sabato 30 aprile 2011

MALAVOGLIA di Pasquale Scimeca



Malavoglia

REGIA: Pasquale Scimeca


ATTORI: Antonio Ciurca, Giuseppe Firullo, Omar Noto, Doriana La Fauci, Greta Tomasello

GENERE: Drammatico

DURATA: 94 min

Inizio verista davvero, con la cruda nascita di un asinello estratto in diretta dal grembo dell’asina. Crudo inizio con l’arrivo degli ormai eterni profughi che eternamente sbarcano sulle nostre coste, e nulla è più verista di questi nuovi disperati in fuga dalle loro disperate terre del Nord Africa.

Antonio (l’ ‘Ntoni del Verga) se ne sta seduto sul molo e mangia un panino. Uno dei disperati fugge dalla nave e lo raggiunge. Antonio gli dà il resto del panino e lo salva dalla polizia. Lo porta dallo zio come schiavo, per travagghiare.

Il disperato si chiama Alef, da Antonio sarà poi chiamato Alfio.

Mentre Alfio comincia a far lo schiavo in Sicilia, Antonio va a Milano (non si capisce per cosa).

Dopo alcune peripezie narrate dal film Antonio ritorna e ricomincia a lavorare come pescatore, ma non è più quello di prima: è più noddico, non si riconosce più nel travagghio, racconta delle sue avventure a Milano con le bottane milanesi, fuma spinelli e fa a botte con tutti, finché non conosce una ragazza che ha un bar e sa anche cantare. Con lei comincerà a comporre canzoni e a musicarle.

Il regista, Pasquale Scimeca, indubbiamente ha davanti la lezione di Luchino Visconti (La terra trema) e fa cinema verista: ambienti miserabili , fotografia dura, dialetto (con sottotitoli), miseria, disperazione, malavita e mare impietoso, sciagure, incubi e debiti. Gli elementi veristi ci sono tutti.

Io un film lo giudico da quanto mi prende. In verità questo mi ha preso ben poco, ma in compenso mi ha annoiato abbastanza.

E’ un film goffo. Tanto movimento (inutile) e poca azione (cioè storia): qui non c’è storia, solo quotidianità di stampo surrealista (= verista?).

La cosa migliore del film sono le musiche, ma a parte quelle il film è, come si dice in spagnolo, un gran rollo “una bella pizza”.

(Un’ annotazione personale: vorrei sapere che film vedono quelli de “Il Giornale” che hanno avuto da ridire su Hereafter di Clint Eastwood e danno 7 ad un film come questo; per tralasciare di altri loro giudizi…)

Voto: 2 stelle

venerdì 29 aprile 2011

La vera incognita della primavera araba saranno le donne (soprattutto per i regimi teocratici)



La vera incognita della primavera araba saranno le donne (soprattutto per i regimi teocratici)



Il problema della primavera araba, ne pone uno centrale che ha una forza dirompente maggiore rispetto alla operata riduzione della sfera religiosa a vantaggio di quella privata, già attiva in qualche maniera attraverso la spinta all'individualità del Web2.0 all'interno dei movimenti rivoluzionari arabi. Il problema si chiama: donna; ovvero l' adeguamento del ruolo della donna all'interno delle rivoluzioni e delle istanze di democratizzazione delle società del mondo arabo.

In questo momento si può solo prendere atto della potenzialità della forza che gioca il ruolo femminile nella struttura delle nuove aspirazioni democratiche dei popoli arabi; nessuno però è in grado di prevedere gli effetti dirompenti che questo nuovo ruolo della donna nella società araba apporterà. E', a nostro avviso, paragonabile ad una bomba atomica ad orologeria.



Le donne hanno preso, e prendono, parte in massa alle varie rivoluzioni arabe e probabilmente senza le donne queste rivoluzioni non avrebbero avuto le stesse conseguenze o per lo meno la stessa portata. Durante la lotta le donne hanno preso coscienza della lotta stessa come anche della loro forza; una forza iconoclastica e caparbia, ostinata (come è la donna) che già i paesi occidentali hanno sperimentato fin dall'inizio del secolo XX, e che ha generato profondi cambi strutturali nelle stesse società industrializzate.

