mercoledì 28 settembre 2011

The Fall of Democracies and the Economy of Happiness


Young people don’t believe in the representative and old-fashioned democratic action of the ballot box anymore.
The new generations believe in clusters - a way of being together in life that reflects the virtual way of being together on Facebook, Twitter, Youtube and every other kind of social networking.
Today's youth live in a bifurcated contradiction of an upbringing focused on the concept of free-economy learned from the Internet and voracious States that have abandoned their citizens to the tsunami of the financial crisis: a hellish, hopeless circle where the new generations try to survive.
The younger generations, in the end and above all, lack a belief that the political system represents their interests (one of the best examples is the rage caused by the bailouts of financial institutions when the public declared the money should have gone to people instead of banks!)
For this reason, youths think that you can only make a difference if you are part of a movement (social networking). However, networking is out of any political and traditional political party system, and therefore is recognized as a true act of representation.
Only by trying to better focus on and understand these networking clusters can we can better understand the real needs of a Nation and spin off an Economy of Happiness rather than one of plundering and wild exploitation (see my post:La compassione buddista come modello di business
http://milanprincipe.blogspot.com/2011/08/la-compassione-buddista-come-modello-di.html)
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sabato 24 settembre 2011

IO SONO LI di Andrea Segre


Io sono li

REGIA: Andrea Segre

ATTORI: Zhao Tao, Rade Sherbedgia, Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston

GENERE Drammatico

DURATA: 100 min

Com’è l’Italia vista dagli occhi di una cinese? Su questo interrogativo sembrano aprirsi le prime scene del film di Segre. La cinese è Shun Li, una lavoratrice in mano della mafia gialla in attesa del giorno che arriverà “La Notizia”, ovvero che le comunicheranno che ha finito di pagare il debito alla mafia cinese e la faranno ricongiungere al suo figlio di otto anni rimasto in Cina con il nonno.

Lavora in in una fabbrica di camice. Dalla fabbrica viene mandata a lavorare a Chioggia in un bar.

Lei attraversa tutto il nord brumoso per raggiungere Chioggia e pensa al figlio lontano. A Chioggia si ritrova in camera con Lian che le dice che lavorerà in un bar che gli italiani chiamano Osteria.

Inizia il lavoro e naturalmente ha difficoltà a capire i veneti (anche noi però; e difatti ci sono i sottotitoli ad aiutarci).

Sono buoni questi italiani che frequentano il bar: anzi noi italiani siamo buoni perché siamo ganzi e siamo ganzi perché siamo buoni per natura.

Non tutti sono buoni però: Devis è il più stronzo di quelli che frequentano il bar; tutti pagano il “ciòdo” ma lui no. Lui ruba, ha sempre i soldi in tasca e non paga i debiti.

Gli italiani del bar scoprono che i cinesi cucinano bene. Ma ovviamente cucinano bene perché Marco Polo gli ha insegnato a cucinare, di questo ne son ben consapevoli gli avventori.

Sta bene Li in quel bar con quegli italiani buoni e piano piano impara anche l’italiano (pardon: il veneto).

Li diverrà amica di uno dei pescatori anziani che frequentano il bar: Bepi, detto il Poeta. Tra i due nascerà un tenero affetto che però sarà osteggiato dalle due comunità: quella degli italiani e quella dei cinesi…

Bella la regia, bella la fotografia. Belle le lettere che Li scrive a suo figlio. Belli i testi letterari citati nel corso del film. Belli i dialoghi fra Li e Bepi. Bella, tenera, poetica e toccante la storia d’affetto fra Li e Bepi..

Un gran bel gioiellino questo film. Un gioiellino in miniatura perfetto e finemente cesellato. Un film di nicchia che ha il pregio di un prodotto mignon di grande valore.

Una metafisica della quotidianità e dei conflitti sociali perfettamente incastonati.

Voto: quattro stelle.

venerdì 23 settembre 2011

LA PELLE CHE ABITO di Pedro Almodóvar


La pelle che abito

REGIA: Pedro Almodóvar

ATTORI: Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes, Jan Cornet, Roberto Álamo.

TITOLO ORIGINALE: La piel que habito

GENERE: Drammatico

GENERE: 120 min

Toledo 2012: inizia qui la storia, apparentemente collocata spaziotemporalmente.

