Bill Emmott: “Sì, l’Italia può risorgere Adesso continuate così”
Nella foto, Bill Emmott ai tempi della direzione dell’Economist
Dopo aver letto il tuo libro, Bill, mi sorge spontaneo pensare che in fondo, volendo, del buono lo si trova dappertutto…sei persino riuscito a trovare del buono nella classe politica italiana!
«Certamente che si può trovare del buono dappertutto ma la difficoltà maggiore sta nello stabilire che spesso la “la buona Italia” e “la mala Italia” co-esistono all´interno della medesima gente e delle stesse organizzazioni. Questo vale soprattutto per la politica. Quello che dunque valgono sono le circostanze e le incentivazioni. Non è solo una questione morale».
Tu davvero vedi possibile un nuovo Rinascimento/Risorgimento italiano?
«Ho sempre creduto che Rinascimento e Risorgimento siano possibili. E credo anche che oggi un “Risorgimento” debba soprattutto consistere nella rimessa in circolo della flessibilità e del dinamismo che l´Italia ebbe nel 1960 e 1970. Non rappresenterebbe dunque un cambiamento completo, ma si tratterebbe di riportare in vita vecchie forze e spinte».
Un attore italiano, Elio Germano, dedicò il premio di Cannes come migliore attore «all´Italia e agli italiani che fanno di tutto per rendere il paese migliore nonostante la loro classe dirigente». Il tuo libro sembra in ogni senso confermare la frase di Germano…
«Sì, davvero la mia speranza è che il mio libro incoraggi gli Italiani, in patria e all´estero, a lavorare sodo per impegnarsi a rendere la loro nazione migliore, più forte e prosperosa. Dopo tutto ho trovato numerosi gruppi che già si muovono in questa direzione: il mio libro intende lodarli e omaggiarli. Ma ne occorrono ancora di più e ci vuole ancora molto lavoro in questa direzione».
Leggendo il libro mi pare più che evidente che gli imprenditori siano l´unica classe sociale veramente innovativa in Italia. In particolare quando parli di Cucinelli…
«Beh, gli imprenditori sono sempre per definizione innovatori: cercano sempre di creare qualcosa di nuovo. Ci sono persone che vogliono investire le loro vite fuori dal vecchio sistema, da un modo vecchio di fare gli imprenditori e da una burocrazia altrettanto vecchia. Sono dunque una fonte di cambiamento e di ispirazione. Gli ostacoli che soprattutto devono fronteggiare aiutano a definire il problema: se tali impedimenti potessero essere diminuiti allora ci sarebbe più innovazione e sviluppo. Un grosso ostacolo è la legge sul lavoro che finisce per scoraggiare molti imprenditori ad assumere più di 15 persone».
Le figure imprenditoriali che tratteggi nel libro oltre ad essere innovative mi sembra che rappresentino un bell´esempio di capitalismo etico. Non è che in Italia il capitalismo sia più etico che altrove?
«Non credo che il capitalismo italiano sia generalmente più etico che altrove. Credo però che la storia del capitalismo italiano sia stata di maggiore confronto rispetto ad altri paesi europei e che in Italia vi sia perciò un diffidenza verso il capitalismo più diffusa che altrove. Così gli imprenditori che mostrano che il capitalismo possa essere etico e co-operativo sono persino più importanti in Italia».
Dell´immigrazione non parli molto nel tuo libro. Mi piacerebbe sapere come vedi la crescita vertiginosa dell´immigrazione: una spinta positiva per l´economia italiana o il rischio di un aumento della conflittualità e di un ulteriore frammentazione del già frammentato consenso sociale che è il fondamento e la forza delle economie emergenti?
«L´Italia era atipica prima del 1990 nel non aver avuto una grande immigrazione: molto meno della Francia o Germania, per esempio. Ora, dal 1990, si è allineata con una percentuale di residenti nati all´estero che è passata da un virtuale 0% della popolazione al quasi 7% di ora. Che è comunque ancora inferiore al livello della Francia e della Germania. Io credo in verità che questo sarà un grande beneficio per la nazione, rompendo il circolo spesso chiuso della società Italiana e fornendo una nuova fonte di nuovo vigore imprenditoriale. Durante la sua storia l´Italia ha spesso avuto fenomeni consistenti di immigrazione, in parte a causa dei suoi non ben definiti confini e perché non esisteva una definizione di “italiano”. Personalmente credo che ci sia sempre un rischio di conflitto quando un gruppo migra verso un altro luogo, ma può essere affrontato e controllato, e tuttavia l´immigrazione va vista in ultima analisi come un fatto positivo».
