronde, mutatis mutandis, è lo stesso livello qualitativo di vita che trasmesso dal softpower (mainstream) dei social media, cinema e musica occidentale ha penetrato paesi islamici (apparentemente) integralisti e ha spinto le classi più fertilizzate dai semi del softpower occidentale a chiedere un livello migliore di vita, democrazia e giustizia che è sotto gli occhi di tutti in questi giorni, indipendentemente da quali saranno poi le conseguenze delle rivolte in atto.

E’ dunque in atto una tendenza generale di un gusto sempre più qualitativamente alto e sempre più glocal.

lunedì 14 marzo 2011

IL CIGNO NERO (BLACK SWAN) di Darren Aronofsky





Il cigno nero





REGIA: Darren Aronofsky

ATTORI:
Natalie Portman
Vincent Cassel
Mila Kunis
Barbara Hershey
Winona Ryder.

TITOLO ORIGINALE: Black Swan.
GENERE: Thriller

DURATA: 110 min.


Nina (Natalie Portman) ambisce al difficile ruolo di Black Swan, di una ragazza che per un incantesimo e amore si trasforma in un cigno.
Il suo problema è di essere una frigida, una perfettina, nella vita e sullo stage, che le impedisce di lasciarsi andare al ruolo come invece la parte della prima ballerina richiederebbe.
Vive, poi, con la mamma, una ex-ballerina di seconda fila, frustrata che le regola la vita e la considera ancora la sua bambina di dodici anni. La madre le genera sudditanza e paura. Una madre il cui amore ossessivo ed anomalo si trasforma in incubo.
Nina è oggetto di una psiche (labile?) che le rivela realtà di mondi paralleli al nostro, che si manifestano in questo con segni appena percettibili ma tuttavia evidenti, lungo una commedia noir che calca lo schema della “bella e della bestia”. Ci sono molte “bestie” in questo film: il coreografo Thomas; la madre e l’amica/rivale Lily. Ma soprattutto Nina, la bella in cui alberga la bestia del suo dark side, che urla per uscire fuori.
I sogni non muoiono all’alba. Lasciano il segno della bestia che vagisce in un punto del corpo di Nina, sempre più teatro di questo scontro. Un corpo al limite dell’anoressia e tuttavia pieno di muscoli tesi e di pelle, vene e unghie che si macerano e si spezzano per la danza ed il dramma interiore, fatto di sangue e di dolore, in attesa di aprire quella porta che non si dovrebbe mai aprire.

E’ un film moderno, che parla dei tanti mondi invisibili con cui viviamo a contatto senza esserne generalmente toccati, fino al momento in cui uno di questi si schianta dentro di noi e libera il suo pus sommergendo il nostro Io debole portandoci a rasentare la follia.

Qualche dubbio sulle capacità interpretative delle Portman come ballerina, invero poco credibile in quel ruolo, ma grande nelle scene fuori dal palcoscenico.

Confondente, caotico fino all’irritazione buona parte del finale. Troppo insistito nel passaggio continuo dal mondo onirico (o della follia) a quello reale, che mette a rischo tutto il buono fin lì prodotto.

Comunque un buon film anche se contradditorio. Un film di un genere unico e altamente coraggioso.

Tre stelle e mezzo.

sabato 12 marzo 2011

LE STELLE INQUIETE di Emanuela Piovano





Le stelle inquiete

REGIA. Emanuela Piovano

Attori:
Lara Guirao
Fabrizio Rizzolo
Isabella Tabarini
Marc Perrone
Renato Liprandi
Drammatico
DURATA: 87 min

