Arthur Machen - Un’idea del Male
Mi sono spesso chiesto come il male irrompa nel mondo.
Una volta scrivendo un racconto ho pensato che potesse irrompere dalle viscere di un uomo, nella violenza immonda di un rutto. Che liberasse il fetido gusto del male dai maleodoranti recessi dell’intestino quali simbolo dei visceri della terra Ma forse era già sbagliato l’uso del verbo.
Usare irrompere presuppone l’idea di una forza di cui in realtà il male non ha alcun bisogno di avvalersi. Allora ho pensato che insinuarsi ne desse meglio l’idea. Ma non è così. O perlomeno non è esattamente così.
E’ stato leggendo uno scrittore gallese poco noto alla scena internazionale, Arthur Machen, che mi sono reso conto che i miei tentativi di trovare i verbi opportuni per designare l’azione del Male nel mondo stavano nel rapporto dell’accidente rispetto alla causa.
Arthur Machen nato a Caerleon-on-Usk, Wales, alla fine del XIX secolo (1863) e morto nella prima metà del XX (1947) fu uno scrittore di scarso successo. Come da copione visse una vita grama e piena di difficoltà economiche. Le sue opere più famose furono The Great God Pan, The secret Glory, The Terror (un racconto su una raccapricciante ribellione di animali, divenuti assassini, che sembra abbia ispirato Hitchcock per il suo film The Birds).
Il suo modo di scrivere, talora noioso e di difficile gusto per chi oggi è abituato a leggere di horror, tutto fondato sul dialogo e sulla descrizione e poco propenso all’azione, rivela una visione del male interamente medievale (da un punto di vista dell’impianto filosofico che vi sta alla base).
Il Male per lui è qualcosa di positivo, solo che sta dall’altra parte (“Evil, of course, is wholly positive--only it is on the wrong side” – The White People): è Sovrannaturale in senso lato, il cui rapporto con questo mondo (con le azioni malvagie di questo mondo) è quello delle idee (platoniche), della loro relazione con le cose. Il Sovrannaturale che si rivela in questo mondo in fondo non è che una copia sbiadita dell’idea: “”E Voi pensate che il grande peccatore, allora, sia un grande asceta, come lo è un grande santo?”, “I Grandi di qualsivoglia genere rinunciano alle copie imperfette e si rivolgono all’originale” ("And you think the great sinner, then, will be an ascetic, as well as the great saint?", "Great people of all kinds forsake the imperfect copies and go to the perfect originals” – The Withe People).
Il Sovrannaturale si manifesta, al pari di una teofania, nell’ 'idea di'. E’ in un certo senso coeterno all’idea. Si manifesta allorché l’idea si rivela in un atto intenzionale, come 'l’idea di' un tavolo si manifesta nella mente del suo artefice sotto forma di intenzione di creare un tavolo.
E tuttavia il Sovrannaturale che percepiamo, ci appare non nella sua stessa essenza ma tramite forme intermedie dotate di fisicità, corporeità: il Sovrannaturale interviene in questo mondo appunto in virtù di exemplares, cioè di immagini attraverso cui il Sovrannaturale manifesta se stesso.
Uno dei suoi racconti più brevi e più noti è The Bowmen (Gli arcieri). Il racconto non è di per sé nulla di esaltante
Machen partiva da un assunto che mutatis mutandis è di grande attualità tutt’oggi: “Ogni età e ogni popolo ha accarezzato l’idea che entità spirituali possano soccorrere eserciti terreni. Era scoppiata la Prima Guerra Mondiale e il The Evening Post gli chiese un racconto. Il giornale glielo pubblicò il 29 settembre 1914 all’indomani della ritirata di Mons. In questo racconto Machen immaginò in modo molto suggestivo che, nel mezzo della battaglia, San Giorgio alla testa degli antichi arcieri di Azincourt andasse a portare soccorso all’esercito britannico.