Tu individui il limite dell´imprenditoria italiana nell´incapacità, sovente, di saper camminare da soli in quanto eternamente dipendente dallo Stato. Ma non è questo il riflettersi del ben più profondo schema della dipendenza cattolica da una figura superiore (il prete, il cardinale, il vescovo, il Papa, il Cristo) che sempre ci deve indicare il da-farsi o il non-potersi-fare. In fondo gli italiani per questo, forse, rimangono un popolo immaturo e popolato di bamboccioni. Confindustria, i sindacati, l´ordine dei giornalisti e le infinite gilde che si moltiplicano all´infinito non sono forse il più chiaro segno di questo transcendens che attraversa tutta la cultura e società italiana per tutta comprenderla?
«In questo caso è difficile per un outsider giudicare in modo competente. Ma la mia interpretazione sarebbe però un po´ diversa. E´ che la storia italiana, con le sue numerose invasioni, cambi di regime e conflitti, ha prodotto un individualismo paradossale: una società dove la gente persegue un´autonomia individuale, creando le proprie realtà e protections in modo da assicurarsi la propria sopravvivenza, ma che anche risponde a questi cambiamenti creando gerarchie e regole per dotarsi di un altro tipo di protection - una protection che di per sé riduce la libertà individuale. C´è una battaglia fra individualismo e rigidità: alcune delle attuali difficoltà che l´Italia si trova ad affrontare in economia nascono appunto da un´eccessiva rigidità».
Concordo con te che l´Italia è un paese culturalmente stantio che manca di una visione globale dell´azione. A mio avviso questo è soprattutto colpa di una sinistra che ha saputo solo vivere e replicare stando all´ombra di Berlusconi senza saper portare contributi nuovi e freschi in termini di idee; vivendo solo di schemi retorici, preconcetti e governata da dinosauri veramente da rottamare ormai. “Sinistra” in Italia ha sempre significato progresso ed innovazione, amore per la cultura… ma dove sono oggi i Gramsci, i Pasolini, i Calvino…?
«Credo che la sinistra abbia seguito Berlusconi non solo nell´autodefinirsi in opposizione a lui, ma anche nel copiare la sua idea artificiale di una politica bi-polare di due grandi blocchi politici. La legge elettorale ora incoraggia questo grazie al “majority premium”. Ma è artificiale: il centro destra è diviso fra nord e sud, mentre la sinistra è divisa fra conservatorismo e progressisti liberali. Convivono nello stesso partito ma non potranno mai andare d´accordo. Questo è il motivo per cui io vedo di buon occhio una riforma della legge elettorale, eliminando il majority premium e riconoscendo che in Italia la politica è frammentata e la riforma richiede la costruzione di un consenso ampio».
Gli esempi che porti di imprenditori, sono imprenditori veri proprio perché completamente sganciati dalla politica, unicamente dediti alla propria azienda. Uno scrittore engagé raramente è un grande scrittore e probabilmente un imprenditore troppo dedito alla politica non è mai un grande imprenditore. Insomma, uno che fa l´imprenditore non può mai stare né a destra né a sinistra ma deve stare con la sua azienda e le sue idee. Ho correttamente interpretato l´idea emersa dai tuoi incontri con gli imprenditori italiani?
«Sì, credo che un businessman debba scegliere: guidare la propria azienda o fare politica. Devono essere o l´uno o l´altro ma mai tutt´e due».
Il tuo libro si intitola “Forza Italia - come ripartire dopo Berlusconi”. Ma davvero tutti i problemi dell´Italia sono da attribuire a Berlusconi?
«No, naturalmente no. Come sostengo nel mio libro Berlusconi è sintomo e causa allo stesso tempo: egli è un esempio estremo di Mala Italia, l´Italia che persegue monopoli e cartelli, che infrange le leggi quando le aggrada e che usa il potere dello Stato per i propri interessi, ma certamente non ha inventato queste caratteristiche che non scompariranno automaticamente e facilmente dopo la sua uscita. Secondo la mia opinione ha però contribuito a diffondere maggiormente questi atteggiamenti, dando esempio dall´apice del governo e stabilendo uno strumento di sistematica distorsione della verità (talora facendo uso di evidente menzogna), supportato dal suo controllo dell´informazione televisiva, che ha minato la verità e il pluralismo».
Da quando hai pubblicato il libro, gli eventi successivi ti hanno in qualche modo portato a riconsiderare qualcosa rispetto alle tesi del libro precedentemente uscito?
«No, non ancora. Gli eventi successivi mi hanno fatto solo approfondire la mia ricerca, sul sistema universitario, per esempio, o sulle discussioni relative al programma “fabbrica Italia” della FIAT».
Bill, ma perché tutto questo amore per l´Italia? Davvero grazie a Berlusconi, come affermi nei ringraziamenti alla fine del libro?
«Berlusconi ha dato il via al processo, attraendo la mia attenzione e obbligandomi in un secondo momento ad un impegno personale. Ma poi l´Italia mi ha sedotto, unitamente ad una crescente emozione di scorrettezza e ingiustizia: che è scorretto ed ingiusto che così tanti italiani siano pessimisti e fronteggino così tanti ostacoli nella loro vita, soprattutto le generazioni più giovani».
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