Una volta mi immaginavo di sparire in modo neoplatonico:
sparire nella luce fattomi di luce.
Dissolvermi in quella luce e per sempre.
Il Dio che avevo pregato, qualunque esso fosse stato, mi
aveva abbandonato e più drammaticamente ancora mi aveva concesso di abituarmi
al suo abbandono.
La potenza che mi aveva posto la disperazione di
quell’assenza era più forte di me.
Ripensavo alla ragazza irlandese dai capelli rossi ed alla
mia stupida idea di pretendere una ragazza più giovane di me.
Mi rendevo conto che esisteva una frattura fra l’Io da me
percepito e l’io del mio corpo.
Quel corpo che vedevo nello specchio non ero io. Non era
quello che io sentivo di me. Davanti a me stava solo un estraneo. Un’immagine
che non mi apparteneva.
Io ero davvero un’altra cosa.
Non ce la facevo più ad essere quello che non ero. Qualunque
cosa fossi divenuto ero divenuto un peso
insopportabile
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Stavo scendendo un gradino più giù verso l’abisso del gorgo
e non lo sapevo.
Nella discesa altre figure avrebbero dovuto accompagnarmi.
Kami non me la ricordavo così. Era diversa dalle foto di
Facebook.
Era bella ma aveva l’aria di una che avesse la sindrome
della principessa sul pisello: high
expectations, indolenza e scontentezza.
Quella sindrome pensai che fosse stata acuita dalla sua immaturità che era
palese e che forse l’aveva sempre spinta a volere e non volere solo e sempre in
relazione a se stessa. Non esisteva altro mondo all’infuori del suo.
Glielo si leggeva in faccia.
La prima volta che eravamo usciti insieme si era fatta
toccare, abbracciare, baciare. Ero sicuro che quando avevo principiato ad
accarezzarle il collo si era eccitata anche se ripeteva Non voglio, non voglio…
Se allora vessi potuto metterle una mano fra le gambe avrei
sicuramente sentito che era bagnata.
I giapponesi erano difficili da decifrare anche quando si
avvicinano a quel livello che noi definiamo di normalità, per di più Kami
tradiva un nodo interiore che avrebbe potuto andare da un senso di ribellione ad una necessità di sottomissione, tipico di
molte giovani donne giapponesi.
-
Io cerco un uomo, di quelli di una volta, severo ed
autoritario. Un uomo buono non è un uomo per me
Quell’affermazione mi lasciò interdetto sentendola venire da
una bocca così giovane
-
Perché un uomo buono non sarebbe l’uomo per te?
-
Perché un uomo buono non è un buon sostegno per una
donna
Il suo corpo era flessibile come un giunco. Se l’afferravi
ne sentivi la flessibilità e la durezza allo stesso tempo.
Il suo carattere era duro come quel corpo.
Il suo cervello era perennemente flessibile: non capivi mai
che pensasse e nemmeno lo indovinavi.
Nelle espressioni era criptica.
-
Ciao Principessa. Sei libera sabato o domenica? Vorrei
portarti a pranzo in un ristorante tipicamente toscano fuori Firenze
Rispose nel suo stile
-
Mi dispiace ci siano un sacco di progetti
Non capii che volesse dire. La lasciai perdere.
In uno dei primi giorni che uscivamo insieme l’avevo invitata a bere qualcosa.
-
Non posso bere -
mi aveva risposto
-
Perché?
-
Se bevo non posso più camminare
-
Hmmmm…non puoi più camminare…interessante…
-
Perché? Che vorresti farmi? – aveva risposto nel suo
accento strascicato e nasale da vera principessa
-
Mettertelo in culo – avrei voluto risponderle ma non lo
feci; avrei dovuto farlo però. Le principesse amano le bestie.
Fu allora che mi raccontò di sua nonna. E quella fu una
delle conversazioni più interessanti che ebbi con lei.
Sua nonna – mi disse – era stata una scrittrice famosa in
Giappone, negli anni antecedenti alla Seconda Guerra Mondiale.
Aveva rappresentato in un certo senso il verismo del
femminismo giapponese di quegli anni.
-
Era una ribelle la mia nonna. Faceva parte di quelle
generazioni che all’inizio del secolo lasciavano la provincia per sciamare nelle
grandi città del Giappone. Soprattutto a Tokyo
-
Da noi quel fenomeno iniziò più tardi, negli anni
Sessanta – lo dissi tanto per dire qualcosa. Fino ad allora la conversazione
era stata piuttosto deprimente e mi ero annoiato.
-
Si trasferivano per cercare lavoro nei numerosi caffè
che nascevano allora, nelle piccole
fabbriche…mia nonna aveva aperto un negozio di abiti ma andò male e
dovette chiudere…ti annoio?
-
No, per niente, anzi… - anzi era una delle poche cose
intelligenti che mi aveva detto fino ad allora
-
Sai che mia nonna era una bella donna?
-
Come te?
-
No, io non sono bella…non mi piaccio
-
Non sei bella?...ma come? Una ha la fortuna di nascere
bella e non si sente bella?
Sorrise un po’ nervosa Kami ma non era convinta.
-
Mia nonna era bella. Ed era fiera, ribelle. Agli uomini
sarebbe piaciuta molto se non avesse avuto un difetto. Aveva un labbro con un
taglio
-
Con un taglio?
-
Cioè era nata così…non so come si dice in italiano
-
Leporino?
-
Aspetta che controllo sul dizionario – tirò fuori un
dizionario elettronico e digitò la parola “leporino” – Sì, sì…leporino,
giusto…un peccato perché era bella. Aveva un bel corpo e, per essere
giapponese, aveva dei seni grandi ed era alta. Mia nonna aveva un sogno:
diventare scrittrice
-
Ci riuscì?
-
Sì. All’inizio non fu facile. Il mondo della
letteratura giapponese era nelle mani degli uomini ma lei cominciò a proporre
un tipo di scrittura autobiografica, tipo diario. Era una novità. E questo le
permise di fare strada come scrittrice. Ma sai perché mia nonna si trasferì a
Tokyo?
-
Non saprei…
-
Cercava una via per il futuro. Cercava un futuro che le
desse rifugio. E sai una cosa strana della mia famiglia?
-
Dimmi tu…
-
Siamo tutti fratelli e sorelle di padri diversi, da generazioni…
-
Di padri diversi?
-
Sì, le madri della mia stirpe forse per un fatto
genetico hanno sempre teso ad accoppiarsi con uomini diversi dopo aver lasciato
quello con cui stavano prima
La guardai meglio. Tutte le stranezze di Kami ora prendevano
una forma ben precisa.
-
Io ed i miei fratelli ci odiamo
-
Quanti fratelli hai?
-
Due. Uno è più piccolo di me, l’altro più grande. Non
ci vogliamo bene. Loro parlano una lingua a me incomprensibile. Loro due sono
come due piante parassite avvinghiate a mia madre. La sfruttano. Le prendono i
soldi. Non fanno nulla…Un giorno però mia madre se n’è andata. Mi ricordo
ancora…era una fredda giornata di febbraio e nevicava…tanti anni fa…è andata a
vivere con un altro uomo. Quel giorno ho smesso di crescere e non l’ho più
voluta vedere…
Kami aveva acqua al posto del sangue. Acqua fredda. Come
l’inverno. Pareva che il sangue non le scorresse nelle vene. Si portava addosso
il freddo di quella neve di febbraio in cui aveva smesso di crescere.
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