domenica 22 maggio 2011

La possessione di Anneliese






ANNELIESE





Il rosario era lì a pochi centimetri da lei. Anneliese si sforzò, tentò ancora di afferrarlo. Le era caduto quasi sotto il tavolo mentre pregava.

Perché non ci riusciva? Perché?

Si allungò ancora. Tentò di nuovo.

C’era qualcosa nel mezzo fra lei e il rosario. Qualcosa impalpabile e impenetrabile. Come una massa. Un volume. Un’energia, che la teneva lontana dal rosario. Le impediva di raccoglierlo.

Qualcosa avanzò verso di lei. La avvolgeva. Le stava intorno. Le parlava. Ne sentiva la voce. Anneliese si contorse su quella sedia. Cercò di evitare quel qualcosa. Si alzò. Camminò. Andò verso la finestra. Ma ricevette una spinta e cadde per terra. Si raggomitolò sotto il tavolo delle colazioni dell’hotel e cominciò a piangere a pochi centimetri dal rosario, inarrivabile. Era troppo forte, non ce la faceva a reagire a quella forza. Ansimava come un cane e si contorceva in preda ad una crisi epilettica.

- Anneliese! Che fai qui? – era entrato suo padre in pigiama che l’aveva dapprima cercata in camera.

Anneliese gli si gettò fra le braccia. Cercò rifugio nelle braccia del padre.

- Ho sentito delle voci, qui attorno…

- Cosa?

Il padre la mise sulla sedia. La guardò davvero preoccupato.

- Meno male che mi sono alzato io prima della mamma. Altrimenti chissà che sarebbe stato…

- Mi dispiace – e gli si gettò tra le braccia poggiando la sua guancia su quella del padre. Era sudata, sconvolta e dalla sua bocca usciva un odore nauseante.

Il padre la sollevò e la prese sulle sue braccia come la prendeva da bambina e mentre la riportava in camera Anneliese gettò ancora uno sguardo indietro verso , dove prima erano le voci.

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Erano passate circa due settimane da quell’ ultimo fenomeno che l’aveva gettata di nuovo nella depressione più nera. Ora in treno ritornando a Würzburg osservava il rosario e si ricordava di quella giornata in albergo che le era caduto per terra e non riusciva più a riprenderlo. Eppure era un rosario da poco. Gliel’aveva comprato sua madre in uno di quei negozi vicino alla chiesa di San Damiano, in Italia. Con la mente rivide tutta quella sera. Il pellegrinaggio alla chiesa. La fiaccolata lungo la scalinata erta nella penombra del tramonto, su fino alla chiesa. Il freddo pungente che mordeva il viso. In lontananza i cani che abbaiavano. E la passeggiata notturna con la sorellina per l’antico cimitero alla scoperta delle tombe più vecchie a leggere i nomi dei morti: Wolfgang, Ruth, Martin, Gregorius, Elisabeth…con in mano una candela che mettevano a pochi centimetri dai nomi scolpiti o dipinti sulla lapide. Tutto era stato calmo e normale. La sera prima di dormire aveva anche preso le pasticche come le avevano ordinato tutti quei medici. Sebbene la facessero stare male, la estraniassero dalla realtà, la isolassero dal mondo e da tutti, le prendeva quelle pasticche.

Si ricordò anche della mattina dopo quando aveva cercato di entrare nel santuario e qualcosa gliela aveva impedito. Si era fatta forza. Ma una forza superiore alla sua glielo aveva impedito. Il terreno sotto i suoi piedi bruciava, come se ci fosse il fuoco…

Si voltò indietro ed osservò i binari che si lasciava indietro il trenino per Würzburg. Si allontanavano veloci come i suoi ricordi.

Si ricordò una frase che quella sera le aveva detto sua sorellina:

- Hai davvero pregato La Santa Barbara da Weigand, in chiesa?

- Sì, certo

- Credi che ti risponderà?

Già, che le avrebbe risposto? Che risposte poteva avere? Erano anni che non aveva risposte, fin da quando era cominciato.

- Oh Signore, oh Signore dammi la mia croce. Quella sì la porterò ma non quella, quella no! Ti prego Signore

Quella le era apparsa al sanatorio.

Dopo l’operazione alle tonsille aveva contratto un’infezione tubercolotica e aveva dovuto lasciare la scuola.

- Quest’anno non ci sarò alla Messa della Notte Santa, papà

Suo padre l’aveva guardata, poi aveva guardato sua moglie.

- Quest’anno non ci sarò per la Bescherung Rosalinda – aveva poi detto alla sorellina abbracciandola forte.

