sabato 8 ottobre 2011

IL VILLAGGIO DI CARTONE di Ermanno Olmi


Il villaggio di cartone

REGIA: Ermanno Olmi

ATTORI: Michael Lonsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich, El Hadji Ibrahima Faye.

GENERE: Drammatico

DURATA: 87 min


Una chiesa viene chiusa. Gli operai entrano. Portano via tutto. Le statue della Madonna e dei santi. Viene anche asportato il Crocifisso che viene rimosso calandolo dall’alto.

Il parroco (senza nome – tutti i personaggi sono senza nome nel film) vede svanire il senso della sua vita, del suo lavoro di cinquanta anni e forse anche della sua fede.

Perché la chiesa venga chiusa non si sa. Si suppone che lo sia per mancanza di fedeli ed anche, probabilmente, per ristrettezze economiche.

Il parroco è deciso a non andarsene e a non dimenticare. In solitudine parla da solo a voce alta per farsi compagnia in attesa della morte che pare imminente.

Ma poi…nottetempo…arrivano loro…i clandestini ricercati da una polizia e da uno stato che pare uno stato nazista e non quello italiano (probabilmente Olmi sovrappone il ricordo dell’Olocausto e degli ebrei salvati da cristiani di buona volontà ad una situazione politicamente e storicamente ben diversa creando una situazione irreale e urtante).

Sotto una pioggia incessante e continua, punteggiata da rumori di sirene della polizia elicotteri spari e fari che sembrano bucare il cielo in cerca di non si sa che, con dialoghi ridotti all’osso e con scene da tragedia greca si entra nella diaspora di questi immigrati: bambini affamati, facce mute che non chiedono, feriti, uomini e donne disperati. Fra di loro ci sono terroristi ma anche uomini di buona volontà e pronti al dialogo...

Un film troppo lento per essere un film ma con il passo giusto per essere un pezzo di teatro. Troppa esagerazione di recitazione per un film che però sarebbe adeguata in teatro.

Insomma un ottimo pezzo da teatro forse ma un film dove mi sono davvero annoiato.

E irritato.

Se è vero che il film tratta il tema di un dio muto davanti alla tragedia dell'uomo, un tema moderno, è altrettanto vero che questo voler paragonare l’Italia ad uno stato nazista non mi trova in nessun modo d’accordo. Ancor meno d’accordo con l’idea che solo il buonismo ci può salvare.

L’Italia non è la Germania di Hitler e gli italiani mi sembrano ben troppo occupati in problemi ben più seri che avere il tempo per essere nazisti e razzisti. E il buonismo non salva un popolo anzi lo porta alla catastrofe. E l’Italia che è marcia di buonismo ne è l’esempio migliore.

Quello che ci vuole per risolvere i problemi son leggi giuste, eque e chiare, che tutti devono rispettare, chiunque si trovi sul territorio italiano e di qualunque colore e credo sia.

Il buonismo porta sempre alla deregulation e di deregulation in Italia ce n’è anche troppa.

Negli intellettuali italiani c’è innato un senso di masochismo: tutti gli altri sono buoni, solo noi italiani siamo cattivi. Se vogliamo salvarci allora dobbiamo essere buoni con l’altro e fargli fare quello che vuole (e difatti nel film c’è un gruppo terrorista che nessuno ferma anche se tutti sanno: perché? fermarlo sarebbe da razzisti?).

Negli intellettuali italiani c’è pure innato il catastrofismo: condannare senza mai dare soluzioni.

La soluzione è costruire una nuova classe dirigente preparata, competente, creativa ed innovativa. E queste qualità non hanno colore né credo. Ma solo la voglia di mettersi insieme e collaborare per creare regole valide per tutti: il biglietto in treno lo devono pagare tutti e non solo gli italiani; per la strada tu hai il diritto di fermarmi per convincermi a comprare ma io ho anche il diritto di camminare senza essere disturbato ogni cinque minuti dovunque vada.

Film noioso e pretenzioso. Non bastano solo belle immagini per fare un film, ci vuole anche una visione chiara delle cose e non supposte frasi ad effetto che hanno l’effetto di slogan pubblicitari: 2 stelle.

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