sabato 28 maggio 2011
CORPO CELESTE di Alice Rohrwacher
Corpo Celeste
REGIA:Alice Rohrwacher
ATTORI: Yle Vianello, Salvatore Cantalupo, Pasqualina Scuncia, Anita Caprioli, Renato Carpentieri.
GENERE: Drammatico
DURATA: 98 min
Il film inizia come il suo messaggio centrale: nel buio. Una processione al buio fra sassi e discariche.
Si fa giorno e il giorno ci rivela una povertà squallida: quella della periferia di Reggio Calabria. Povero quanto semplice è il linguaggio degli sparuti fedeli lì raccoltisi nottetempo, come quello del film che parla un linguaggio essenziale e scarno: quello delle immagini che rivelano miseria e solitudine. Si ode solo dialetto e chiacchiere corali dei fedeli, riuniti in quel luogo-non-luogo per un evento religioso in nome di Maria.
Parla Don Mario, il parroco (altro personaggio essenziale e scarno nel linguaggio e nel modo di vivere): questo è un anno speciale perché il vescovo Giorgio prenderà parte alla cerimonia.
Si aspetta perciò in un silenzio imbarazzato dallo squallore del luogo l’arrivo del vescovo e quando finalmente arriva le fanfare si accendono.
Periferie scalcinate, franose e petrose. Fangose. Gelide come l’inverno che tiene fra i suoi artigli Reggio Calabria. Ci ripetono le immagini.
L’unico momento di calore sono le lezioni di catechismo, che insegna la religione della peggiore specie, quella figurata da immagini edificanti e melliflue, di santi e madonne, con un bel “cazzo!” buttato lì dall’ insegnante mentre si accalora cercando di spiegare ciò che non dovrebbe più essere spiegato (in quella maniera).
La camera gira all’interno della famiglia di Marta (Yle Vianello), che compra unicamente i pesci dell’Atlantico perché nel Mediterraneo ci affogano troppi marocchini.
Poi di nuovo si torna alle periferie, alla speculazione edilizia, ai quartieri dormitorio, alla miseria e alla solitudine (temi insistiti per tutto il film). Ma c’è la Madonna che ci tiene a galla e non ci fa affogare in questa brutturia, e il catechismo che unisce i ragazzi nella parrocchia, prima che anch’essi, fatta la cresima, fuggano dalle stolterie di una religione bugiarda (questa Calabria dimenticata sicuramente dallo stato lo è probabilmente anche dalla Madonna - sembra dire la Rohrwacher).
In tutta questa cornice di depressione e squallore si svolge la storia del film (che poi non è una storia). La storia di Marta (certamente una ragazzina radicale che non ama le falsità) che si prepara alla cresima durante un inverno rigido.
Un film peso, che procede a scatti, con scene sfilacciate, di una vita troppo quotidiana e misera e ci parla di una Chiesa che ancora persevera ad appoggiare certi politici con metodi democristiani che magari pensavamo estinti.
Buona la regia della Rohrwacher. Grande la piccola Yle Vianello! (che assomiglia sfacciatamente alla Rohrwacher).
Beh, è un film che mi ha fatto soffrire molto. Irritato. E più volte sono stato sul punto di andarmene senza aspettare la fine. Ma il finale ha ripagato la mia imposizione di rimanere incollato alla sedia, perché è un finale molto sentito e dichiara pubblicamente che la Chiesa ci ha ingannato; e che per secoli ha falsificato le parole di un Gesù, che certo non era quello dei Vangeli (né tantomeno quello del catechismo!), con litanie e edificazioni che null’altro erano che pure menzogne. E forse questo è il senso della scena finale, che in verità non ho capito.
Voto: due stelle e mezzo.
domenica 22 maggio 2011
La possessione di Anneliese
Il rosario era lì a pochi centimetri da lei. Anneliese si sforzò, tentò ancora di afferrarlo. Le era caduto quasi sotto il tavolo mentre pregava.
Perché non ci riusciva? Perché?
Si allungò ancora. Tentò di nuovo.
C’era qualcosa nel mezzo fra lei e il rosario. Qualcosa impalpabile e impenetrabile. Come una massa. Un volume. Un’energia, che la teneva lontana dal rosario. Le impediva di raccoglierlo.