La storia di una casa degli orrori, che parte con l’apertura su di una colazione servita dalla cucina del piano terra e inviata tramite un passavivande al piano superiore, dove una bella ragazza vive in una stanza prigione.

Poi il film stacca su una conferenza di luminari della chirurgia plastica, dove il professor Robert Ladgard tiene una relazione sulle scoperte scientifiche della chirurgia plastica facciale.

Si torna di nuovo alla casa degli orrori e si scopre che è la casa dello stesso professor Ladgard che tiene segregata la bella ragazza e sui cui conduce esperimenti per la creazione di una nuova pelle, sintesi di cellule umane e suine. Una pelle più resistente, alle malattie ed alle punture degli insetti.

La ragazza giace sul letto con i polsi tagliati. Il professore Ladgard la porta nella sala operatoria privata della sua villa e la salva.

Salva un corpo sezionato millimetro per millimetro dai disegni fatti per l’applicazione della nuova pelle da lui creata.

Ma quella cavia umana è una cavia speciale, che vive di un diritto di libero arbitrio che la porterà ad allontanarsi dall’arbitrio del suo Creatore (ed il film con il suo andamento lento, manieristico e stilizzato ci svelerà perché).

Il film è lento, soprattutto nella prima parte. E’ pure allucinante, scomodo e talora ridicolo, soprattutto in certe scene di sesso.

All’inizio infatti c’è da domandarsi che senso abbia questo film, e se non fosse che poi il film decolla soprattutto negli ultimi venti minuti quel senso sarebbe difficile da afferrare.

E’ l’imporsi del Verbo omosessuale che regge il mondo di Almodóvar che tiene in piedi la storia, sospendendo il tutto nel punto interiore atemporale delle sue visioni estetiche gay: carne in quantità, vita, morte, sesso, possesso dei corpi, pazzia dei corpi, zone d’ombra che spingono alle perversioni ed al delitto.

Questa volta però Almodóvar va più in profondità: fin dentro la carne stessa e la penetra con il bisturi (metafora più incisiva delle altre penetrazioni dolorose che costellano il film), esaltando un’ estetica della carne che farebbe impallidire Yukio Mishima: la carne è il mondo, la carne è lo spirito, la carne è la vita, la carne è l’anima.

Il Verbo, per Almodóvar, davvero si è fatto (solo) carne.

Buono il finale.

Voto: tre stelle.

domenica 18 settembre 2011

SUPER 8 di J.J.Abrams


Super 8

REGIA: J.J. Abrams

ATTORI: Kyle Chandler, Elle Fanning, Joel Courtney, Gabriel Basso, Noah Emmerich.

GENERE: Fantascienza

DURATA: 112 min

Muore la mamma di Joe, schiacciata (pare) da una trave d’acciaio in un fonderia. Durante il funerale i suoi amici si preoccupano che Joe non voglia più lavorare ad un film sui morti viventi che stavano producendo per un festival provinciale. Ma quattro mesi dopo Joe è di nuovo nel cast dei suoi compagni di scuola. Hanno in progetto di girare una scena a mezzanotte in una stazioncina semiabbandonata. Cominceranno a girare la scena più importante quando vedono arrivare in lontananza il treno. Mentre girano la scena un furgoncino guida in senso inverso sui binari contro il treno. Ci sarà l’impatto e l’esplosione spettacolare del treno merci. I ragazzi fuggono ed abbandonano la cinepresa che continuerà a filmare quello che loro sapranno solo più tardi…

E’ un film sull’incontro ravvicinato di terzo tipo, ma non troppo pacifico per la verità. Un incontro che si svolge in una cittadina americana, quella tipica dei film americani post-guerra: tanto perbenismo e tante faide dietro la facciata perbenistica. Dove i ragazzi che finiscono sempre nei guai sono tuttavia virtuosi e salveranno il mondo dal male degli adulti.

Un film di grande spessore che nel frame delle faide familiari svolge la sua azione: uno scontro fra strutture complesse, gli adulti, e strutture semplici, gli adolescenti. Inquietanti e malvage quelle complesse, dirette e capaci di arrivare alla verità della vita quelle semplici (uno schema ripetitivo del cinema americano).

Un film dove non c’è spazio per l’intellettualità ma solo per una sana e robusta “action”.

Un film che se non si sapesse dalla locandina che è di J.J.Abrams si penserebbe che fosse di Spielberg (magari uno Spielberg un po’ più torbido), con tanta fantasia e forza narrativa.