“Le stelle inquiete” è esattamente il tipo di cinema che detesto. Che assolutamente evito di vedere e che regolarmente ci casco e finisco per vedere. Il titolo (bello) mi ha tratto in inganno.
Mi riferisco al cinema che ama lo stile dello sceneggiato televisivo e ancora una volta si nutre di stile e solo di stile della peggiore retorica neorealista.
Dialoghi da libri stampati ma di una ingenuità disarmante in questo film. Recitati con una accademicità altrettanto disarmante. E poco importa che si parli nientepopodimeno che di Simone Weil, che si rifugia in Piemonte presso una famiglia benestante (lei ebrea e comunista) per sfuggire alla persecuzione nazista, perché qui la Weil pare una scema che parla da scema. E poi c’è sempre in sottofondo la lagna di una noiosissima fisarmonica che vuole acuire il clima paesano e ruspante della idillica vita contadina.
Si ritorna sempre al solito punto: ovvero credere che l’arte per essere arte deve essere pretenziosamente noiosa. Concettuale in primo luogo e poco disposta al lato narrativo. Per molti concettuale fa rima con militante. Più concettuale è l’arte e più militante si atteggia per assumere la patina da intellettuale esistenzialista impegnato.
Questa è l’idea più deleteria dell’intellettuale esistenzialista che possa esserci.
Film come questi sono invece uno schiaffo all’evoluzione moderna del cinema. Un film simile poteva essere un buon sceneggiato negli anni Sessanta, ma oggi che senso ha riproporsi sotto tali mentite spoglie?
Alla fine la sensazione è che il film sia come una commedia messa su da studenti universitari che cercano di trasmettere l’idealismo appreso da polverosi libri accademici in una forma altrettanto accademica e vecchia.

Voto: 1 stella

martedì 8 marzo 2011

L' 8 marzo ovvero il giorno della retorica


L' 8 marzo il giorno della retorica


L' 8 marzo è un altro giorno di retorica, come ogni volta che si celebra qualcosa di cui è venuto meno il valore sentito. Ogni passione, ogni dolore, ogni sentimento nel momento che viene concettualizzato perde il suo status per divenire rappresentazione di qualcosa.

Forse il miglior modo per celebrarlo è dire che attorno al femminile esiste molto ossequio e servilismo da parte del mondo maschile, che tende sempre più ad essere prono davanti alla retorica civile e sociale sulla donna.
Io non credo che nel mondo occidentale la donna sia poi così svantaggiata come si voglia far credere. Credo anzi che goda doppiamente dei vantaggi sociali acquisiti e dei retaggi (medievali) conservati.
Credo anche che il feminino abbia ben influenzato quello maschile, fino a condizionarne cambiamenti dall'aspetto fisico a quello del vestire e del comportamento: l'uomo oggi è sicuramente più femminile nel modo di vestirsi e comportarsi. credo anche che per ipercorrezione il mondo femminile abbia assunto atteggiamenti maschili che prima non gli competevano: aggressività e voglia di carriera fino al punto di disconoscere la disposizione naturale alla maternità.
Ha perfino invaso ruoli che non competevano alla donna per tradizione storica (la donna soldato, poliziotto, carabiniere...) generando maggiore confusione sia personale che sociale nello scontro dei ruoli dal momento che una donna sa sempre quello che non vuole ma non quello che vuole mentre l'uomo sa sempre quello che vuole ma mai quello che non vuole...

Conclusione: l'8 marzo sia giorno culmine eventualmente per lo scontro dei ruoli e non per la pacificazione dei ruoli. Lo scontro (pòlemos) è la base della dialettica. La celebrazione la base della retorica.

domenica 6 marzo 2011

IL GIOIELLINO di Andrea Molaioli


Il gioiellino

REGIA: Andrea Molaioli






ATTORI:

Toni Servillo

Remo Girone

Sarah Felberbaum

Lino Guanciale

Fausto Maria Sciarappa.

GENERE:Drammatico

DURATA: 110 min

Riassumere la storia del film non è facile.

In poche parole è il ripercorrere negli anni le malefatte finanziarie di un’azienda, la “Leda” nel film, la “Parmalat” nella realtà, fino alla caduta del suo impero fondato sul nulla, ovvero sul falso in bilancio. Un falso evidente che però fu più conveniente da parte di molti non controllare fino al momento in cui fu impossibile non farlo.

Fare un film sulle storie dei crack finanziari non è facile e finora ci riuscivano bene solo gli americani. Questa volta devo dire che ci sono riusciti anche gli italiani. E questo grazie a Molaioli, che è uno che sa fare film. E qui lo dimostra.

Ma in tutta onestà confesso che se non avessi saputo che il regista è italiano avrei pensato che il film fosse americano. Anche i dialoghi sono così nitidi che paiono doppiati.