Qualcosa avanzò verso di lei. La avvolgeva. Le stava intorno. Le parlava. Ne sentiva la voce. Anneliese si contorse su quella sedia. Cercò di evitare quel qualcosa. Si alzò. Camminò. Andò verso la finestra. Ma ricevette una spinta e cadde per terra. Si raggomitolò sotto il tavolo delle colazioni dell’hotel e cominciò a piangere a pochi centimetri dal rosario, inarrivabile. Era troppo forte, non ce la faceva a reagire a quella forza. Ansimava come un cane e si contorceva in preda ad una crisi epilettica.
- Anneliese! Che fai qui? – era entrato suo padre in pigiama che l’aveva dapprima cercata in camera.
Anneliese gli si gettò fra le braccia. Cercò rifugio nelle braccia del padre.
- Ho sentito delle voci, qui attorno…
- Cosa?
Il padre la mise sulla sedia. La guardò davvero preoccupato.
- Meno male che mi sono alzato io prima della mamma. Altrimenti chissà che sarebbe stato…
- Mi dispiace – e gli si gettò tra le braccia poggiando la sua guancia su quella del padre. Era sudata, sconvolta e dalla sua bocca usciva un odore nauseante.
Il padre la sollevò e la prese sulle sue braccia come la prendeva da bambina e mentre la riportava in camera Anneliese gettò ancora uno sguardo indietro verso lì, dove prima erano le voci.
------------------------------------
Erano passate circa due settimane da quell’ ultimo fenomeno che l’aveva gettata di nuovo nella depressione più nera. Ora in treno ritornando a Würzburg osservava il rosario e si ricordava di quella giornata in albergo che le era caduto per terra e non riusciva più a riprenderlo. Eppure era un rosario da poco. Gliel’aveva comprato sua madre in uno di quei negozi vicino alla chiesa di San Damiano, in Italia. Con la mente rivide tutta quella sera. Il pellegrinaggio alla chiesa. La fiaccolata lungo la scalinata erta nella penombra del tramonto, su fino alla chiesa. Il freddo pungente che mordeva il viso. In lontananza i cani che abbaiavano. E la passeggiata notturna con la sorellina per l’antico cimitero alla scoperta delle tombe più vecchie a leggere i nomi dei morti: Wolfgang, Ruth, Martin, Gregorius, Elisabeth…con in mano una candela che mettevano a pochi centimetri dai nomi scolpiti o dipinti sulla lapide. Tutto era stato calmo e normale. La sera prima di dormire aveva anche preso le pasticche come le avevano ordinato tutti quei medici. Sebbene la facessero stare male, la estraniassero dalla realtà, la isolassero dal mondo e da tutti, le prendeva quelle pasticche.
Si ricordò anche della mattina dopo quando aveva cercato di entrare nel santuario e qualcosa gliela aveva impedito. Si era fatta forza. Ma una forza superiore alla sua glielo aveva impedito. Il terreno sotto i suoi piedi bruciava, come se ci fosse il fuoco…
Si voltò indietro ed osservò i binari che si lasciava indietro il trenino per Würzburg. Si allontanavano veloci come i suoi ricordi.
Si ricordò una frase che quella sera le aveva detto sua sorellina:
- Hai davvero pregato
- Sì, certo
- Credi che ti risponderà?
Già, che le avrebbe risposto? Che risposte poteva avere? Erano anni che non aveva risposte, fin da quando era cominciato.
- Oh Signore, oh Signore dammi la mia croce. Quella sì la porterò ma non quella, quella no! Ti prego Signore
Quella le era apparsa al sanatorio.
Dopo l’operazione alle tonsille aveva contratto un’infezione tubercolotica e aveva dovuto lasciare la scuola.
- Quest’anno non ci sarò alla Messa della Notte Santa, papà
Suo padre l’aveva guardata, poi aveva guardato sua moglie.
- Quest’anno non ci sarò per
Il padre le aveva aperto la porta, aveva preso le valigie e con le lacrime agli occhi le aveva detto: - Non importa Anneliese se non ci sarai, con il pensiero ti saremo sempre vicini. Come sempre. Sarai sempre qui con noi, a tavola lasceremo un posto per te il 24…ma ora andiamo Anneliese, andiamo o faremo tardi.
Anneliese cominciò a tossire. Tossiva così forte che pareva che i polmoni le si stessero per spaccare. Poi sentì in bocca il sapore amaro del sangue.