Spettacolo assicurato.

Voto: tre stelle e mezzo.

sabato 17 settembre 2011

CARNAGE di Roman Polanski


Carnage

REGIA: Roman Polanski

ATTORI: Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly

TITOLO ORIGINALE: God of Carnage

GENERE: drammatico

DURATA: 79 min


Lo schema del film è molto semplice e lineare. Comincia al parco con due ragazzi che fanno a botte. Zachary con un bastone colpisce Ethan che l’aveva chiamato spia e gli rompe due incisivi. I genitori di Zachary, i Cowan, si recano dopo l’incidente in uno spettacolare appartamento di Manhattan per porgere le loro scuse ai genitori di Ethan, i Longstreet, e partiti dalle normali frasi di convenienza sociale finiranno per scannarsi verbalmente. E mentre loro si vomitano addosso i mostri che sono evoluti dentro di loro a causa di un menage familiare troppo lungo ed asfittico i figli nel frattempo di nuovo al parco si riappacificano sereni.

Il film mi fa venire in mente il filosofo Slavoj Žižek che diceva che la famiglia è un luogo dove si generano mostri. Niente di più vero guardando il film. Nel film infatti si passa da un iniziale scontro tribale (clan familiare contro clan familiare) al tutti contro tutti; dallo scontro della solidarietà maschile contro l’alleanza (temporanea) femminile al consolidarsi degli istinti maschili bevendo un meraviglioso whiskey e al decadere irrimediabile nelle più disperate pulsazioni uterine dell’odio femminile per via del meraviglioso whiskey.

Gli esseri umani non si piacciono e a stento frenano la loro animalità con convenzioni sociali (buone maniere, caffè, whiskey, torte, sigari…) e si irritano con fattori meccanici (istinto di appartenenza al clan familiare, cellulari, telefoni e madri petulanti che non liberano mai i loro figli…) che mettono in moto trigger che disfaranno ogni convenzione sociale incapace di occultare la rabbia e la frustrazione di un individuo che si porta ormai da anni dentro il mostro di se stesso…

Un film bello ma irritante. Un grande pezzo teatrale seppur splendidamente adattato al cinema, con attori stellari. Ma rimane comunque e sempre teatro e al cinema però si va per vedere cinema (cioè azione) e non teatro (recitazione per la recitazione + stasi).

Mi viene da pensare che nonostante queste riflessioni il cinema americano si può permettere anche questi film. In Italia non si è in nessun modo capaci di produrli. Ci aveva provato Sergio Castellitto con “La bellezza del somaro” ma era stato un disastro totale. Il film di Polanski non è un disastro: è un bel film. Irrita e tuttavia è un gran prodotto.

Sederete incomodamente su una poltrona ma vedrete un film di valore.

Voto: 3 stelle

lunedì 12 settembre 2011

CONTAGION di Steve Soderbergh


Una foto dal set di <em>Contagion</em> a San Francisco. -

Contagion REGIA: Steven Soderbergh

GENERE: Thriller
DURATA: 105 min

Giorno 1: Un tizio che si chiama John Mill chiama Beth che è all’aeroporto di Hong Kong per rassicurarsi che lei stia bene. Avevano avuto sesso in hotel. Era stato bello per entrambi (poi scopriremo che Beth aveva tradito Thomas Emhof, suo marito). E’ a Hong Kong che comincia il contagio. E’ Beth che è il primo contagio (il finale – bello – ci svelerà come)
Giorno 2: un morto a Tokyo
Giorno 3: Atlanta USA, centro per il controllo delle malattie infettive, si incomincia ad avvertire il problema
Giorno 4: nella famiglia Emhof, Beth si ammala improvvisamente e anche il figlio Clark si ammala. Muoiono rapidamente. L’infezione è fulminante. Non si capisce quale sia la causa della morte: forse meningite o forse encefalite…
Giorno 5: Ginevra – Organizzazione mondiale della Sanità – si comincia a fare i conti con l’epidemia. In Cina scoppia l’epidemia ed anche a Chicago diventa virulenta. Muore la gente a grappoli.
Giorno 6: tutti al lavoro per riuscire a capirci qualcosa in quell’epidemia che è inafferrabile. Che scatena l’influenza? Si trasmette per via aerea o per fomito? Si devono chiudere le scuole? Ogni persona che si ammala quante ne può infettare?...i giorni passano e la storia si fa sempre più maledettamente intricata…entra in ballo anche la CIA: si ipotizza un attacco batteriologico…infine si decide di seguire la pista Beth: lei potrebbe essere il caso zero. Si cercano tutte le persone che sono state in contatto con lei…si interroga il marito, Thomas, che è (tradito ma) immune al virus…il film parte e la catastrofe dilaga…