Se c'è una ratio (inarrestabile) in grado di spezzare le icone eterne dei regimi teocratici questa è la rivendicazione caparbia, ostinatamente lenta ma inarrestabile della natura femminile che è ormai sulla strada dell'affermazione anche nei paesi arabi.

E questa sarà la vera rivoluzione degli anni a venire in quei paesi, che produrrà alterazioni che al momento non sono neanche immaginabili e questa forza sarà la grande avversaria di quegli estremismi islamici che nemmeno le armi degli Stati Uniti e l'appoggio europeo sono stati in grado di piegare.

Il germe ha fecondato l'uovo della rivoluzione. Poi l'uovo gradualmente ma prepotentemente si dischiuderà e dilagherà.



venerdì 15 aprile 2011

HABEMUS PAPAM di Nanni Moretti








HABEMUS PAPAM

REGIA: Nanni Moretti








ATTORI: Michel Piccoli, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Franco Graziosi, Camillo Milli


GENERE: Commedia

DURATA: 104 min




Inizio sorprendentemente diverso dai soliti film di Nanni Moretti.

Con musiche sorprendentemente diverse. Tono drammatico e corale.

Non sembrerebbe nemmeno un film di Moretti. Poi però c’è subito una graffiata alla Nanni Moretti primo stile: il giornalista televisivo rompicoglioni e inumano, come in Ecce Bombo, che cerca di intervistare uno dei cardinali mentre in processione si recano verso la Cappella Sistina. Da lì in poi, piano piano, cominciano ad affacciarsi tutti i tic alla Nanni. Tuttavia si può ancora dire che è un film diverso dai soliti film di Nanni Moretti. E per i primi 15 minuti il film fila via bene. All’ “Habemus Papam!” addirittura viene la pelle d’oca: è il climax di un modo nuovo di fare cinema da parte Moretti, come regista.

Ma poi subentra lui, il Nanni attore, mai anacronistico come in questo film.

Inizia la sua solita ormai anacronistica recitazione in un frame completamente nuovo per i toni di dramma umano reale di un uomo (il Papa) che si trova davanti ad un compito che lo terrifica e si sente incapace di assolvere al ruolo. Ma il Nanni attore non sa invece cogliere quello di nuovo che lui stesso ha creato come regista e continua con le sue fisse fuori luogo e con dialoghi fatti di attenzioni a golosità inappropriate (grazie al cielo questa volta ci risparmia almeno la Sacher Torte!) in un film invece che avrebbe una seriosità drammatica da perseguire fino in fondo. Comunque, nonostante l’entrata in scena di Nanni Moretti con il bagaglio stantio delle sue solite 10 battute (un fardello che si tira dietro da vent’anni senza mai rinnovarsi), il frame (cioè il nuovo modo di fare regia) tiene complessivamente bene. Anche perché sa dargli un naturale tono da thriller psicologico, che imprime ritmo al film, con la scomparsa del Papa, che riesce a sfuggire alle forze di sicurezza che lo seguivano in una sua uscita in incognito per Roma, alla ricerca di libertà e guidato dall’ istintivo bisogno di respirare fuori delle mura vaticane per ritrovare, come uno smemorato, la propria identità persa al momento dell’elezione al soglio di San Pietro.

Il Nanni questa volta riesce a non diventare antipatico, ma patetico sì. In tutte le parti del film dove lui compare il film si impatetisce a causa del suo ruolo: un dinosauro fuori della sua epoca.

E allora si assiste alle solite scene alla Nanni. Cardinali che giocano a pallavolo e lui una specie di cerbero che organizza i tornei e si bea del narcisismo tipico del suo personaggio, che, a questo punto, mi fa dubitare che non sia che un calco di quello che è nella vita reale.