Ed è la storia post pubblicazione che ci dà la dimensione di come il Sovrannaturale gli sia sfuggito di mano proprio a lui che lo aveva esattamente pensato, prodotto e messo in circolazione, come del resto ammise lo stesso Machen allorché, a causa del successo che ebbe la pubblicazione del racconto, fu costretto a scriverne un’introduzione per un’edizione singola: “Questa storia de “Gli Arcieri” è stata una storia davvero strana dall’inizio alla fine”. A tale punto si innesta una reazione imprevista: il Sovrannaturale diviene incontenibile e sfugge di mano alle intenzioni stesse del suo autore.
E pochi giorni infatti dopo la pubblicazione, l’editor de The Occult Review scrisse a Machen per sapere se la storia avesse un qualche fondamento reale. Machen gli rispose che assolutamente no, non vi era fondamento di alcuna sorta.
Di lì a poco anche l’editor di Light gli inviò una sua nota ponendogli la stessa domanda, alla quale Machen rispose nello stesso modo. Un mese o due più tardi ricevette numerose richieste di gazzette parrocchiali di autorizzazione alla pubblicazione della storia.
A questo punto il Sovrannaturale evocato diviene, e vive di azione e forza indipendente dal suo creatore. La muffa argentea comincia a diffondersi, la macchia scura si allarga.
Dopo circa un altro mese uno degli editor di queste gazzette gli scrive per riferirgli che le copie della gazzetta con il suo racconto erano andate a ruba e vi era un’ ulteriore grande richiesta del suo racconto e gli chiedeva infine se era anche possibile scrivere una piccola introduzione citando le fonti reali da cui aveva preso spunto per il racconto, concedendogli infine il permesso per pubblicarlo sotto forma di pamphlet.
A quel punto Machen comincia a provare un certo spaesamento. Si rende conto che qualcosa gli sfugge, va oltre le sue intenzioni nonostante la consapevolezza di aver intenzionalmente creato quel racconto non basandosi su alcunché di reale.
Risponde che poteva con tutta la sua gratitudine pubblicare il racconto ma che di fonti non ne esistono e che quindi non può soddisfare la sua curiosità.
L’ editor di nuovo si rifà vivo insistendo che dev’esserci un errore, che almeno i fatti principali de “Gli Arcieri” devono essere veri, che il suo racconto dev’essere l’elaborazione di un fatto veramente accaduto.
Machen stesso ormai incapace di contenere quanto lui stesso ha evocato, riferisce che persino un ufficiale dell’esercito di Sua Maestà gli aveva recapitato una lettera dicendogli che sul campo di battaglia gli era apparso San Giorgio da lui stesso invocato, che lo aveva aiutato nel migliore dei modi.
Addirittura ci furono voci di un fatto realmente accaduto su di un campo di battaglia, dove alcuni corpi di soldati prussiani sarebbero stati ritrovati trapassati da frecce.
Lo smarrimento di Machen per quanto sta accadendo è al livello più alto. Non sa capacitarsi di come quello che per lui era stata una fantasia anche troppo ardita venisse ormai ampiamente accettata non solo in ambienti esoterici e occulti ma anche avesse una diffusione pubblica.
Ormai corrono le voci più disparate: su di un campo di battaglia, riferiscono alcuni testimoni oculari, una nube si era interposta fra l’offensiva tedesca e la ritirata degli inglesi. Secondo altri testimoni la nube aveva nascosto i soldati inglesi alla vista delle truppe germaniche che avanzavano, rendendoli invisibili. Secondo altri ancora delle figure di luce erano apparse sul campo di battaglia impaurendo i cavalli dell’esercito germanico che inseguiva i soldati inglesi.
Il flusso è inarrestabile, la macchia si allarga a dismisura.
Il suo racconto non aveva fatto altro che condensare, rapprendere, unificare, fare da trait d’union per altre migliaia di exemplares di un sovrannaturale che manifesta se stesso in mille modi, dalla superstizione alla visione, alla leggenda, fino alla testimonianza.
Lo stesso Machen non si sente più in grado di comprendere la chiliogonica manifestazione di un’idea che lui medesimo aveva teorizzato in The White People nel 1904.
Se il chiliogono posso pensarlo perfettamente (una figura geometrica che ha mille lati) così altrettanto non posso rappresentarlo perfettamente nella fantasia perché man mano che i lati si moltiplicano, l’immaginazione si dilata, e nella loro raffigurazione se ne perde la distinzione.