Indizio dell’italianità del film sono l’ambientazione delle città e la resa in modo molto italico dei personaggi dove si scava a dovere, ma non troppo in profondità. E questo è un bene, perché altrimenti avrebbe di certo appesantito una storia che ha continuamente necessità di scorrere veloce e leggera per non far calare l’attenzione. Il rischio di impantanarsi in dialoghi o analisi troppo ideologiche e politiche ci sarebbe stato. Molaioli però lo evita bene.

Nella storia risalta l’evidente ottusità dei dirigenti incapaci di sganciarsi da schemi mentali che si sono costruiti negli anni e che ripetono all’infinito e la scarsa volontà di ascoltare i giovani e dar loro spazio in azienda.

Fa impressione la cattiveria che Toni Servillo getta nel personaggio del ragionier Botta. Una cattiveria a tratti frenata, perché si ha la sensazione che Servillo ve ne avrebbe potuta metter ancor di più.

Si creano adeguate scene di sesso e ed una vena di perversione masochista della giovane Laura Aliprandi (Sarah Felberbaum) sottomessasi al ragionier Botta, che sviluppano un’interessante storia secondaria all’interno del film che bene si inserisce nella necessità di alleggerire un plot che rischiava ad ogni momento di diventar pesante.

E’ un bel film non c’è che dire, se ovviamente si apprezza il filone del cinema impegnato.

E’ un cinema d’impegno che assume in sottofondo i toni del noir e del thriller: tinte scure, toni cupi, rumori smorzati ed ovattati che condiscono bene una storia vera per farla cinematografica.

Un film da vedere, perché dopo anni si può ritornare finalmente in sala a parlare dei mali di questa società con toni veri senza perdere di vista l’obiettivo numero uno del cinema: l’entertainment.

Peccato per il titolo: Il gioiellino, così debole che proprio non incuriosisce neanche un po’ ad andare a vedere questo film.

Tre stelle.

sabato 5 marzo 2011

LA VITA FACILE di Lucio Pellegrini


La vita facile

REGIA: Lucio Pellegrini




ATTORI:

Pierfrancesco Favino

Stefano Accorsi

Vittoria Puccini

Camilla Filippi

Angelo Orlando

.

GENERE: Commedia

DURATA: 102 min

Mario, Ginevra e Luca. Un trio di stronzi per un’Italia di papponi. Questo è il succo del film.

Mario è un medico chirurgo. Il film ci fa presumere che sia un medico di successo, con una bella casa e una bella moglie molto gnocca ma solo gnocca. Ed è una gnocca della peggio specie: quella traditrice. Il suo cervello ha in mente due cose sole: fare jogging e la vita facile.

Mario è medico di successo ma pure pirla, perché per far fare la vita facile a Ginevra s’infila in un casino (che rimane fumoso per tutto il film, fino alla fine, quando si comincia ad averne un minimo di sentore): avvalla il valore medico di alcune valvole (cardiache?) ad una ditta che le produce, facendo soldi a palate.

Scoperto, viene inviato e invitato da Sergio, il suocero (primario della clinica?), a sparire per un po’ andando in Africa a lavorare nell’ospedale dove lavora Luca, il figlio di Sergio che, medico idealista, ha abbandonato l’Italia schifato.

Mario ci va, sperando di poter rientrare presto e sperando anche nell’aiuto di Sergio a sistemare le cose all’italiana, parlando all’amico dell’amico. In realtà Sergio lo molla e per sempre.

Ginevra nel frattempo scopre tutto e va in Africa a trovare Mario e Luca (il film poi ci svela che fra Ginevra e Luca vi era stata una tresca nel periodo che Mario era stato immobilizzato in ospedale a causa di un incidente automobilistico per colpa di Luca).

In Africa Ginevra rivela la pochezza del suo esser-gnocca: anche lì pensa solo a far jogging nella savana, a rompere i coglioni a Mario e a rinfocolare la tresca con Luca. Così Luca piano piano sotto l’effetto della donna diavolo comincia a rivelare il lato peggiore che covava sotto l’apparente faccia d’angelo, mentre Mario, il cattivo, rivela i lati migliori di se stesso ma rimane sempre e comunque un pirla perché alla fine si fa infinocchiare da Ginevra e soprattutto da Luca che fregherà tutti.