Il viaggio era lungo Da Klingenberg dovevano raggiungere Mittelberg in Austria. Per raggiungere Mittelberg avrebbero avuto bisogno più o meno di 4 ore. Partirono nel primo pomeriggio.
Al Sanatoriium di Mittelberg arrivò verso sera, dopo aver viaggiato su per le strada che corre quasi dritta fino a Mittelberg dopo aver attraversato Riezlern e Hirschegg. Il Sanatorium si trovava un po’ fuori del paese, leggermente più in alto rispetto al paese che si appoggia ai piedi della montagna. Dappertutto era neve. Avevano cominciato ad incontrare la neve dopo München e non li aveva più lasciati fino a Mittelberg.
Su a Mittelberg l’aria era davvero fredda, ma si poteva sentirne la purezza che ti entrava subito nei polmoni.
- Quest’aria ti farà bene Anneliese- disse il padre.
Dopo la registrazione il padre l’aveva accompagnata al reparto con un groppo alla gola. Si erano guardati a lungo poi l’aveva abbracciata con le lacrime agli occhi. Ma non aveva pianto. Un uomo tedesco non piange.
Quando Anneliese entrò in camera trovò delle ragazzine, che subito le parvero piuttosto stupide, che ridacchiavano dei dottori e delle infermiere. Quando Anneliese entrò si zittirono e la guardarono con un senso di rispetto. Quasi timore.
Piano piano il garrulo cicaleccio delle ragazzine si spense. Si spensero anche le luci. E tutto il reparto piombò in un silenzio profondo.
Anneliese si sentì avvolta dall’oscurità. Ebbe paura. Allora afferrò il rosario e cominciò a pregare con trasporto. Cominciò a pensare a casa sua. A sua madre alla sua sorellina e soprattutto a suo padre ch era di nuovo in viaggio.
Ora sicuramente erano tutti in cucina che pregavano recitando il rosario. In quell’atmosfera della cucina ci si sentiva sicuri, protetti, come se il mondo ti desse un senso di sicurezza, come se il mondo ti volesse amare e non farti del male.
Le palline del rosario le scivolavano veloci fra le dita. Pensava alla famiglia, alla rasserenante atmosfera della cucina che la sottraeva a quella tenebra che ora l’avvolgeva e pareva soffocarla.
Ave o Maria, piena di grazia.
Il signore è con te.
Tu sei benedetta fra le donne
E benedetto è il frutto del tuo seno
…..
Ave o Maria, piena di grazia.
Il signore è con te.
Tu sei benedetta fra le donne
…..
Prega per noi peccatori
Adesso e nell’ora della nostra morte
….
Ave o Maria, piena di grazia
…..
Il signore è con te
Tu sei benedetta fra le donne
E benedetto è il frutto del tuo seno
….
Le labbra ed il cuore le erano divenute un tutt’uno. Si sentì entrare in una grande corrente, che la portava lontano, lontano da lì, lontano dalle tenebre. Le sue mani parevano bruciare, parevano correre su quel rosario come impazzite. Alla fine le caddero sulle ginocchia spossate.
- Sono una campana – pensò – sono una campana che suona per la lode di Dio
Intorno la avvolgeva un’atmosfera di dolcezza e beatitudine. Guardò fuori, oltre la finestra verso le montagne bianche, cariche di neve, sperando quasi che quella dolcezza fosse entrata da lì.
Non aveva notato prima quanto erano belle quelle montagne, nel viaggio l’aveva assalita una cupezza che non l’aveva mai abbandonata e l’aveva tenuta in ostaggio per tutta la strada finché non erano giunti al Sanatorium.
- Anneliese! Anneliese! Sveglia! Che ti succede? Stai bene?
La luce era di nuovo accesa e una di quelle sciocche ragazzine la stava scuotendo. La sua voce era terribilmente alta. Vide davanti a sé due occhi sgranati ed una faccia impaurita.
- Wos is’n mit dir los?
- Nix! Pregavo – rispose Anneliese con una dolcezza che subito disarmò la ragazza.
- Vedo – le rispose ora più calma ma sempre un po’ impaurita la ragazza – ma che avevi alle mani?
- Le mani?