Comunque tutto sommato la storia regge. Grazie anche ad un bel Michel Piccolì. Un film innovativo nella regia. Con qualche momento del migliore Nanni, che è pur sempre quello della canzone che coinvolge tutti, i personaggi del film e gli spettatori.


La domanda che mi sorge dopo tutta questa analisi è: ma che ci fa Nanni Moretti in questo film? Ma perché non si limita a fare solo il regista e non smette di recitare? Ormai da venti anni non ci presenta che il solito personaggio con le solite battute.

Come regista mi pare abbia raggiunto una bella maturità di narrazione. Come attore è forse giunta l’ora di appendere le scarpe al chiodo.


Tre stelle.

lunedì 11 aprile 2011

Aboliamo la casta & usciamo dalla UE






Aboliamo la casta & usciamo dalla UE







Accolgo e faccio mio l'allarme della Marcegaglia (http://www.youtube.com/watch?v=n6op3T-mPAY). Ormai non c'è altra strada (anche se in realtà questa è stata da sempre la sola e la unica).
Abbiamo un classe politica, La Casta, egoista, miope, ladra e incurante degli interessi primari del Paese. Bisogna disfarsene praticamente al 90% e ricostruirla da zero. Da destra a sinistra, centro compreso. Nelle cariche politiche devono esserci lavoratori reali, persone che nella vita hanno effettivamente lavorato e che alternino il proprio lavoro all'incarico politico. Basta con i politici di professione, che hanno ormai ampiamente dimostrato di anteporre solo i propri sofismi al bene collettivo (che si chiamino Ruby, case a Montecarlo, pensioni baby a 44 anni, yacht, vacanze a Cortina, appartamenti affittati per cifre ridicole o anche solo e solamente il piacere di dire semplicemente il contrario di quello che ha detto l'altro e vivere all'ombra dell'altro perché è più facile e redditizio che avere un piano economico e strutturale per rilanciare il paese).

Basta dunque con il modello preso a prestito dalla visione cattolica che per aderire alla parola di Dio ci sia bisogno delle indulgenze e della mediazione di una classe clericale. Per aderire al rilancio del paese abbiamo bisogno di un'azione diretta, come propone - mutatis mutandis - la Marcegaglia, che sia in grado di agire direttamente e senza intermediazioni che frenino l'azione.
Non abbiamo bisogno di buro-kratìa né tantomeno di polito-kratìa.
La Casta in nulla si distingue, strutturalmente parlando, da governi come quello dell'Iran, se non che lì vi è una theo-kratìa religiosa qui una privilegio-kratìa laica.
Il modello ce l'abbiamo: i partiti devono diventare come le associazioni consumatori, che fanno battaglie a breve termine su problemi concreti e quotidiani, affrontandoli legalmente e finanziariamente. I partiti devono invece sostenere, con lo stesso metodo, lo sviluppo del paese con la risoluzione dei problemi in tempo reale a breve, medio e lungo termine.

Prendiamo infine esempio dalla primavera dei paesi arabi: usiamo i social media come piattaforme per un rilancio democratico organizzato per combattere qualsiasi forma di casta intermedia.

Davanti alla ondata migratoria che ad arte si sta abbattendo sull'Italia per destabilizzarla (nuovo tentativo dopo quelli degli anni Sessanta e Settanta) rivendico il diritto di ogni cittadino alla difesa personale che al momento, mi pare, gli organi preposti non sono più in grado di garantire e da parte del Governo ci sia l'esigenza di prendere seriamente in considerazione l'uscita dalla UE come forma di protesta, davanti all' arroganza di Paesi come Francia e soprattutto Germania.

sabato 9 aprile 2011

GOODBYE MAMA di Michelle Bonev



Goodbye Mama

REGIA: Michelle Bonev





ATTORI: Michelle Bonev, Licia Nunez, Tatyana Lolova, Nadia Konakchieva, Marta Yaneva.

GENERE: Drammatico

DURATA: 106 m


Inizio triste ma che ancora fa sperare.