L’Italia che dipinge Pellegrini in questo film non è più l’Italia scanzonata e da Brancaleone di “Figli delle stelle”, che si reggeva sul lato comico. Qui il film è irritante e dipinge un paese di figli di Verdone (mi riferisco ai tipici personaggi interpretati da Verdone, ovviamente, non alla persona): fedifraghi, bugiardi, maleducati, vaiassi, mammoni e cagasotto accomunati dalla vaga di idealità del “volemose bene” (che è ormai un retaggio del cinema italiano di stampo romanesco e neorealista).

Se questa è dunque l’Italia di oggi (e ci sono buone probabilità che lo sia, perché Pellegrini ne è uno spietato critico) c’è poco da ridere. E difatti nel film non si ride ma caso mai ci si snerva.

Voto: due stelle e mezzo.

IL DISCORSO DEL RE DI Tom Hooper


Il discorso del re

REGIA:Tom Hooper



ATTORI:

Colin Firth

Geoffrey Rush

Helena Bonham Carter

Guy Pearce

Jennifer Ehle.

«continua

Derek Jacobi, Michael Gambon, Timothy Spall, Anthony Andrews, Filippo Delaunay, Dominic Applewhite, Jasmine Virtue, Max Callum, Tim Downie, James Currie, Harry Sims, Anna Reeve Cook, Mark Barrows, Sean Talo, Dick Ward, Mary Robinson, Naomi Westerman, Freya Wilson, Eve Best

TITOLO ORIGINALE: The King's Speech

GENERE: storico

DURATA: 111 min

Un impedimento fisico (la balbuzie) condiziona la vita di un uomo, che un giorno sarà re, in uno dei momenti storici più orribili dell’Europa. L’avvinarsi alla Seconda Guerra Mondiale sotto la presa di potere del nazismo e della sua dottrina imperiale mascherata dalla politica del Lebensraum: lo spazio vitale.

La balbuzie porta questo uomo alla disistima di sé e alla paura di diventare re per via della sua incapacità di parlare in pubblico, davanti ai microfoni della BBC, in un’era in cui la radio è lo strumento di comunicazione per eccellenza.

Quest’uomo è George VI, il padre della attuale Regina d’Inghilterra, che soffre di balbuzie fin dall’età di 5 anni. La malattia gli ha portato come conseguenza oltre alla mancanza di stima anche la mancanza d’ affetto del padre, re George V, e del fratello, David, destinato alla successione al trono ma a cui poi per amore di una donna rinuncerà abdicando.

Si dice che dietro un grande uomo ci sia sempre una grande donna e, nonostante i miei personali dubbi, il film pare confermare il detto. In effetti è solo per la pervicace (e diplomatica) insistenza della moglie che “Bertie”, il principe Albert (il nomignolo con cui viene familiarmente chiamato George VI prima di diventare re), viene in contatto con un logopedista poco ortodosso di origine australiana: Logue.

Dopo incomprensioni iniziali e prevaricazione delle proprie posizioni sociali da ambo i lati (ma soprattutto da parte di Logue) i due, il principe ed il logopedista, divengono amici. Il processo di amicizia si sviluppa di pari passo all’ascesa al trono di Albert e ad una presa di distanza (più adeguata) dei rispettivi ruoli sociali. Nella restituzione dei personaggi alla propria condizione sociale, dapprima scavalcata dal disregard di Logue, anticonformista e logopeda nemmeno laureato ma efficace nei suoi metodi di rieducazione sebbene inconvenzionali, di pari passo si sviluppa una forma di amicizia discreta, ma sincera e profonda, fondata sul riconoscimento della propria condizione di nascita e del proprio ruolo sociale. Nella presa di distanza si crea la vicinanza.

Questa è senz’altro la parte migliore del film, quella più avvincente ed emotivamente più sentita di un film bello dall’inizio alla fine, che scorre bene come se fosse un thriller.

Solo vedendo il film ci si rende conto perché abbia fatto incetta di oscar.