Ma quello che forse Machen pensa gli sia sfuggito di mano in realtà è proprio quello che in modo molto teoretico aveva affermato nel racconto The White People: il male è positivo al pari del bene, solo che sta dall’altra parte, cioè da quella parte opposta alla tua, che non lo controlli più perché è andato nella direzione opposta a quella che volevi, a tal punto fuori del tuo controllo che ti si ritorce contro. E’ la seconda caduta, per cui ripeti in questo mondo quella che fu la prima caduta originaria: “Il peccatore cerca di ottenere qualcosa che non fu mai suo. In breve, ripete la caduta” (“The sinner tries to obtain something which was never his. In brief, he repeats the Fall."- The Withe People)
THE BOWMEN
by Arthur Machen
IT WAS DURING the Retreat of the Eighty Thousand, and the authority of the Censorship is sufficient excuse for not being more explicit. But it was on the most awful day of that awful time, on the day when ruin and disaster came so near that their shadow fell over London far away; and, without any certain news, the hearts of men failed within them and grew faint; as if the agony of the army in the battlefield had entered into their souls.
On this dreadful day, then, when three hundred thousand men in arms with all their artillery swelled like a flood against the little English company, there was one point above all other points in our battle line that was for a time in awful danger, not merely of defeat, but of utter annihilation. With the permission of the Censorship and of the military expert, this corner may, perhaps, be described as a salient, and if this angle were crushed and broken, then the English force as a whole would be shattered, the Allied left would be turned, and Sedan would inevitably follow.
All the morning the German guns had thundered and shrieked against this corner, and against the thousand or so of men who held it. The men joked at the shells, and found funny names for them, and had bets about them, and greeted them with scraps of music-hall songs. But the shells came on and burst, and tore good Englishmen limb from limb, and tore brother from brother, and as the heat of the day increased so did the fury of that terrific cannonade. There was no help, it seemed. The English artillery was good, but there was not nearly enough of it; it was being steadily battered into scrap iron.
There comes a moment in a storm at sea when people say to one another, "It is at its worst; it can blow no harder," and then there is a blast ten times more fierce than any before it. So it was in these British trenches.
There were no stouter hearts in the whole world than the hearts of these men; but even they were appalled as this seven-times-heated hell of the German cannonade fell upon them and overwhelmed them and destroyed them. And at this very moment they saw from their trenches that a tremendous host was moving against their lines. Five hundred of the thousand remained, and as far as they could see the German infantry was pressing on against them, column upon column, a grey world of men, ten thousand of them, as it appeared afterwards.
There was no hope at all. They shook hands, some of them. One man improvised a new version of the battlesong, "Good-bye, good-bye to Tipperary," ending with "And we shan't get there". And they all went on firing steadily. The officers pointed out that such an opportunity for high-class, fancy shooting might never occur again; the Germans dropped line after line; the Tipperary humorist asked, "What price Sidney Street?" And the few machine guns did their best. But everybody knew it was of no use. The dead grey bodies lay in companies and battalions, as others came on and on and on, and they swarmed and stirred and advanced from beyond and beyond.
"World without end. Amen," said one of the British soldiers with some irrelevance as he took aim and fired. And then he remembered-he says he cannot think why or wherefore - a queer vegetarian restaurant in London where he had once or twice eaten eccentric dishes of cutlets made of lentils and nuts that pretended to be steak. On all the plates in this restaurant there was printed a figure of St. George in blue, with the motto, Adsit Anglis Sanctus Geogius - May St. George be a present help to the English. This soldier happened to know Latin and other useless things, and now, as he fired at his man in the grey advancing mass - 300 yards away - he uttered the pious vegetarian motto. He went on firing to the end, and at last Bill on his right had to clout him cheerfully over the head to make him stop, pointing out as he did so that the King's ammunition cost money and was not lightly to be wasted in drilling funny patterns into dead Germans.
For as the Latin scholar uttered his invocation he felt something between a shudder and an electric shock pass through his body. The roar of the battle died down in his ears to a gentle murmur; instead of it, he says, he heard a great voice and a shout louder than a thunder-peal crying, "Array, array, array!"