Il padre le aveva aperto la porta, aveva preso le valigie e con le lacrime agli occhi le aveva detto: - Non importa Anneliese se non ci sarai, con il pensiero ti saremo sempre vicini. Come sempre. Sarai sempre qui con noi, a tavola lasceremo un posto per te il 24…ma ora andiamo Anneliese, andiamo o faremo tardi.

Anneliese cominciò a tossire. Tossiva così forte che pareva che i polmoni le si stessero per spaccare. Poi sentì in bocca il sapore amaro del sangue.

Il viaggio era lungo Da Klingenberg dovevano raggiungere Mittelberg in Austria. Per raggiungere Mittelberg avrebbero avuto bisogno più o meno di 4 ore. Partirono nel primo pomeriggio.

Al Sanatoriium di Mittelberg arrivò verso sera, dopo aver viaggiato su per le strada che corre quasi dritta fino a Mittelberg dopo aver attraversato Riezlern e Hirschegg. Il Sanatorium si trovava un po’ fuori del paese, leggermente più in alto rispetto al paese che si appoggia ai piedi della montagna. Dappertutto era neve. Avevano cominciato ad incontrare la neve dopo München e non li aveva più lasciati fino a Mittelberg.

Su a Mittelberg l’aria era davvero fredda, ma si poteva sentirne la purezza che ti entrava subito nei polmoni.

- Quest’aria ti farà bene Anneliese- disse il padre.

Dopo la registrazione il padre l’aveva accompagnata al reparto con un groppo alla gola. Si erano guardati a lungo poi l’aveva abbracciata con le lacrime agli occhi. Ma non aveva pianto. Un uomo tedesco non piange.

Quando Anneliese entrò in camera trovò delle ragazzine, che subito le parvero piuttosto stupide, che ridacchiavano dei dottori e delle infermiere. Quando Anneliese entrò si zittirono e la guardarono con un senso di rispetto. Quasi timore.

Piano piano il garrulo cicaleccio delle ragazzine si spense. Si spensero anche le luci. E tutto il reparto piombò in un silenzio profondo.

Anneliese si sentì avvolta dall’oscurità. Ebbe paura. Allora afferrò il rosario e cominciò a pregare con trasporto. Cominciò a pensare a casa sua. A sua madre alla sua sorellina e soprattutto a suo padre ch era di nuovo in viaggio.

Ora sicuramente erano tutti in cucina che pregavano recitando il rosario. In quell’atmosfera della cucina ci si sentiva sicuri, protetti, come se il mondo ti desse un senso di sicurezza, come se il mondo ti volesse amare e non farti del male.

Le palline del rosario le scivolavano veloci fra le dita. Pensava alla famiglia, alla rasserenante atmosfera della cucina che la sottraeva a quella tenebra che ora l’avvolgeva e pareva soffocarla.

Ave o Maria, piena di grazia.

Il signore è con te.

Tu sei benedetta fra le donne

E benedetto è il frutto del tuo seno

…..

Ave o Maria, piena di grazia.

Il signore è con te.

Tu sei benedetta fra le donne

…..

Prega per noi peccatori

Adesso e nell’ora della nostra morte

….

Ave o Maria, piena di grazia

…..

Il signore è con te

Tu sei benedetta fra le donne

E benedetto è il frutto del tuo seno

….

Le labbra ed il cuore le erano divenute un tutt’uno. Si sentì entrare in una grande corrente, che la portava lontano, lontano da lì, lontano dalle tenebre. Le sue mani parevano bruciare, parevano correre su quel rosario come impazzite. Alla fine le caddero sulle ginocchia spossate.

- Sono una campana – pensò – sono una campana che suona per la lode di Dio

Intorno la avvolgeva un’atmosfera di dolcezza e beatitudine. Guardò fuori, oltre la finestra verso le montagne bianche, cariche di neve, sperando quasi che quella dolcezza fosse entrata da lì.

Non aveva notato prima quanto erano belle quelle montagne, nel viaggio l’aveva assalita una cupezza che non l’aveva mai abbandonata e l’aveva tenuta in ostaggio per tutta la strada finché non erano giunti al Sanatorium.

- Anneliese! Anneliese! Sveglia! Che ti succede? Stai bene?

La luce era di nuovo accesa e una di quelle sciocche ragazzine la stava scuotendo. La sua voce era terribilmente alta. Vide davanti a sé due occhi sgranati ed una faccia impaurita.

- Wos is’n mit dir los?

- Nix! Pregavo – rispose Anneliese con una dolcezza che subito disarmò la ragazza.

- Vedo – le rispose ora più calma ma sempre un po’ impaurita la ragazza – ma che avevi alle mani?

- Le mani?