In sottofondo la voce della figlia che legge la lettera alla propria madre: ovunque ci troveremo resteremo sempre madre e figlia. Anche se non ci siamo mai amate..

La speranza continua.

Neve. Foresta. Una bella ragazza scende da una corriera e si inoltra tra la neve attraverso la foresta.

Il luogo è impervio.

Allegoria?

Raggiunge un palazzo che all’apparenza ti lascia indeciso fra un hotel in disuso o un ospizio malandato.

Nessuno. La ragazza si china ad una finestrella che dà su uno scantinato e vede dei vecchi malconci maltrattati da infermiere SS.

Lei cerca la nonna Maria.

La direttrice carceriera che la sgama alla finestrella le domanda che stia cercando.

Cerco la nonna risponde la ragazza. Nessuno viene mai qui a cercare i vecchi le risponde la Kapò comunista.

Cambia scena. Vediamo la bella e crudele Jana figlia di Maria cercata dalla nipote nelle scene precedenti, quando 5 mesi prima aveva portato la madre Maria all’ospizio/lager con la speranza che venisse maltrattata a sufficienza e morisse presto per ereditare il suo appartamento.

Quell’ ospizio è un luogo per far diventare i vecchi cadaveri che camminano. Gli danno da mangiare solo maccheroni con uova avariate per farli vomitare e morire presto.

Così parte la storia (che presto però fa capire di essere un mattone peso che ti arriva sullo stomaco) fra flashback che ci parlano della crudele Jana, e dell’infelice vita delle figlie di Jana (e nipoti della nonna Maria) sotto le grinfie della perfida genitrice (che ricorda – e non molto vagamente – Grimilde, la matrigna cattiva di Biancaneve).

Le nipoti vogliono ora togliere la nonna dalla patria potestà della madre per portarla sotto la loro e salvarla dall’ospizio lager, dove è destinata a morte certa.

E’ un film dove i personaggi non sono personaggi ma caratteri, caricature. Gli attori sembrano usciti da un patetico film di Bollywood: non interpretano un ruolo ma un carattere: o buoni o cattivi (senza sfumature). E’ un film pateticamente etnico come i film di Bollywood, un melodrammone noioso e insopportabile, permeato da un realismo socialista preso forse a prestito dalla cinematografia britannica e da un’idea di un giustizialismo della nemesi che lo rende indigesto.

Una regia ed una recitazione schematiche e primitive, lontane dal vero cinema contemporaneo moderno, senza una minima capacità di analisi dei personaggi.

Godibili solo le musiche.

Voto: 1 stella e mezzo.

C'E' CHI DICE NO di Giambattista Avellino


C'è chi dice no

REGIA:

Giambattista Avellino




ATTORI: Luca Argentero, Paola Cortellesi, Paolo Ruffini, Myriam Catania, Claudio Bigagli.

GENERE: Commedia

DURATA: 95 min

Si comincia subito con una stupenda immagine su Firenze ripresa da Piazzale Michelangelo. E si vede la città con Ponte Vecchio al centro nella sua sontuosa bellezza.

Il film si svolge infatti a Firenze. In un grande giornale di Firenze (La Nazione?), in un ospedale di Firenze, nell’università di Legge di Firenze.

Firenze è dunque come la mela di Biancaneve, ci dice il film, bella fuori ma avvelenata dentro. Avvelenata di nepotismo, come tutta l’Italia. Ovvero i meritevoli, quelli bravi non vanno avanti, non fanno carriera. Se sei figlio di un ferroviere non vai da nessuna parte, se invece sei figlio di…”un barone” per esempio, allora fai carriera con la raccomandazione o “segnalazione”, truccando i concorsi o facendo le scarpe a chi è più bravo di te.