His heart grew hot as a burning coal, it grew cold as ice within him, as it seemed to him that a tumult of voices answered to his summons. He heard, or seemed to hear, thousands shouting: "St. George! St. George!"
"Ha! messire; ha! sweet Saint, grant us good deliverance!"
"St. George for merry England!"
"Harow! Harow! Monseigneur St. George, succour us."
"Ha! St. George! Ha! St. George! a long bow and a strong bow."
"Heaven's Knight, aid us!"
And as the soldier heard these voices he saw before him, beyond the trench, a long line of shapes, with a shining about them. They were like men who drew the bow, and with another shout their cloud of arrows flew singing and tingling through the air towards the German hosts.
The other men in the trench were firing all the while.They had no hope; but they aimed just as if they had been shooting at Bisley. Suddenly one of them lifted up his voice in the plainest English, "Gawd help us!" he bellowed to the man next to him, "but we're blooming marvels! Look at those grey ... gentlemen, look at them! D'ye see them? They're not going down in dozens, nor in 'undreds; it's thousands, it is. Look! look! there's a regiment gone while I'm talking to ye."
"Shut it!" the other soldier bellowed, taking aim, "what are ye gassing about!"
But he gulped with astonishment even as he spoke, for, indeed, the grey men were falling by the thousands. The English could hear the guttural scream of the German officers, the crackle of their revolvers as they shot the reluctant; and still line after line crashed to the earth.
All the while the Latin-bred soldier heard the cry: "Harow! Harow! Monseigneur, dear saint, quick to our aid! St. George help us!"
"High Chevalier, defend us!"
The singing arrows fled so swift and thick that they darkened the air; the heathen horde melted from before them.
"More machine guns!" Bill yelled to Tom.
"Don't hear them," Tom yelled back. "But, thank God, anyway; they've got it in the neck."
In fact, there were ten thousand dead German soldiers left before that salient of the English army, and consequently there was no Sedan. In Germany, a country ruled by scientific principles, the Great General Staff decided that the contemptible English must have employed shells containing an unknown gas of a poisonous nature, as no wounds were discernible on the bodies of the dead German soldiers. But the man who knew what nuts tasted like when they called themselves steak knew also that St. George had brought his Agincourt Bowmen to help the English.
The bowmen (Gli arcieri) di Arthur Machen
trad. e note di Marco R. Capelli Pubblicato su PB17
Accadde durante la ritirata degli Ottantamila, ed il segreto militare impedisce di aggiungere altri dettagli. Ma fu proprio nel giorno più orribile di quel periodo orribile, nel giorno in cui la rovina ed il disastro arrivarono così vicini che la loro ombra si proiettò fin sulla lontana Londra; quando, senza notizie dal fronte, gli uomini sentirono il cuore venir meno e riempirsi di angoscia; come se l’agonia dell’esercito sul campo di battaglia fosse entrata nelle loro anime.
In quel giorno da incubo, dunque, quando trecentomila soldati con la loro artiglieria fluirono come un’inondazione contro la piccola compagnia inglese, c’era un punto che, più di ogni altro punto, si trovò per un certo tempo in estremo pericolo, non solo di essere preso dal nemico quanto, piuttosto, completamente annientato. Con il permesso della Censura e degli esperti militari, questo angolo potrebbe, forse, essere chiamato come avamposto, e se questo avamposto fosse stato preso e le sue difese infrante, allora l’intero fronte inglese sarebbe stato diviso, gli Alleati rimasti avrebbero dovuto ritirarsi ed una nuova Sedan(1) sarebbe stata l’inevitabile conclusione.
Per tutta la mattina i cannoni tedeschi avevano tuonato e fischiato contro questo angolo, e contro il migliaio di uomini che lo tenevano. Gli uomini si burlavano dei proiettili, davano loro buffi soprannomi, e facevano scommesse e li salutavano cantando strofe di canzoni d’avanspettacolo. Ma i proiettili arrivavano, e perforavano e facevano a pezzi coraggiosi soldati inglesi, e separavano fratello da fratello e, così come cresceva il calore del giorno, così faceva la furia di quelle terrificanti cannonate. Non c’era nulla che si potesse fare, o così sembrava. L’artiglieria inglese era buona, ma non era neppure lontanamente sufficiente; e sotto quel martellamento si trasformava lentamente in un ammasso di inutili rottami.