E’ un film sulla discesa all’inferno nella catastrofe e della risalita verso il Bene (risalita che si fonda sempre sul senso di democrazia del popolo per eccellenza: il Popolo Americano). E’ il film sul senso innato della democrazia del cittadino americano, che anche in un’epidemia pandemica sa che il rispetto delle regole democratiche e l’abnegazione per il bene della propria società è il coibente per la vittoria sul Male, qualunque faccia esso abbia: un virus, AL-Qaeda, la recessione o il capitalismo malvagio, o la politica corrotta…chi rispetta le regole (il buono) vince sempre sul Male.
Il concetto sarà pure semplicistico, ma è un concetto che talora produce bei film. E questo è davvero un bel film. Un bel film americano, di quelli che ti aspetti di vedere quando vai al cinema: grande spessore, grande ritmo, profondo respiro, attori dalla recitazione stellare.
Uno di quei film che ti rimette in pace con le ragioni del cinema.

Voto: quattro stelle

domenica 11 settembre 2011

Il Sole 24Ore: polemica sullo stile (nella letteratura contemporanea)



Il Sole 24Ore: polemica sullo stile (nella letteratura contemporanea)


Che in Italia si viva ai margini di qualsiasi tendenza culturale non è una rivelazione che sconvolgerà qualcuno: Che il supplemento “Domenica” del Sole 24Ore ne sia un fededegno rappresentante della provincialità culturale forse potrà urtare qualcuno. Forse.
C’è in corso sul supplemento domenicale del Sole 24Ore un dibattito sullo stile nella letteratura contemporanea. O meglio, il dibattito verterebbe sull’assenza di stile in letteratura. Dibattito abbastanza ozioso dal mio punto di vista.
Dal mio punto di vista credo invece che dovremmo interrogarci sull’incapacità italiana di saper narrare storie senza curarsi troppo dello stile, che mi sembra il male maggiore del cinema e della letteratura contemporanei. Soprattutto del cinema.
L’Italia (l’Europa) è impregnata di stile. Lo stile previene la narrazione e non viceversa. Il cinema italiano in particolare è strutturalmente impossibilitato a raccontare storie in vista dell’ossessiva preoccupazione dello stile. Cosa che non accade in quello americano dove invece il concern è caso mai l’in-vista-del-main-stream.
Quali sono gli autori italiani più venduti, a torto o a ragione? Moccia (sic!) e Fabio Volo (sempre meglio di Moccia!), Donato Carrisi. Questi autori certamente non si preoccupano dello stile.
A livello di concept nel marketing non si costruisce un prodotto senza un tessuto narrativo dietro (come esempio di questa narratività voglio dare Moleskine, un esempio perfetto di una perfetta narrratività dietro il prodotto: http://www.moleskine.com/moleskine_world/_the_legendary_notebook_moleskine.php).
Non credo che, come sostiene qualcuno sul Sole 24Ore di oggi (domenica 11 settembre 2011), ci sia una subalternità dello scrittore ad una letteratura peggiore, bensì un adeguamento del prodotto al mercato attuale che chiede storie e non stile.
Neppure credo che, come sempre sostiene qualcun altro nel supplemento domenicale, ci sia un abbassamento di stile perché mancano i maestri. Viviamo in un’epoca globale; la cultura non è più un sistema definito ad una determinata area sociale, statale e geografica; la lettura è globale seppure prodotta in ambito e con caratteristiche glocal i maestri in questa visione global non mancano affatto.

Ritornando al problema dello stile, lo stile annoia,  perché spaesa e non di-verte (non ci sottrae dal senso pesante del nostro vivere quotidiano ormai in sintonia con l’andamento dei mercati legati come siamo ad un valore unico: il denaro). Una storia anche mediocremente narrata ha comunque la possibilità di di-vertire in treno ed alla toilette (perché ormai i tempi di lettura sono questi…).