E così i bravi ma non raccomandati si riducono a lavorare per una miseria e a fare i precari a vita eterna in attesa di un’ assunzione che non arriverà mai. E la loro vita personale sarà pure complicata dai problemi che si tirano dietro a causa del precariato. Questa è la storia di Massi (Luca Argentero), giornalista di talento che mai viene assunto, Bazzoni (Paolo Ruffini) docente di diritto penale (il cui ufficio all’università è nel cesso – il che potrebbe parere una boutade da film ma invero non è molto lontano dalla realtà) votato al precariato e a sgobbare per quelli che vinceranno i concorsi al posto suo come un kamikaze, e Camuzzi (Paola Cortellesi) che si vede fregare il posto all’Ospedale da un’ australiana solo perché è una supergnocca che sta con il figlio del primario.

Delusi, depressi e soprattutto incazzati si ritrovano ad una cena di ex compagni di classe. Mentre tutti gli altri hanno fatto carriera perché figli di…loro tre invece sono dei falliti.

Decidono così di diventare stalker e rendere un inferno la vita a coloro che gli hanno soffiato il posto. Diventeranno le ombre nere della loro coscienza e fonderanno il movimento dei “pirati del merito”.

Il film è intriso di comicità di un buon livello, infarcita di dialetto fiorentino e livornese. Trovate ottime, veloci e ficcanti. Capace anche di creare suspence. Buoni gli attori. Per cui il film fila via rapido e non annoia affatto. Non disdegna una certa vena romantica (e non poteva essere diversamente essendo nella romantica Firenze).

Un film che consiglio per passare un’ottima domenica pomeriggio in allegria dimenticando i problemi.

Finale “ganzo” (omaggiamo Firenze con una, dopo “bischero”, delle sue parole par excellence) anche se ideologicamente arrendevole.

Tre stelle.

giovedì 7 aprile 2011

3 compagnia telefonica - fregatura numero tre (appunto)



3 compagnia telefonica - fregatura numero tre (appunto!)

Altra fregatura.
Se volete fare un reclamo (scritto) per email, perché avete bisogno di un'evidenza scritta per eventualmente intentarle una causa, dovete accedere alla pagina di 3 (gestione clienti). Dopo un lungo processo di navigazione fra rimandi vari, riuscirete ad arrivare all'email. Naturalmente per accedere all'email nel frattempo saranno già passati almeno (minimo) 5 minuti.
Per fare le mie rimostranze in forma scritta ho così dovuto accedere più volte alla pagina di 3. E ogni volta (allora non capivo il perché fossero così ottusi-ma ora sì: chapeau! sono davvero diabolici!) ti rispondono chiedendoti un'altra email di conferma per chiamarti al cellulare e risolvere il problema. Se vi capita che per un qualche motivo non potete rispondere alla loro chiamata dovete di nuovo accedere alla pagina di 3 e per email richiedere ancora la loro chiamata....insomma tutto questo perché? perché ogni volta che accedete o usate la pagina 3 per navigare vi addebitano un costo.
E badate bene per fare gli aggiornamenti della chiavetta 3 (che funziona malissimo) cosa dovete fare?
Naturalmente accedere alla pagina 3!!

Diabolica 3!! Complimenti!!

3 compagnia telefonica - fregatura numero due


3 compagnia telefonica - fregatura numero due

Circa 3 anni fa ho comprato uno Skyphone 3. Bene recentemente di punto in bianco mi hanno chiamato e

1) in un primo momento mi hanno assicurato che il mio Skyphone è ancora un modello compatibile e che sarebbe bastaro andare sul sito di Skype, mettere il numero del mio cellulare e avrei avuto ancora accesso a Skype

2) in un secondo momento mi hanno di nuovo chiamato e mi detto che il mio Skyphone non era più compatibile e che dunque avrei dovuto comprami un nuovo tipo di cellulare: Iphone, android ecc...

Bene così dopo la fregatura di una chiavetta per internet che non si connette quasi mai o se si connette funziona male e poco ed un cellulare INQ, che dopo averlo comprato scopro che non si può scrivere in nessun'altra lingua che l'italiano nonostante che me lo abbiamo venduto con un settaggio di varie lingue e soprattutto che dopo appena 6 mesi le batterie sono finite, ho ricevuto un'altra fregatura!