C’è un momento durante una tempesta sul mare quando le persone si dicono l’una con l’altra: “Questo è il momento peggiore, non è possibile che soffi più forte” e poi arriva un colpo di vento dieci volte più violento di tutti quelli che l’anno preceduto. Così succedeva in quelle trincee britanniche.
Non c’erano cuori più saldi nel mondo intero dei cuori di quegli uomini; ma persino loro restavano attoniti mentre questo inferno sette volte arroventato(2) di cannonate tedesche gli cadeva addosso, e li sommergeva e li distruggeva. E proprio in quel momento videro dalle trincee che una tremenda armata stava muovendo verso le loro linee. Dei mille che erano stati ne restavano cinquecento e, per quel che potevano vedere, ora la fanteria germanica stava avanzando, colonna dopo colonna, una massa grigia di uomini; diecimila, come si seppe dopo.
Non c’era nessuna speranza. Alcuni di loro si strinsero la mano. Un uomo improvvisò una nuova versione della canzone di guerra Addio, Addio a Tipperary, terminandola con un laconico “E non ci arriveremo mai”. E tutti continuarono a sparare senza esitazioni. Gli ufficiali fecero notare che un’opportunità così buona per fare tiro al bersaglio avrebbe potuto non capitare mai più; i tedeschi cadevano fila dopo fila; l’umorista di Tipperary disse, “Altro che Sidney Street!(3)” e le poche mitragliatrici fecero del loro meglio. Ma tutti sapevano che era inutile. I cadaveri grigi giacevano a compagnie e battaglioni, ma altri arrivavano senza sosta, e sciamavano e si muovevano ed avanzavano sempre più.
“Nei secoli dei secoli(4). Amen”, disse uno dei soldati Britannici un poco a sproposito, mentre prendeva la mira e sparava. E poi si ricordò – dice che non saprebbe dire perchè o per quale motivo – di un bizzarro ristorante vegetariano a Londra, dove un paio di volte aveva mangiato piatti eccentrici a base di polpette di lenticchie e noci che cercavano di farsi passare per bistecche. Su tutti i piatti, in questo ristorante, era stampata in blu un’immagine di S.Giorgio e sotto c'era scritto: Adsit Anglis Sanctus Georgius – Possa S.Giorgio aiutare sempre gli inglesi. Si da il caso che questo soldato conoscesse il latino ed altre cose inutili, e così, mentre sparava al suo uomo nella massa grigia che avanzava – trecento iarde più in là – mormorò il pio motto vegetariano.
Continuò a sparare senza interruzione, finchè Bill, che stava alla sua destra, dovette fermarlo dandogli un colpetto in testa e facendogli contemporaneamente notare che le munizioni del Re costavano denaro, e che quindi non c’era motivo di sprecarle con leggerezza trapanando fori inutili nel corpo di un tedesco già morto.
Il fatto è che, quando lo studioso di latino aveva sussurrato la sua invocazione, aveva sentito qualcosa che stava a metà tra un brivido ed una scossa elettrica passargli attraverso il corpo. Il ruggito della battaglia si era spento nelle sue orecchie ed era stato sostituito da un gentile mormorio; poi, dice, udì una gran voce e poi un comando che risuonò più forte di un corno da guerra: “In riga, in riga, in riga!”.
Il cuore gli si scaldò come carbone ardente, e poi si raffreddò come se avesse del ghiaccio in petto, perchè gli sembrava che quel tumulto di voci rispondesse alla sua invocazione. Udì, o gli sembrò di udire, migliaia di persone urlare: “San Giorgio! San Giorgio!”
“Ha! Messere. Ha! Buon Santo, assicuraci la salvezza!”
“San Giorgio, per la bella Inghilterra!”
“Saccheggio! Saccheggio! Nostro Signore San Giorgio, soccorrici.”
“Ha! San Giorgio! Ha! San Giorgio! Un arco lungo ed un arco forte.”
“Cavaliere del Paradiso, aiutaci!”
E mentre il soldato udiva queste voci vide di fronte a lui, oltre la trincea, una lunga linea di forme circondate da un alone luminoso. Erano come uomini che tendessero l’arco e con un altro urlo, la loro nube di frecce volò cantando e tintinnando attraverso l’aria verso le armate tedesche.
