La pelle che abito
REGIA: Pedro Almodóvar
ATTORI: Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes, Jan Cornet, Roberto Álamo.
TITOLO ORIGINALE: La piel que habito
GENERE: Drammatico
GENERE: 120 min
Toledo 2012: inizia qui la storia, apparentemente collocata spaziotemporalmente.
La storia di una casa degli orrori, che parte con l’apertura su di una colazione servita dalla cucina del piano terra e inviata tramite un passavivande al piano superiore, dove una bella ragazza vive in una stanza prigione.
Poi il film stacca su una conferenza di luminari della chirurgia plastica, dove il professor Robert Ladgard tiene una relazione sulle scoperte scientifiche della chirurgia plastica facciale.
Si torna di nuovo alla casa degli orrori e si scopre che è la casa dello stesso professor Ladgard che tiene segregata la bella ragazza e sui cui conduce esperimenti per la creazione di una nuova pelle, sintesi di cellule umane e suine. Una pelle più resistente, alle malattie ed alle punture degli insetti.
La ragazza giace sul letto con i polsi tagliati. Il professore Ladgard la porta nella sala operatoria privata della sua villa e la salva.
Salva un corpo sezionato millimetro per millimetro dai disegni fatti per l’applicazione della nuova pelle da lui creata.
Ma quella cavia umana è una cavia speciale, che vive di un diritto di libero arbitrio che la porterà ad allontanarsi dall’arbitrio del suo Creatore (ed il film con il suo andamento lento, manieristico e stilizzato ci svelerà perché).
Il film è lento, soprattutto nella prima parte. E’ pure allucinante, scomodo e talora ridicolo, soprattutto in certe scene di sesso.
All’inizio infatti c’è da domandarsi che senso abbia questo film, e se non fosse che poi il film decolla soprattutto negli ultimi venti minuti quel senso sarebbe difficile da afferrare.
E’ l’imporsi del Verbo omosessuale che regge il mondo di Almodóvar che tiene in piedi la storia, sospendendo il tutto nel punto interiore atemporale delle sue visioni estetiche gay: carne in quantità, vita, morte, sesso, possesso dei corpi, pazzia dei corpi, zone d’ombra che spingono alle perversioni ed al delitto.
Questa volta però Almodóvar va più in profondità: fin dentro la carne stessa e la penetra con il bisturi (metafora più incisiva delle altre penetrazioni dolorose che costellano il film), esaltando un’ estetica della carne che farebbe impallidire Yukio Mishima: la carne è il mondo, la carne è lo spirito, la carne è la vita, la carne è l’anima.
Il Verbo, per Almodóvar, davvero si è fatto (solo) carne.
Buono il finale.
Voto: tre stelle.
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