- Ja Bitte le tue mani. Ti stavamo guardando. Era come se tu avessi dei crampi alle mani oder was? Come artigli. Come il mio gatto quando graffia le porte – insisté la ragazzina
Anneliese si guardò le mani, ma tutto le sembrava normale. Solo il rosario le parve più bello di prima. Aveva una luce diversa. Come la luce delle montagne fuori della finestra. La luce bianca della neve di notte.
- Come se tu avessi zampe e non mani…hai degli occhi strani. Prima mi erano sembrati celesti, ma ora mi sembrano neri. Anzi direi nerissimi.
- Non essere stupida, i miei occhi sono celesti. Sono sempre stati celesti. Ma che dici?
- No Anneliese…i tuoi occhi sono neri.
Anneliese si sentiva sempre circondata da quell’atmosfera di dolcezza e beatitudine, da quella luce che aveva visto nel rosario e che le carezzava tutto il corpo. I discorsi di quella ragazzina la disturbavano. Non voleva che qualcuno la tirasse via da quel mondo in cui si era calata.
Sì alzò di controvoglia e tuttavia andò al bagno.
Quando si vide nello specchio ebbe quasi paura. I suoi occhi erano davvero divenuti scuri. Scuri come l’acqua nel pozzo di Oma Frÿg, nel giardino davanti casa. Ma la sua faccia soprattutto. Era rosea, sana. Un carnato colorito. Di una persona che sta davvero bene e non di una che è finita nel santorio.
- Lasciatemi sola vi prego. Vi siete sbagliate – disse Anneliese rivolgendosi alle ragazze che nel frattempo si erano tutte avvicinate al suo letto
-
Lei voleva star sola. Sperava ancora di gustare quel senso di beatitudine, quell’odore di violette
che l’aveva circondata. Sperava ancora di rivedere quella luce che ancora scaturiva dal rosario
- Dev’essere
- Su, dài sbrigati, vestiti che oggi vai a Kempten – disse l’infermiera la mattina dopo entrando in bagno mentre Anneliese si stava lavando i denti
- Io vado a Kempten? Perché?
- Vogliono vedere che c’è che non funziona nella tua testa bambina mia
Anneliese si sentì toccata ed arrossì. Non le piaceva essere presa alla sprovvista a quel modo da quella gente che la trattavano come una bambola di pezza. Nessuno deve essere trattato come trattavano lei. Nessuno. Ti prendono il sangue, ti ficcano aghi dappertutto, ti mettono elettrodi appiccicandoli con una pasta schifosa che nemmeno va via quando lavi i capelli. Sei lì come un pezzo di carne. Non conti nulla, non puoi dire nulla. Ma è rispetto per il malato, per l’essere umano questo?
- Vorrei tanto chiudere gli occhi Vergine Maria e riaprirli quando tutto questo fosse finito e per sempre. Come un sogno. Perché i sogni finiscono sempre
Gli esami fatti dal dott. Lűther non evidenziarono nulla di particolare. L’EEG era praticamente normale ad eccezione di alcune onde tetha e delta sparse qua e là.
Il suo colorito roseo si manteneva e quindi tutto faceva prevedere che presto l’avrebbero rimandata a casa.
Ma questo lo pensava Anneliese perché il dott. Lűther non le disse niente. Si limitò a farle l’esame e poche altre domande. Poi fu di nuovo caricata sull’ambulanza e riportata a Mittelberg verso l’ora di pranzo.
Le furono date delle medicine e fu messa a letto subito dopo pranzo.
Ad Anneliese in fondo non dispiacque. Tirò fuori dal cassetto il rosario. Nascose le mani sotto le coperte e chiuse gli occhi. Voleva ancora avere la visione della notte prima. Cominciò a pregare con il suo solito fervore. Si sentiva piano piano trasportare via verso quella terra indefinita che aveva attraversato la notte precedente. Finalmente fuggiva da quel mondo che non aveva nessun rispetto per lei, che la maneggiava e la studiava, dove lei non aveva il diritto di parola. Fuggiva dal sanatorio, fuggiva dalla malattia…
Le sue mani parevano bruciarle.
- Voglio toccare il tuo mantello Vergine Maria. Voglio sentire il tuo profumo Santa Madre di Dio…
-
Ma d’improvviso, di lontano, per un attimo le comparve una faccia enorme, orribile e spettrale. Fu un attimo, poi tutto scomparve. Neanche il tempo di vederla e tutto era scomparso.