E brava 3. Complimenti!!

sabato 2 aprile 2011

LA FINE E' IL MIO INIZIO di Jo Baier




La fine è il mio inizio

REGIA: Jo Baier











ATTORI: Bruno Ganz, Elio Germano, Erika Pluhar, Andrea Osvart, Nicolò Fitz-William Lay


ORIGINALE: Das Ende ist mein Anfang


GENERE: Drammatico

DURATA: 98 min





Il padre, Tiziano Terzani (Bruno Ganz), sta per morire e chiama il figlio, Folco Terzani (Elio Germano), che vive a New York.

Il cerchio, Zen, della sua vita si sta per chiudere ed il figlio da New York si appresta ad andarlo a trovare in un piccolo paesino della Toscana (in alta montagna) dove il padre, dopo le cime dell’Himalaya, si è ritirato a vivere in attesa della morte a causa di un cancro.

Il primo incontro fra i due è sorprendente. Il padre dice di stare bene e che aspetta solo di abbandonare quel corpo che fa acqua da tutte le parti.

Finalmente il padre, che ha fatto sempre da ombra al figlio, e il figlio, il quale fin da piccolo è stato costretto a vivere nel’ombra del padre, hanno tempo per parlarsi e conoscersi. Il figlio deve fargli un’intervista per pubblicare il libro, che poi ha dato origine al film. Comincia con la domanda più diretta, con quella domanda che lo aveva fin ad allora trattenuto: è vero che ti sei abituato all’idea di morire?

Il padre gli risponde che in fondo la vecchiaia (e la malattia) lo ha preparato al distacco dal mondo ma non alla morte e che in verità la morte gli si prospetta come l’unica cosa nuova che la vita può riservargli. Prima la morte era una visione dell’orrore, ora invece si avvicina a quel momento a cuor leggero. Tutti sono morti prima di noi. Che c’è dunque di straordinario nel morire? La terra è un immenso cimitero sui cui la natura vive e fredda e indifferente (in senso molto leopardiano più che buddista). Ma per l’individuo nella morte non c’è un senso.

L’unico senso sono le visioni che a posteriori capisci che ti hanno accompagnato come grandi illusioni (leopardismo): il maggio ’68, la guerra del Vietnam, Hồ Chí Minh, Mao, il comunismo…


Questo è uno dei pochi film che mi ha fatto cambiare idea in corsa: da noioso ad angosciante a bello fino a divenire commovente. Sarà per il continuo confronto fra il corpo giovane del figlio, Folco, e quello cadente e rotto di Tiziano Terzani morente e la bellezza delle montagne e la serenità del paesaggio sullo sfondo, o per la serenità e la soavità della condizione della moglie Angela in confronto all’irruenza nera di Tiziano terzani, o ancora per l’apotropaico e costante ridere e scherzare sulla morte imminente che ti mette in uno stato di disagio e disappunto, perché magari hai un’idea più intimorente della morte?

Non lo so. Certo è un film che ti fa soffrire e non ti lascia sereno.

Nel film vi è uno stupendo Bruno Ganz che però doppiato perde fino al 60% ed un Elio Germano frenato e sacrificato, fino ad essere quasi irriconoscibile senza l’usuale irruenza ma che rivela un’inattesa profondità e fissità.

E' un film molto tedesco nel Konzept, con in mente uno stereotipo bertolucciano della Toscana. Una pellicola molto monologata che sfiora talora un pesante senso di mattone aggravato dalla severa linearità di ripresa e la concettuosità della storia. E tuttavia le immagini hanno una bellezza ed un’eleganza che alla fine ti conquista.

Ma sono soprattutto i dialoghi, il fascino profondo delle parole di Tiziano che rompono la tua diffidenza e ti tirano dentro il film.

E’ un film simile ad un reportage ma cinematografato che vive della magia e della forza filosofica dei monologhi buddisti sui quali Bruno Ganz (questo film senza di lui sarebbe stato ben poca cosa) costruisce il difficile ruolo di Tiziano Terzani.