Si citano sempre come esempi di stile Proust e Joyce ma quanti oggi effettivamente li leggono, se non quei pochi che vi sono obbligati (professori, critici e studenti che preparano l’esame di letteratura…)? E poi diciamoci la verità: sono di una noia mortale! (soprattutto per le persone comuni).

La narrazione ha la capacità di visualizzare, lo stile no. E oggi viviamo nell’epoca della visualizzazione: nell’apertura di una pagina web ci dev’essere la visualizzazione immediata o si abbandona subito la pagina. La scrittura si adegua all’abito di lettura. Lettura rapida, stile rapido. Lettura ridotta all’osso, stile nervoso e ridotto all’osso senza fronzoli inutili. Lettura veloce, stile veloce. Questi sono, per lo più, i features che contraddistinguono la lettura quanto lo scrivere. Provate a scrivere diversamente e vedrete quante chance avrete di essere uno scrittore professionista (i.e. pubblicato) .

sabato 10 settembre 2011

L'ULTIMO TERRESTRE di Gianni Pacinotti


Anna Bellato "Anna" nel film di Pacinotti

L'ultimo terrestre


GENERE: Fantascienza
DURATA: 100 min.


Il film comincia con l’etere. L’etere della radio dove c’è una linea diretta con gli spettatori. Gli alieni stanno per arrivare. Che succederà?
C’è padre Daniel che ha chiamato la radio e si interroga sulle ragioni dell’anima non ritenendo di nota la venuta degli extraterrestri. Poi chiama David, uno di Cesena che c’ha una squadra di calcio e aspetta gli extraterrestri per farli giocare nei vivai e tesserarli…beh questa è pressappoco la nostra Italia in attesa dell’arrivo degli extraterrestri: vacua e disinteressata a tutto eccetto che al proprio io.
Poi c’è Luca che nonostante l’arrivo degli alieni va a puttana: pardon! con una donna professionale, come si definisce l’operatrice sessuale che presta opera a pagamento in un negozio che vende mobili all’ingrosso e che di conseguenza sceglie il letto pertinente alla professione del cliente. Luca è cameriere che lavora al locale del Bingo e dunque gli tocca il letto “cameriere”.
Di notte poi quando Luca torna a casa spia la vicina di casa, Anna, che definisce una gran puttana ma di cui è profondamente innamorato e geloso.
Un lavoro di merda quello di Luca. Una vita di merda la sua. Incubi notturni: gli alieni. Una vita che sembra senza sbocco.
E’ un uomo solo e senza amici. L’unico suo amico è Roberta, un trans che batte a Tirrenia, col quale parla e si confida. Un altro con cui parla è il padre, che vive solo in campagna vicino a Pontedera, in un casolare vecchio e scalcinato.

Luca nella sua solitudine è un mostro. Lo capisce quando glielo sputa in faccia Anna, la vicina di casa di cui è innamorato, perché lui ha buttato nel cassonetto della spazzatura un gatto morto che aveva trovato per strada e che era della sua vicina….
Poi finalmente arrivano dalle profondità dello spazio gli alieni…e il mondo andrà incontro ad un cambiamento? I malvagi verranno puniti ed i buoni verranno liberati dai malvagi?

Un film surreale. Alla Sorrentino. Non facile da digerire all’inizio. Duro e tuttavia fascinoso, con una fissità insistita che però attira e non annoia. Una lentezza piacevole.
E’ sicuramente una parodia dell’attuale Italia cialtrona, becera, fatta di mazzettari, maghi, venditori d’assalto, maneggioni ed intermediari. Un’Italia squallida, dove lavorare onestamente è brutto e truffare è bello.
Pacinotti ha un modo di fare cinema in Italia nuovo, con materiale ordinario tirato al massimo, fino al limite dello straordinario.

Voto: tre stelle e mezzo.