Ma dietro si era lasciata un senso di gelo. Di una paura gelida che attanagliò Anneliese, immobilizzata nel letto con le mani rattrappite che andavano spezzando il rosario
- E’ dentro di me…è dentro di me…è dentro di me
venerdì 20 maggio 2011
THE TREE OF LIFE di Terrence Malick
REGIA: Terrence Malick
ATTORI: Brad Pitt, Sean Penn, Jessica Chastain, Fiona Shaw, Joanna Going
GENERE: drammatico
DURATA: 138 min
Inizio poderoso. Spessore da subito. Molto cielo e molta preghiera e molta voce narrante.
Così inizia un film la cui trama non è facile da sintetizzare ma in poche parole è la storia di un padre non ingiusto sicuramente odioso però e che pretende essere chiamato “Signore” dai suoi figli. Un padre padrone prima che padre.
E’ la storia di questo padre e della sua famiglia, soprattutto dei figli che un giorno gli si rivolteranno contro.
Il padre è interpretato da Brad Pitt capelli a spazzola, occhialuto, leggermente ingrassato e rimbruttito.
La storia parte a ritroso dalla morte di uno dei tre figli. Arriva per telegramma la notizia che il figlio è morto e ora è nelle mani di Dio. Ma è sempre stato nelle mani di Dio, dirà la madre.
Ecco, il personaggio più importante, forse anche più del padre, è Dio.
E Dio è il medium che alimenta la parte (iniziale) costellata da immagini relative alla genesi del mondo vista con gli occhi molto ortodossi della Bibbia…
Non posso dire che il film non sia bello ma per concezione è vecchio.
Il senso religioso che lo permea non rispecchia le angosce di oggi bensì quelle tipiche di una religiosità e di un esistenzialismo radicato negli anni ’50 e ’60. La religiosità di oggi è senz’altro più marcata da un Dio che non c’è più o sembra averci abbandonato definitivamente. Qui invece c’è la certezza panteistica (o animistica?) che Dio sia immanente a tutto: al cibo, all’aria, alla luce, alle parole…Anche il gusto estetico ha un sapore vecchio. A memoria mia, sembra spaziare da uno stille alla Louis Malle fino a Bergman, e talora ricorda tanto Buñuel quanto Kubrick…ma anche il teatro assurdo degli anni ’70, tutto concetto e niente storia. Sarei infatti tentato di dire che è proprio un film da dibattito.
Come dicevo prima è un’opera filmicamente superba, ma manca di una vera storia e ci sono anche troppe voci narranti un teatro dell’assurdo. Molto senso per l’estetica e poca sensibilità alla narrazione e all’ azione. Soprattutto nella parte iniziale, quella della Genesi e dei tanti effetti speciali e perfino di animali preistorici compassionevoli (per l’immanenza di Dio?), che fa addirittura pensare che sia un film sulla rincarnazione (?).
Può darsi. Ma non l’ho capito. Come non ho capito che ruolo abbia in questo film Sean Penn…
E’, finalmente, un film che consiglio solo ai palati fini, agli esteti ed ai poeti.
Io che esteta non lo sono più e poeta nemmeno, e il palato nel tempo mi è divenuto grossolano ho, in tutta sincerità, faticato a seguirlo fino alla fine.
Voto: tre stelle e mezzo.
sabato 14 maggio 2011
RED di Robert Schwentke
RED
REGIA: Robert Schwentke
ATTORI: Bruce Willis, Morgan Freeman, John Malkovich, Helen Mirren, Mary-Louise Parker
GENERE: Thriller
DURATA: 111 minuti
Ci sono giorni in cui c’è bisogno di non pensare e allora un bel film d’azione è d’obbligo. E con questa speranza uno va al cinema a vedere RED. La trama sembra fatta apposta per passare un’ ora e mezzo in completo relax.
Con i migliori propositi si assiste ad un inizio all’insegna del buonismo americano e dell’amicizia fra vicini di casa e una rilassante quanto noiosa vita da pensionato di Frank (Bruce Willis), che passa le sue giornate facendo ginnastica e telefonando a Sarah (Mary-Louise Parker) che lavora all’ufficio pensioni.
Frank è un ex agente della CIA, uno dei migliori che
Inizio tranquillo dicevamo. Giorni che passano uguali. Gente normale. Vicini normali in una cittadina normale. Lui sta a casa fa ginnastica e telefona a Sarah e le dice che vuole andare a trovarla a Kansas City dove lei lavora. E questa è la cosa più eccitante della vita di Frank. Il resto è calma piatta assoluta.