Questo film è come la Śunyata buddista: un film fermo e senza azione al cui fondo non c’è nulla perché vi è il tutto.


Voto tre stelle e mezzo.

venerdì 1 aprile 2011

BORIS - IL FILM di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo



Boris - Il Film REGIA: Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo








ATTORI: Luca Amorosino, Valerio Aprea, Ninni Bruschetta, Paolo Calabresi, Antonio Catania, Carolina Crescentini, Massimo De Lorenzo, Carlo De Ruggeri, Alberto Di Stasio, Roberta Fiorentini, Caterina Guzzanti, Francesco Pannofino, Andrea Sartoretti, Pietro Sermonti, Alessandro Tiberi, Giorgio Tirabassi, Karin Proia, Massimiliano Bruno, Claudio Gioé


GENERE: Commedia

DURATA:108min




René è un regista televisivo che ha fatto tanta merda e finalmente vuole fare Cinema. Ma il Cinema, ovvero il produttore Lopez, gli impone una scena al rallentatore del giovane Papa Ratzinger in un campo fiorito in piena estate. Quella scena è troppo per chi, come lui, ha ambizioni d’Arte e non sa, o non vuole sapere, che nel cinema d’Arte c’è ben poco. Anzi l’Arte nuoce al cinema, perché l’Arte non si vende. L’Arte rende negativi e tristi. Il cinema da cassetta (il cinepanettone) invece rende positivi e felici. Essere stupido fa bene alla vita ed al portafoglio. Così René rifiuta di girare la scena. Manda a quel paese il produttore Lopez e finisce a fare una vita da povero in canna (da artista) fuori dal mondo e lontano dal cinema e dalla TV.

Finisce a vedere uno di quei tanti film cinepanettoni dove si è volgari, si scoreggia, si ammicca sessualmente ma si ride.

E’ il punto più basso della sua vita.

Un giorno però Sergio, uno della vecchia produzione, gli propone di fare un film sul bestseller italiano “La casta” di cui ha i diritti, che però gli scadono fra due mesi. Allora Renè inizia una corsa contro il tempo per cercare lo sceneggiatore.


Incontra sceneggiatori a catena, uno più pazzo dell’altro. E fra un incontro e l’altro incontra anche la mamma per farsi dare cento euro. Finalmente sceglie quelli di “Sceneggiatura Democratica” dei godoni che hanno rinserrato in un bugigattolo degli schiavetti a scrivere notte e giorno per loro.

E’ l’occasione d’oro per René. Finalmente può fare Cinema vero. Il cinema impegnato. Può finalmente fare Arte!

Licenzia tutta la vecchia troupe per prenderne una nuova con una nuova produzione (e per poco non viene menato dai vecchi compàri e collaboratori).


Non sarà forse un film da cassetta ma sicuramente è un bel modo nuovo di fare cinema seppur sempre con lo stilema (stilemi) televisivo. E’ un film dove c’è brio, comicità, e ha lo spessore giusto per rendere meno irritante il trionfo della stupidità che ormai è parte integrante della nostra vita quotidiana e da cui non si può sfuggire, ma che in fondo non è nemmeno un fatto poi così negativo.

“Boris” è in certo senso la resa del cinema d’impegno davanti al cinepanettone, con la consapevolezza che in fondo se sei cosciente di quello che fai non è poi così male farlo.

Non so perché ma lo stile del film mi ricorda le canzoni di Ivan Graziani, che erano intelligenti ma cantate con una voce stridula e un po’ cretina. Eppure oggi, ad ascoltarle, quelle canzoni son più belle di allora. E chissà, forse fra venti anni anche il cinepanettone non sarà poi male come abbiamo pensato oggi. Diverrà un cult, come i film di Totò o quelli di Banfi? Chi può dirlo…


Ottimo Francesco Pannofino.


Mi sbilancio: tre stelle e mezzo.