TUTTA COLPA DELLA MUSICA di Ricky Tognazzi


Tutta colpa della musica


GENERE: Commedia
DURATA: 98 min




Il dottor Giuseppe Bonora va in pensione dopo una vita di lavoro in un’azienda di Biella.Va in pensione e si ritrova ad affogare nel nulla della famiglia. La madre una cattolica ortodossa che fuma di nascosto. La moglie un’invasata dei Testimoni di Geova che ha tirato dentro anche la figlia, una ragazza triste per non aver trovato la direzione, timida e complessata dalla paura di essere brutta e di non piacere agli uomini.
Giuseppe prima almeno aveva il lavoro per fuggire da quel nulla che lo tira giù verso una vita di nulla, ora invece vi è dentro fino al collo e non sa come uscirne.
Giuseppe ha un amico fin dal tempo delle elementari: Nappo (diminutivo per Napoleone). Nappo nella vita ha solo quattro interessi:

1)      il coro (retto dalla ex moglie, Patrizia)
2)      la bicicletta
3)      le donne
4)      le donne

Nappo è uno un po’ fuori di testa, e vive di zingarate ed eccessi alla “Amici miei”, seppure viva a Biella (e non a Firenze) e dato che Giuseppe “non c’ha proprio un cazzo daffà!” preferisce la compagnia di Nappo a quella della casa infestata da  Testimoni di Geova invasati.
Un giorno va con Nappo al coro proprio per il motivo di “non averci un cazzo daffà” e lì, sebbene in là con gli anni, rimane folgorato dalla soprano, Elisa. Colpo di fulmine e parte la storia d’amore…una storia d’amore fra due persone entrambe sposate ma con coniugi, per motivi diversi, inabili ad amare e ad essere amati. Una storia d’amore fra due persone che entrambi hanno bisogno di rinascere da una vita che li affossa inesorabilmente.
In questo film c’è solo borghesia stizzosa e lunatica che non ha problemi economici. Qui la crisi dell’indebitamento pubblico non esiste. Non esiste la speculazione finanziaria e lo spread con i bond tedeschi. Qui non c’è recessione né deflazione né stagnazione. Qui c’è solo la ricerca dell’amore e un’idea molto romantica della musica come ancore di salvataggio dal nulla. Qui si vive a Biella, sospesi in una vita che in realtà non esiste, presuppostamente immersi in un’ artistica ricerca dell’amore guidato dalla musica capace di togliere tutti i peccati del mondo.

Insomma, seppur la seconda parte del film sia un po’ meglio della prima e seppur nella seconda parte qualche sorriso ce lo strappi, il film è una discreta palla. Ricorda molto i noiosissimi film di pupi Avati e un po’ le pubblicità del Mulino Bianco.
Avrebbe potuto essere la grande occasione di Marco Messeri, che ha un ruolo da completo protagonista, ma non lo è stata. Troppo legato, compassato, molto drammatico, meccanico e poco leggero come invece il ruolo richiedeva. Probabilmente è più attore da teatro che da cinema.
Consigliamo, infine, a Ricky Tognazzi di cambiare genere. Magari sceglierne uno più impegnato e arrabbiato dove forse le sue sdolcinature potrebbero ben amalgamarsi con il tema.

Voto: 2 stelle.

domenica 4 settembre 2011

Finalmente gli stati reagiscono al capitalismo eugenetico


Finalmente gli stati reagiscono al capitalismo eugenetico

Finalmente gli stati reagiscono al capitalismo eugenetico[1]. E a farlo non poteva che essere la democrazia par excellence (almeno nominalmente): gli USA, che denunciano ben 17 banche per mutui e derivati tossici[2]
Come è stato possibile che si accettassero le regole di questi selettori, creatori e manipolatori di capitali, bolle, speculazioni e crisi conseguenti senza mai nominarli o attaccarli come se ci fosse un’omertà globalmente accettata fino ad arrivare al punto di dargli denaro pubblico?
Salvando le grandi banche ed evitandone il fallimento si è “avuto come effetto paradossale di alimentare e non frenare la speculazione”[3] .
“I mutui ipotecari (subprime) sono stati indicati come l’origine dell’attuale crisi, esplosa soprattutto grazie alle innovazioni finanziarie dei derivati il cui valore è ancora oggi  almeno sei-sette volte superiore al PIL del mondo intero. Né va scordato che un gruppo di dieci grandi banche controlla il 90% del mercato dei titoli derivati”[4]. Questo è il nuovo capitalismo (eugenetico): mostruoso, abnorme, direttivo, selettivo e capace di controllare la globalità.
Un cluster[5] apparentemente di dieci banche affetta il mondo con la sua struttura e lo controlla con l’influenza di quella struttura. Certamente il problema è modificare quella struttura, un tie da cui si snoda tutto un modo di fare mercato e impresa.
L’unico modo per modificare quella struttura è quello di inserirvi una parallela struttura etica, anche in virtù della forza del diritto (come hanno fatto negli USA); in questo modo si potranno apportare delle riforme strutturali che potranno rimettere in moto l’economia mondiale e abbassare il livello di scontro sociale e di sperequazione fra le classi.