Ho visto anche “The Social Network”, altro film candidato a molti oscar ma strabattutto da “Il discorso del re”. “The Social Network”, è un bellissimo film. E’ più moderno per concezione, modo di girare, musiche ed innovazioni, ma rispetto al film di Tom Hooper è un gradino più sotto. E azzardo che probabilmente “Il discorso del re” è un film destinato a risentire meno del passaggio del tempo. Forse tra dieci anni sembrerà più invecchiato “The Social Network” che “Il discorso del re”. “The Social Network” è sicuramente un film maggiormente alla moda nello stile e nel concept rispetto al film interpretato da Colin Firth.

Grandissimo immenso Colin Firth. Ma a mio avviso un oscar se lo sarebbe meritato ugualmente Geoffrey Rush che interpreta il logopedista.

Ho aspettato molto per vedere il film in originale ma ne è valsa la pena. I film doppiati perdono anche il 50 %. E’ un peccato che in Italia a causa di associazioni corporative (quella dei doppiatori) non si riesca a far passare la possibilità di vedere i film in lingua originale (con i sottotitoli ovviamente perché non si possono conoscere tutte le lingue del mondo).

Questo sarebbe senz’altro un altro impedimento corporativo da abbattere per modernizzare questo paese fermo da almeno 20 anni.

Cinque stelle.

martedì 1 marzo 2011

IL TRUFFACUORI di Pascal Chaumel


Il truffacuori
REGIA: Pascal Chaumeil

ATTORI:
Romain Duris
Vanessa Paradis
Julie Ferrier
François Damiens
Helena Noguerra

TIROLO ORIGINALE. L'arnacoeur
GENERE. Commedia
DURATA. 105 min.

La Storia: un diabolico francese, Alex (Romain Duris), che su commissione fa scoppiare le coppie in cui le donne rischiano di essere infelici rubando loro i cuori. Con lui lavorano la sorella ed il cognato. Un’organizzazione perfetta..
Hanno anche un codice deontologico, che si può riassumere nel pregnante motto: "noi apriamo i loro cuori non le loro gambe".
Dopo una serie di missioni concluse positivamente, ne arriva una praticamente impossibile: far scoppiare una coppia in dieci giorni, prima che si sposi. I due si amano follemente e per di più lui è ricchissimo e bello.
L’organizzazione si mette subito all’opera cercando di individuare un punto debole nel fidanzato. Ma tutto è perfetto ed Alex decide di mollare. E’ una missione impossibile!
Però subito è costretto a rivedere la sua decisione, perché uno strozzino a cui deve un sacco di soldi lo minaccia: o gli restituisce i soldi o lo ammazza.
Con la forza della disperazione Alex ricomincia. E’ vero che la missione è impossibile, è vero che la ragazza, Juliette (Vanessa Paradis) è tosta…ma Alex è un genio. Alex è furbo. Alex è il politropo Odisseo dei cuori!
E così affonda i suoi colpi in uno scenario da favola: Montecarlo. La città, il mare, la costa, hotel lussuosi…in fondo questo film che per molti versi è un patchwork probabilmente con tanto di "Caccia al ladro" (To Catch a Thief) di Alfred Hitchcock del 1955 come fonte di ispirazione rassomiglia molto anche "The Tourist" di Florian Henckel von Donnersmarck.
Non siamo a Venezia ma siamo a Montecarlo. E’ costruito con la tecnica del thriller e difatti si ride seguendo la suspence. C’è la coppia. C’è il cattivo di turno, e c’è una missione da portare a termine. Ma rispetto al "The Tourist " qui c’è un Romain Duris in più, con più verve dello sciapito Johnny Depp, più ritmo e più tecnologia (comica, in questo caso).
E poi c’è che dopo aver visto Romain Duris in "Paris" di Cédric Klapisch (2008) condannato dalla malattia sofferente e taciturno ritrovarlo ne "Il Truffacuori" diabolico e pimpante, satirico e pure comico è una sorpresa in positivo sulle capacità di questo attore, che gioca un ruolo non indifferente per un film di classe pieno di umorismo e di trovate.
Un finale sui cui svetta un ballo Dirty Dancing da autentico tamarro francese (Alex), dopo il quale cade la fatidica pioggia. E la pioggia nei film significa sempre cambiamento.
Vittoria dunque sulla tosta ragazzina? Missione compiuta?
Beh il biglietto dovrete pagarvelo se volete saperlo…

Tre stelle mezzo.