La strada correva davanti a noi. Lunga e diritta. Era una
fuga per un luogo lontano. Talmente lontano che non l’avremmo mai potuto
calcolare.
L’auto correva veloce. L’estate era già incominciata. Ero
vicino a lei e finalmente mi sorrideva. Io le tenevo la mano e lei mi guardava
felice.
Il motore cantava.
Poi la strada è impazzita. La macchina è uscita di lato. E
sopra un’altra è finita. No so che lei ha provato. Ma ancora sorrideva prima
che io chiudessi gli occhi. Poi il cielo sopra è crollato e l’estate è sparita.
Vorrei sapere a cosa è servito vivere, amare e soffrire.
Spendere tutti i giorni passati ora che son dovuto partire insieme a lei che
ancora mi sorrideva.
Quando mia figlia ha aperto l’urna con le ceneri mi ha liberato.
Non brucia il fuoco ciò che non ha forma e non occupa spazio
e non fa parte di questo mondo ma si espande ed è presente in tutto l’universo.
Avevano bruciato il mio corpo che mi aveva veicolato per
tutta la vita ed ora ero finalmente libero.
E ora prendevo finalmente forma: la forma del Nulla.
Osservavo ora distaccato quello che vedevo. E tutte le
sofferenze non vi erano più.
Me ne stavo lì guardando quelle persone. Le mie figlie
soprattutto. E tutto quello che avevo sofferto non aveva più importanza.
Ora ero libero. Non c’erano più i problemi allo stomaco che
mi avevano accompagnato per la parte finale della mia vita. Non avevo più
fibrillazioni. Non avevo più ulcere. Non avevo più ernia iatale.
Ero come avevo sempre sognato.
Il mio bagaglio era leggero: portavo con me di tutta la vita
solo tre ricordi: i miei genitori, le mie figlie, mia zia Primetta che mi aveva
tanto amato in vita.
Ma ancora ero qui. Non riuscivo a staccarmi da quei luoghi e
pochi ricordi. Vagavo intorno come se non sapessi che strada prendere.
Mi sentivo in attesa. In attesa di una chiamata. Sentivo che una
porta stava per aprirsi e tuttavia non sapevo quando, come e dove.
Attendevo. Come ho atteso tutta la mia vita.
Mi domandavo che fosse rimasto di quel mondo che non mi era mai
piaciuto e tuttavia era l’unico possibile.
Ho provato a chiamare le mie figlie di cui avevo appena dimenticato
i nomi e non riuscivo a pronunciare ma ancora ne vedevo le fattezze e sentivo un richiamo.
Era come se avvertissero e si guardavano attorno spaesate.
Qualche volta, quasi che sentissero una voce, guardavano su, in alto, verso di
me. Ma non mi vedevano. Mi cercavano ma non mi vedevano.
Fra me e loro ormai c’era una grande distanza: un grande
vuoto. E l’unica cosa che ci univa era il ricordo.
Guess that this must be the place