- Ja Bitte le tue mani. Ti stavamo guardando. Era come se tu avessi dei crampi alle mani oder was? Come artigli. Come il mio gatto quando graffia le porte – insisté la ragazzina

Anneliese si guardò le mani, ma tutto le sembrava normale. Solo il rosario le parve più bello di prima. Aveva una luce diversa. Come la luce delle montagne fuori della finestra. La luce bianca della neve di notte.

- Come se tu avessi zampe e non mani…hai degli occhi strani. Prima mi erano sembrati celesti, ma ora mi sembrano neri. Anzi direi nerissimi.

- Non essere stupida, i miei occhi sono celesti. Sono sempre stati celesti. Ma che dici?

- No Anneliese…i tuoi occhi sono neri.

Anneliese si sentiva sempre circondata da quell’atmosfera di dolcezza e beatitudine, da quella luce che aveva visto nel rosario e che le carezzava tutto il corpo. I discorsi di quella ragazzina la disturbavano. Non voleva che qualcuno la tirasse via da quel mondo in cui si era calata.

Sì alzò di controvoglia e tuttavia andò al bagno.

Quando si vide nello specchio ebbe quasi paura. I suoi occhi erano davvero divenuti scuri. Scuri come l’acqua nel pozzo di Oma Frÿg, nel giardino davanti casa. Ma la sua faccia soprattutto. Era rosea, sana. Un carnato colorito. Di una persona che sta davvero bene e non di una che è finita nel santorio.

- Lasciatemi sola vi prego. Vi siete sbagliate – disse Anneliese rivolgendosi alle ragazze che nel frattempo si erano tutte avvicinate al suo letto

-

Lei voleva star sola. Sperava ancora di gustare quel senso di beatitudine, quell’odore di violette

che l’aveva circondata. Sperava ancora di rivedere quella luce che ancora scaturiva dal rosario

- Dev’essere la Santa Barbara da Weigand che mi aiuta, che intercede presso la Beata Vergine – pensava dentro di sé Anneliese, coricandosi di nuovo e tirandosi le coperte fin sopra la testa.

- Su, dài sbrigati, vestiti che oggi vai a Kempten – disse l’infermiera la mattina dopo entrando in bagno mentre Anneliese si stava lavando i denti

- Io vado a Kempten? Perché?

- Vogliono vedere che c’è che non funziona nella tua testa bambina mia

Anneliese si sentì toccata ed arrossì. Non le piaceva essere presa alla sprovvista a quel modo da quella gente che la trattavano come una bambola di pezza. Nessuno deve essere trattato come trattavano lei. Nessuno. Ti prendono il sangue, ti ficcano aghi dappertutto, ti mettono elettrodi appiccicandoli con una pasta schifosa che nemmeno va via quando lavi i capelli. Sei lì come un pezzo di carne. Non conti nulla, non puoi dire nulla. Ma è rispetto per il malato, per l’essere umano questo?

- Vorrei tanto chiudere gli occhi Vergine Maria e riaprirli quando tutto questo fosse finito e per sempre. Come un sogno. Perché i sogni finiscono sempre

Gli esami fatti dal dott. Lűther non evidenziarono nulla di particolare. L’EEG era praticamente normale ad eccezione di alcune onde tetha e delta sparse qua e là.

Il suo colorito roseo si manteneva e quindi tutto faceva prevedere che presto l’avrebbero rimandata a casa.

Ma questo lo pensava Anneliese perché il dott. Lűther non le disse niente. Si limitò a farle l’esame e poche altre domande. Poi fu di nuovo caricata sull’ambulanza e riportata a Mittelberg verso l’ora di pranzo.

Le furono date delle medicine e fu messa a letto subito dopo pranzo.

Ad Anneliese in fondo non dispiacque. Tirò fuori dal cassetto il rosario. Nascose le mani sotto le coperte e chiuse gli occhi. Voleva ancora avere la visione della notte prima. Cominciò a pregare con il suo solito fervore. Si sentiva piano piano trasportare via verso quella terra indefinita che aveva attraversato la notte precedente. Finalmente fuggiva da quel mondo che non aveva nessun rispetto per lei, che la maneggiava e la studiava, dove lei non aveva il diritto di parola. Fuggiva dal sanatorio, fuggiva dalla malattia…

Le sue mani parevano bruciarle.

- Voglio toccare il tuo mantello Vergine Maria. Voglio sentire il tuo profumo Santa Madre di Dio…

-

Ma d’improvviso, di lontano, per un attimo le comparve una faccia enorme, orribile e spettrale. Fu un attimo, poi tutto scomparve. Neanche il tempo di vederla e tutto era scomparso.

Ma dietro si era lasciata un senso di gelo. Di una paura gelida che attanagliò Anneliese, immobilizzata nel letto con le mani rattrappite che andavano spezzando il rosario

- E’ dentro di me…è dentro di me…è dentro di me

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