Ma durante i giorni che precedono il Natale si scatena il finimondo.
E così lui, Frank, ritorna LUI: il miglior agente della CIA. Il supereroe che ha compiuto le imprese più impossibili. Perciò li fa fuori tutti e decide di passare al contrattacco, nonostante che
Non si capisce che film sia questo. Un film d’azione o un film d’azione con pretese comico-ironiche?
Una cosa è certa: è un film più noioso di “Salt” con Angelina Jolie; un addormentante film del 2010 ad opera di Philip Noyce che era da vedere solo in caso di urgenza, tipo: non avete amici con cui passare la domenica; la vostra compagna vi ha lasciato e allora non sapete dove andare a deprimervi più del solito; è un giorno invernale di quelli che piove e fa freddo e non avete altra risorsa dove andare perché non avete la macchina, abitate lontano dalla stazione, e quello dove danno Salt è il cinema più vicino a casa…
Tanti attori famosi per una pappa insipida: Bruce Willis mediocre, John Malkovich patetico e poco credibile, evanescente Mary-Louise Parker. Appena sopra la media Morgan Freeman.
Diciamoci la verità, di questi tempi non c’è veramente nulla di buono da vedere nelle sale.
Si spera che da Cannes arrivi qualcosa che rialzi il tasso della qualità. Si sentono grandi apprezzamenti per “Midnight in Paris “ di Woody Allen. Pareri discordanti per “Restless” l’ultimo film di Gus Van Sant (El Pais ne parla in modo irritato e lo definisce un puro esercizio di stile. Ne Parla bene invece Le Monde. Ne parla bene pure Il Giornale, il che mi dà da pensare…). Ottime parole vengono spese sia da El Pais e Le Monde per “We need to talk about Kevin” di Lynne Ramsay…
Mi auguro, e parafraso le belle parole di Woody Allen, che i cineasti ritornino presto al loro vero dovere che è “di-vertire” (to entertain) la gente per almeno due ore e per quelle due ore far sentire bene la gente perché si vive da sempre in un mondo terribile e c’è bisogno ogni tanto di dimenticare tutto quello che sta fuori.
Voto per RED: zero
martedì 10 maggio 2011
In Gunter Sachs memoriam (l'ultimo dei playboy)
Quando ho sentito la notizia, la prima reazione è stata: Gunter Sachs, chi era costui? Poi piano piano sono riaffiorati i ricordi di quegli anni che ho vissuto e che ho occultato. L'occultamento è il lavorìo della Storia. L'occultamento progredisce con il progredire della Storia. La memoria rende invece vivo ciò che la Storia oggettivizza.
E ripensando a quegli anni infatti ricordo una gran voglia di vita. Erano gli anni della Guerra fredda da una parte e gli anni dei Playboy dall'altra. Le donne avevano le fantasie da donne. Ogni donna aspirava ad essere una Cenerentola e trovare il suo Principe Azzurro. Ma poi è venuto l'avvento del femminismo e ha reso le donne senza più fantasie. Materialiste come gli uomini. Prive di fascinazione come un palestrato.
Ma allora le donne sognavano e anche gli uomini. Ed era lecito sognare, perché il mondo era più grande di ora.
Il playboy in quegli anni "freddi" era il sogno di un' evasione sconfinata. E era lo stesso per le donne e per gli uomini. Le donne volevano sognare di stare nelle braccia di un Principe che le estraniasse dalle loro magre esistenze di Cenerentole ante "scarpina" e gli uomini volevano tutti essere come quegli esseri divini che erano Gigi Rizzi, Roger Vadim, Gunter Sachs...Si giocava e si sognava in quegli anni spensierati. Gli uomini erano uomini e le donne donne. I playboy gente colta, raffinata magari ricchi ma uomini normali, no supermachi o palestrati pieni di stereodi e anabolizzanti, e neppure berlusconati dalla cultura televisiva che ha reso tali gli uomini di questo paese oggi: solo apparenti, con il Rolex, abbronzati e sempre all' Iphone o comunque sempre connessi. D'altronde le donne pur emancipandosi non hanno per nulla aumentato la loro femminilità ma la hanno intrappolata in un linguaggio osceno e superficiale fatto di gesti scurrili e mascolinizzanti (il modello femminile nuovo è forse quello della donna del famoso e disgustoso reality americano Jersey Shore - Sic!)