* * * *
Gli altri uomini nella trincea non avevano mai smesso di sparare. Non avevano speranza, ma prendevano la mira esattamente come se stessero sparando a Bisley(5).
All’improvviso uno di loro alzò la voce ed iniziò a parlare. “Iddio ci aiuti!”, muggì all’uomo che gli stava vicino, “Siamo davvero dei tiratori eccezionali! Guarda quei ... gentiluomini grigi, guardali! Li vedi? Non cadono a dozzine, neanche a centinaia, vanno giù a migliaia, vanno giù. Guarda! Guarda! Un intero reggimento è andato giù mentre stavo parlando con te.”
“Piantala!” grugnì l’altro soldato, prendendo la mira, “Che cosa stai cianciando?”
Ma rimase senza fiato per la sorpresa perchè, davvero, anche mentre stava parlando, gli uomini grigi cadevano a migliaia. Gli inglesi potevano udire le grida gutturali degli ufficiali tedeschi, lo scoppio dei loro revolver quando sparavano agli uomini che non volevano avanzare e tuttavia, linea dopo linea, cadevano a terra.
* * * *
Contemporaneamente, il soldato che sapeva il latino continuava ad udire le grida:
“Saccheggio! Saccheggio! Nostro signore, buon santo, vieni presto in nostro aiuto! San Giorgio, aiutaci!”
“Grande Cavaliere, difendici!”
Le frecce tintinnanti volavano così veloci e fitte da oscurare l’aria, l’orda pagana si sciolse di fronte a loro.
“Altre mitragliatrici!” urlò Bill a Tom.
“Non le sento.” rispose Tom, “Ma grazie a Dio, in ogni caso, si stanno ritirando.”
Infatti c’erano diecimila soldati tedeschi morti sul campo davanti a quell’avamposto dell’esercito inglese, e di conseguenza non vi fu nessuna Sedan(6). In Germania, paese governato da amministratori scientifici, il Grande Comando Generale decise che gli spregevoli inglesi dovevano aver usato un gas velenoso di natura sconosciuta, dato sul corpo dei soldati morti non c’era nessuna ferita visibile.
Ma l’uomo che sapeva che sapore avessero le noci quando tentavano di farsi passare per bistecche, sapeva anche che S.Giorgio aveva portato i suoi arcieri di Agincourt(7) per aiutare gli inglesi.
Arthur Machen
Note:
1. Si riferisce alla battaglia di Sedan, combattuta il 1° Settembre 1870 durante la guerra Franco-Prussiana e conclusasi con una clamorosa sconfitta delle forze francesi e con la cattura di Napoleone III. E’ usato come sinonimo di completa sconfitta.
2. Si fa probabilmente riferimento alla descrizione biblica della fornace di Nabucodonosor che era sette volte più calda di qualsiasi altra fornace. (Daniele 3:23). E’ una delle rappresentazioni bibliche dell’inferno.
3. Probabile riferimento ad un fatto di cronaca del 1911, una sparatoria tra bande anarchiche avvenuta nell’East End di Londra che si concluse con numerose vittime. All’epoca in cui fu scritto il racconto era un evento piuttosto recente e ben noto.
4. In originale “world without end”, da S.Paolo, Efesini 3:21 che recita: “To him be glory in the church, and in Christ Jesus unto all generations, world without end. Amen” ovvero “A lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen”.
5. Campo di tiro al piccione poco fuori Londra.
6. Vedi nota 1.
7. Si riferisce alla battaglia di Agincourt (25 Ottobre 1415) combattuta durante la Guerra dei Cent’anni, che si concluse con una grande vittoria degli inglesi ai danni delle forze francesi comandate dal Connestabile Charles D’Albret. La battaglia è descritta (e romanzata) da Shakespeare nel dramma Enrico V.
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Lo stesso Machen lo riconoscerà: “La storia in sé non è niente, ma ha tuttavia avuto tali e impreviste conseguenze e avventure che la loro narrazione può essere di un certo interesse.” Di un interesse superiore allo storia medesima, aggiungiamo noi!