[1] Per il concetto di “Capitalismo eugenetico” si veda il nostro post: http://milanprincipe.blogspot.com/2011/07/il-capitalismo-eugenetico.html
[2] Guido Rossi Se si sveglia la politica e attacca i mercati Il  Sole24 ore domenica 4 settembre 2011 p.1 e 16. Per i nome delle banche si veda anche Marco Valsania Mutui, la causa Usa investe l’Europa sempre su Il  Sole24 ore domenica 4 settembre 2011 p.12
[3] Guido Rossi art. cit. p. 16
[4] Ididem

sabato 3 settembre 2011

COSE DELL'ALTRO MONDO di Francesco Patierno


Un grande Diego Abatantuo
Cose dell'altro mondo
REGIA: Francesco Patierno

GENERE: Commedia
DURATA: 90 min




C’è lui in questo film, l’Abatantuono, che da terrún si è trasformato in leghista trevigiano a tirare le fila di un film sul valore degli immigrati avvertito con molto senso di buonismo: immigrato è bello e fa bene all’Italia.
Lui, il Diego, che nel film è l’industriale leghista trevigiano Mariso Golfetto gran massacratore di marocchini e immigrati in generale (“domenica c’è il sole. Vi porto al mare così vi abbronzate un po’!”), che vive in un nord dove il numero delle donne stuprate da neri ecc. è più alto che in Cecenia, e invidia perciò la Sicilia perché a Corleone di donne stuprate non ce n’è neanche una perché lì al negro gli rovinan la carrozzeria se ci si prova…. Un nord dove le moschee dilagano e pure le kebaberie…
Poi c’è il Mastrandea che fa la parte di un poliziotto ben disposto verso i diritti degli immigrati ma che è ossessionato dalle dimensioni del nuovo partner della sua ex che lo ha lasciato e sta ora con un negro (appunto) che l’ha messa incinta, ma che, ossessione a parte, lui testardamente ama ancora.
Il trevigiano pullula di immigrati. Dilagano. Mariso ne è ossessionato. Gli immigrati non sono poverini e il lavoro va dato prima agli italiani e chi commette crimini deve sottostare alla legge di Singapore, cioè punito corporalmente. Questi sono i temi delle sue trasmissioni in tv (“La 9”) di cui lui è padrone. Non si risparmia a “La 9”: le puttane nigeriane invadono le strade e la colpa è tutta della sinistra. Basta islamisti! Che prendano il cammello e ritornino al loro paese! E così, lui che ha il filo diretto con il Paròn (Dio) perché lui è l’autentico difensore della cristianità e ha adottato 5/6 negretti a distanza e non lo dice perché la beneficenza si fa così, invoca una sera in tv uno tsunami che si porti via tutti gli immigranti e per sempre.
Quella notte un temporale dalle dimensioni anomale ed infernali si abbatte sul trevigiano. La mattina il popolo trevigiano si sveglia e tutti gli immigranti son scomparsi…e ora son cazzi! Ora sì che l’Italia diventa davvero un paese di MERDA!...più nulla funziona e Mariso non può neppure andare a puttane nigeriane a cui prometteva di far avere il permesso di soggiorno…nessuno lavora, perché scomparsi gli immigrati nel Veneto laborioso di italiani che lavorino in fabbrica o facciano i badanti non se ne trova…non ci sono più vu cumprà, albanesi, romeni, marocchini…solo nordici incapaci di mandare avanti il loro stesso paese…Geox, Pinarello, De Longhi si fermano…si ferma il  veneto e l’Italia di merda tutta…è il Caos!!

Buona la regia di Patierno. Grande Abatantuono. Ottimo Mastrandea, che recita come Nanni Moretti.
Storia scorrevole e piacevole con finale alla Fellini.
Buona l’idea. Peccato però che sia stata copiata da “Un giorno senza messicani” di Sergio Arau.
Insomma, tutto sommato, un discreto inizio di stagione che fa ben sperare per il cinema italiano? Lo verificheremo nel prosieguo della stagione.

Voto: tre stelle.