Il fascino allora non erano i muscoli, ma lo sguardo, l'intellettualità, la raffinatezza, l'esoticità, la passione, il sogno...la cultura, il gesto elegante e penetrante...
Questo erano quegli anni. Anni ben diversi, che erano forse vissuti all'impronta della "Dolce Vita", di cui adesso non rimane che il nome ed il senso si è completamente perso. Ma non era superficialità era invece profondità di una superficie apparente.
E Gunter se n'è andato. Giustamente. Come giustamente se ne va chi riconosce di non essere più nella Storia, ma occultato da quella e per sempre. E allora decide di andarsene perché qua, in quella parte della Storia che ti ha escluso per sempre, non c'è più posto. E il suicidio non è viltà. E' affermazione ultima del proprio diritto alla memoria di una vita che non c'è più.
Fabrizio Ulivieri
lunedì 2 maggio 2011
SOURCE CODE di Duncan Jones
REGIA: Duncan Jones
ATTORI: Jake Gyllenhaal, Michelle Monaghan, Vera Farmiga, Jeffrey Wright, Brent Skagford GENERE: fantascienza
DURATA: 93 min
Dopo una serie di film italiani, non ne potevo più di pappa insipida (nonostante che alcuni non fossero poi così male). Così ho fatto una cosa che raramente faccio: andare a vedere un film americano doppiato.
Ma avevo bisogno di vedere un film che avesse azione e non fosse la mera quotidianità spiattellata in una pellicola (con i "Malavoglia" avevo davvero toccato il fondo).
Così sono andato a vedere "Source Code" di Duncan Jones. Non nego che ero partito prevenuto, a causa del doppiaggio. Ed invece mi sono trovato davanti ad un bel film, di azione ma anche, e soprattutto, di cuore. E non ho avvertito la mancanza della lingua originale.
Un uomo si risveglia su un treno di pendolari. E' confuso. Non sa chi sia. Di fronte a lui Christina, una bella ragazza che lo conosce ma che lui non conosce affatto. In tasca (e nello specchio) l'identità di un giovane insegnante di nome Sean Fentress. Ma lui sa di non essere Sean Fentress. Cerca di capacitarsi, di capire che succede ma all'improvviso passa accanto al suo treno un treno merci e vi è una terribile esplosione che squarcia il convoglio e le vite di tutti.
Si risveglierà in una capsula. Da un monitor un ufficiale donna, Goodwinn, che lo chiama e lo riporterà al senso della missione: lui è un ufficiale dell'esercito americano. Combatteva in Afghanistan. Pilota di elicotteri...
Il tema è affascinante. E' il tema del "what if" come era in "Sliding Doors" di Peter Howitt (1988). Dopo la morte ci sono 8 minuti, in cui l'energia del cervello funziona ancora (per otto minuti). Come si dice in inglese "great minds think alike", e così trovando un cervello con le stesse caratteritiche di un altro si può penetrare in questa energia che resta nel mondo per otto minuti (source code) e di lì...costruire un film meraviglioso.
Eppure le insidie in questo film c'erano. Per il continuo ritorno dalla capsula in cui il capitano è "imprigionato" al treno nel tentativo di scoprire chi l'ha fatto saltare (la missione a cui il capitano è continuamente richiamato da Goodwin), si poteva rischiare grosso, dovendo riprendere sempre la stessa situazione e ripeterla per approfondirla nei dettagli...
Ma Duncan le ha evitate alla grande e ne ha fatto un grandissimo film.
Ti prende dall'inizio e non ti molla fino alla fine.
Grande finale.
Quattro stelle e mezzo.
-
CADO DALLE NUBI di Gennaro Nunziante Meno male che c’è il sud in quest’Italia che proprio il massimo dell’allegria non è. Meno male che ci...
-
Der Spiege l “Ciao Bella” ovvero l’arte dei tedeschi di spalare merda su un paese (l’Italia) Junge Frauen haben ihn (Berlusconi) gefragt: ...
-
Dr Wadih Haddad (1927 – March 28, 1978), a.k.a. Abu Hani , was a Christian Palestinian , who in the 1960s and 1970s was responsible for ...